30 ottobre 2023

EP & SINGOLI [END OF OCTOBER EDITION]

EP

Non hanno bisogno di presentazione i Popguns: sono un'istituzione dell'indie pop da quasi 40 anni. Il nuovo ep è un vero scrigno di gioielli e Red Cocoon è un pezzo incredibile.  


La "Notte al karaoke" di Soccer Mommy è tutto tranne quello che recita il titolo. Sophia si è impossessata di cinque pezzi che risuonano perfettamente nelle sue corde e li ha davvero trasformati. Here dei Pavement è da lacrime...


E finalmente, dopo tanti singoli, Melody è riuscita a pubblicare il suo primo vero ep con il nome Career Woman. Molto più elettrico di quello che pensavamo, ed è un bene...


L'appuntamento mensile con Glenn Donaldson. L'ep con il titolo più curioso dei suoi Red Pinks & Purples. 


SINGOLI

Doppio regalo da parte della regina del dream pop Hazel English. Un pezzo nuovo, Heartbreaker, liquido e leggiadro come tutte le sue cose. Ed una cover spettacolare di una canzone che si può solo amare alla follia e in mano ad Hazel scintilla di bellezza: There She Goes dei La's. 



Non c'è niente da fare, ogni volto che ascolto gli Apartamentos Acapulco mi commuovo. Dos Dias Contigo è una canzone d'amore meravigliosa. Semplicemente. 


I Jetstream Pony sono un supergruppo, lo sappiamo bene, in tutti i sensi. Il doppio singolo è un appetizer per un nuovo album? Speriamo! 


Qualcosa bolle anche nella pentola dei Say Sue Me. Secondo singolo nell'arco di poco più di un mese...


La quota jangle pop del mese è ricoperta alla grande dai canadesi Ducks Ltd. 


E quella per l'indie pop più nostalgico dal debutto dagli inglesi Silk Cuts.


Si parlava dei Laughing Chimes il mese scorso. Se serve un'altra prova del fatto che sono bravi...


Il dream pop che più dreamy non si può degli indonesiani Pale Skies.


26 ottobre 2023

ME REX - Giant Elk ALBUM REVIEW

Molti di noi da bambini sono stati maniaci degli animali preistorici: ne collezionavamo le action figures e ne imparavamo a memoria i nomi scientifici e le caratteristiche. Deve essere stato così anche per Myles McCabe, che con i suoi ME REX ha già pubblicato numerosi ep e singoli tutti improntati ad una sistematica nomenclatura paleontologica. 

Dopo il Pterodattilo alato e il Plesiosauro marino, è la volta per il musicista londinese di tornare con le zampe a terra e di pubblicare il primo vero album del suo gruppo, dedicato all'Alce Gigante che campeggia nella bella copertina. 

McCabe, probabilmente lo sapete già, è anche chitarrista dei Fresh, mentre gli altri due ME REX, Rich Mandell e Phoebe Cross (Kathryn Woods, già parte integrante e preziosa della band, compare solo in due episodi, peccato!), sono membri degli Happy Accidents: due gruppi che sono parte attivissima di quel frizzante movimento di punk gentili che animano la scena inglese da qualche anno. 

Rispetto alle band citate (aggiungiamo pure i Martha), il progetto ME REX è forse quello più complesso e ambizioso. Myles ha riservato al suo progetto personale tutto lo sperimentalismo di scrittura di cui è capacissimo: strutture non sempre usuali (prendete l'incipit bipartito Slow Worm / Infinity Worm con le due versioni del leit motiv prima acustica-lo fi e poi indie rock antemica), liriche torrenziali, pianoforte spesso al centro con chitarre ruvide che gli fioriscono attorno, calma e tempesta che si alternano dentro ogni canzone, riff a tratti virtuosistici, ironia a mazzi, ritmi uptempo, crescendo energetici come piovesse e ritornelli di sfrontata immediatezza distribuiti in ogni singolo pezzo. 

I riferimenti sono quelli che abbiamo già dichiarato in passato: i Neutral Milk Hotel, i Death Cab For Cutie e in generale l'indie garage americano dei Novanta. 

Se c'è una cosa che McCabe sa fare è davvero scrivere canzoni intelligenti e terribilmente coinvolgenti, e in Giant Elk ce ne sono undici, una infilata dietro l'altra, senza possibilità di riposarsi dalla corsa a perdifiato dei suoi ME REX, come un unico impetuoso flusso di coscienza che si nutre di parole ed elettricità. 

Ecco allora, dopo l'inizio che abbiamo detto, la delicata potenza di Eutherians, l'entusiasmante travolgente dialogo fra synth, chitarra e voce di Giant Giant Giant (forse l'episodio più riuscito del lotto), la liquida morbidezza bagnata di suoni elettronici di Halley, la ritmica franta di Oliver (e qui l'ombra di Ben Gibbard è davvero stampata sullo sfondo) e una meraviglia come Spiders, che dal suo carillon anni '80 esplode nei fuochi d'artificio corali a cui Myles ci ha abituato da sempre, con un mono-ritornello super scenografico. Si prosegue con il math rock logorroico di Jawbone, il power pop alla New Pornographers di Pythons ed infine il gran finale di Summer Brevis, che è un distillato dello stile ME REX in cinque minuti costruiti a strati attraverso un fragoroso climax liberatorio. 

Può darsi che la passione di McCabe per i giganti preistorici si rifletta proprio nella magniloquenza delle sue composizioni, che sono sempre a loro modo piuttosto ingombranti (tante parole, tanti strumenti, tante soluzioni diverse dentro ogni pezzo), ma non c'è un'oncia di prosopopea nelle canzoni dei ME REX. Anzi, si legge in trasparenza nell'elettrico entusiasmo di ogni episodio un amore da nerd per ciò che i tre di Londra hanno costruito: un amore che ha qualcosa di tenero e (post) adolescenziale e che brucia in ogni singola nota.

23 ottobre 2023

Sun June - Bad Dream Jaguar ALBUM REVIEW

Ascoltando il nuovo album dei Sun June, mi convinco sempre di più che la band texana sia davvero una repubblica a parte, in sostanza indefinibile conte etichette che affibbiamo d'abitudine - più che altro per comodità - allo stile degli artisti. E' dream pop (per l'apertura atmosferica di ogni pezzo, l'uso dei synth, l'insistenza sull'effetto emozionale) ma non è davvero dream pop. E' indubbiamente folk rock americano fino al midollo, ma non è lo è in un modo canonico. E' cantautorato (la cura delle liriche è splendida) ma in una dimensione collettiva che alla fine fa risaltare più la musica delle parole. Loro, i sei di Austin, lo chiamano da sempre regret pop - a suggerirne l'intimismo di fondo, la nostalgia che intride ogni nota, ma anche la sua catartica luminosità - ed alla fine è l'unica definizione possibile.

Laura Colwell ha quella voce lì, una voce che ti abbraccia e ti solleva da terra, dolce e penetrante, potentissima nella sua delicatezza, polite e senza tempo, ed è come sempre l'anima pulsante dei Sun June ed il tratto che li rende del tutto inimitabili. 

E nei dodici episodi di Bad Dream Jaguar è come sempre Laura a prenderci per mano e ad accompagnarci in un viaggio narrativo che attraversa tanto i paesaggi vasti del loro Texas (visti spesso e volentieri dal finestrino di una macchina, con l'autoradio accesa), quanto i paesaggi delle paure, delle memorie, dei sogni di ogni giorno. Il racconto si deposita sulla coperta calda di una musica che suona ovunque dilatata e confortevole, trovando sempre una naturale armonia nell'impasto delle chitarre, del pianoforte, della morbidissima sezione ritmica, in una prospettiva di timida psichedelia. 

Le canzoni di Bad Dream Jaguar sono - non è nemmeno il caso di discuterne - molto belle, curatissime, dense e leggiadre al tempo stesso. Ciò che manca forse, rispetto a quel monumento che era Somewhere, sono quei magici crescendo che rendevano l'album precedente un vero arcobaleno sonoro. Crescendo che ci sono anche qui, ben inteso, ma hanno spesso - per una scelta d'insieme, mi pare - una prudenza che li trattiene con i piedi piantati a terra. 

19 ottobre 2023

Soft Covers - Soft Serve ALBUM REVIEW

Una band come gli australiani Soft Covers sembra essere nata per offrire una definizione sintetica e perfetta di cosa è il twee pop. Iniziamo con la lista: melodie di zucchero filato, chitarre di morbida luminosità e spesso scampanellanti, tastierine giocose, handclapping, cantato equamente diviso fra una voce maschile e una femminile, liriche narrative mischiate ad un'ironia innocua e sorridente, essenzialità lo-fi come etica d'azione, colori pastello e grafiche bambinesche, un nome stesso che allude alla gentilezza. E poi ovviamente tutto il lato derivativo che va a pescare nel coté più soffice del c86 e dell'indie pop dell'età dell'oro, dagli Heavnely in giù fino al movimento anti-folk. 

Davanti agli undici episodi dell'album di debutto dei tre di Melbourne (città che all'indie pop ha sempre dato tantissimo) la dimensione twee è talmente forte ed evidente da apparire veramente come il motore di tutto. In ogni canzone - durata canonica tre minuti, da manuale - c'è tutto quello che ci possiamo aspettare: attitudine catchy, pochi fronzoli e un sapiente equilibrio fra uptempo e midtempo. 

15 ottobre 2023

Maud Anyways - Impermanent Lane ALBUM REVIEW

Sicuramente Maud Platiau Beurret non è giovanissima, e tuttavia il suo è a tutti gli effetti un debutto, e che debutto... L'artista francese, multistrumentista e autodidatta, in curriculum una collaborazione con i My Raining Stars di Thierry Haliniak, è letteralmente uscita fuori dal nulla con un album solista che è veramente uno di quei piccoli grandi tesori in cui inciampi quasi per caso e ti lasciano a bocca aperta (necessaria lode alla Shore Dive Records di Brighton che l'ha scovato e pubblicato). 
La luminosa cornucopia guitar pop che esplode fin dalle prime note di Love Affair, il pezzo che apre Impermanent Lane, è un perfetto biglietto da visita per la musica di Maud Anyways: tutto è pervaso da una spontanea energia, una grande e gioiosa immediatezza melodica, un morbido dinamismo che assomiglia ai Ride di Twisterella ed un'aria di sognante dolcezza che ritroviamo in quasi tutti gli episodi del disco, già a partire dalla splendida, ampia e leggiadra Shadow Above, dove il carillon delle chitarre sembra omaggiare i Cure più melodici. 
Le canzoni di Maud sono ben radicate nei canoni del dream pop / shoegaze tra '80 e '90 (dalle Lush agli Slowdive...) e, pur in economia di mezzi, riescono ovunque a costruire paesaggi sonori poderosi e suggestivi, grazie anche al curatissimo lavoro produttivo del danese Casper Iskov, evidente nelle trame dense di Absurd e Never Be Real, dove le fondamenta di basso, batteria e synth fungono da base per il florilegio dell'elettricità e dei cori.
Un disco davvero sorprendente: consigliatissimo! 

11 ottobre 2023

Seablite - Lemon Lights ALBUM REVIEW

Nel 2019 Glass Stains And Novocaine, l'album di debutto dei californiani Seablite, mi aveva talmente stupito che senza remore l'avevo indicato come uno dei migliori dischi dell'anno. Da allora la band di Lauren Matsui ha pubblicato un ep nel 2020, salvo poi scomparire per parecchio tempo.

Il gruppo di San Francisco ritorna oggi con il suo album numero due, che riprende il discorso dove era stato interrotto, senza particolari cambi di rotta ma a valle di un lavoro di perfezionamento stilistico pregevole. 

I Seablite (o meglio le Seablite, vista la netta prevalenza femminile) fin dagli esordi hanno abbracciato la lezione del dream pop primigenio, quello delle Lush per intenderci, insistendo sul suo lato più melodico e sui lasciti di quest'ultimo nell'ondata brit pop dei primi '90. E' davvero il loro marchio di fabbrica e lo gestiscono con estrema naturalezza. 

Nei dodici pezzi di Lemon Lights non troviamo le suggestioni shoegaze sottese al primo disco: le chitarre raramente arrivano a sfrigolare (giusto in Drop Of Kerosene e nella più aggressiva Blink Each Day) e quasi ovunque prevale l'intenzione evidente di suonare luminosi e catchy (Smudge Mas A Fly, Melancholy Molly, Monocrome Rainbow, Frozen Strawberries...), mettendo insieme in modo equilibrato elettricità e miele, muscoli e immediatezza. 

Una grande conferma. 

08 ottobre 2023

Hero No Hero - Pacific Standard Time ALBUM REVIEW

Ci sono poche artiste in giro come Gretchen DeVault, in grado di trasformare in materia preziosa ogni progetto musicale a cui partecipano. L'abbiamo scoperta tanti anni fa con The Icicles (questa ve la ricordate?), amata con i Francine Odysseys, adorata in ogni singolo pezzo dei nostri favoriti The Blue Herons (non perdetevi l'ultimo singolo)... 

Da qualche anno Gretchen ha in piedi anche un'altra collaborazione con il musicista californiano Ken Aki, collaborazione che ha sortito un paio di ep sotto il nome Hero No Hero. 

C'è un pezzo, in questo album di debutto dei due, che si intitola Sitting On A Cloud. Ecco, è una perfetta descrizione della musica di Gretchen e Ken: un guitar pop talmente leggero, luminoso e frizzante da farti levitare i piedi e toglierti, per il tempo di una three minute pop song, dalla grigia realtà di tutti i giorni,  proiettandoti in un mondo aereo di chitarre scampanellanti, melodie di zucchero e ironia sorridente. 

Gli Hero No Hero nascono programmaticamente come omaggio al guitar pop dell'era C86 e di band di culto come gli Heavenly (in effetti Gretchen ha davvero molto di Amelia Fletcher e delle sue varie reincarnazioni musicali), e tutto nella loro musica va in questa direzione, dallo stile sbarazzino al gusto melodico deliziosamente retrò. 

05 ottobre 2023

Sullen Eyes - Hardwood Floors And A Hand To Hold ALBUM REVIEW

Seavrete la pazienza di scovare sullo scaffale dei dischi della Sarah Records un 12" chiamato Stardust dei mitici The Sea Urchins (catalogo Sarah 609), troverete nella tracklist anche una canzone chiamata Sullen Eyes. E' il motivo per cui, appunto, i Sullen Eyes hanno deciso di chiamarsi così, con un omaggio che è insieme una dichiarazione programmatica di adesione a un mondo stilistico che conosciamo bene.
I cinque di Bangor, Maine suonano in effetti esattamente come se vivessero nello scorcio di anni fra Ottanta e Novanta e registrassero i demo in cameretta per spedire poi la loro cassettina via posta alla leggendaria etichetta di Bristol (o alla K Records, visto che siamo negli States). 
Il loro è un twee pop da manuale: assolutamente artigianale, jangly nell'anima (il pezzo introduttivo si intitola Intro Jangle...), delicatamente uptempo, sempre orecchiabilissimo, incentrato su una voce femminile (quella di Jules) piacevole e spontanea. Insomma, siamo dalle parti dei Talulah Josh, degli Shop Assistants, degli Even As We Speak e di tante band che trent'anni fa scrivevano la storia dell'indie pop.
L'album è in realtà l'assemblaggio di due ep già usciti nei due anni precedenti, operato dalla meritoria Sunday Records, e mette in fila otto pezzi guitar pop di straordinaria freschezza, mai sopra i canonici tre minuti, che un po' ricordano anche gli esordi dei Say Sue Me e possiedono la sensibilità melodica dei La's e dei primi Belle & Sebastian. 

02 ottobre 2023

Bleach Lab - Lost In A Rush Of Happiness ALBUM REVIEW


Tra tante band che potremmo catalogare come dream pop, i Bleach Lab sicuramente hanno da sempre scelto una via molto personale, più tangente al genere che pienamente canonica. Intendiamoci, i paesaggi sonori disegnati da Jenna Kyle e compagni sono sempre suggestivi e dilatati, le chitarre piacevolmente liquide, le melodie puntualmente morbide e sognanti, il mood notturno e baluginante di luci (date un'occhiata a tutte le splendide copertine che hanno collezionato), ma ci sono molti elementi nello stile della band londinese che la rende assolutamente peculiare.

Il fattore centrale è, a mio parere, proprio la voce di Jenna. Anziché mimetizzarsi nelle architetture degli strumenti - cosa che avviene spesso nel dream pop propriamente detto - ne diviene quasi sempre una colonna portante, mettendo in evidenza la sua personalità e la sua innata eleganza. Le chitarre fluide e luccicanti, il viscoso dinamismo della sezione ritmica, i synth che incorniciano tutto, sono sempre al servizio della vocalità di velluto della Kyle, che emana un fascino diafano e sensuale. Siamo dalle parti dei Wolf Alice, se volete un paragone immediato. Con un coté di cantautorato femminile (Soccer Mommy, Mitski...) che spesso  ruba la scena. 

L'album di debutto dei Bleach Lab mette in vetrina tutto quello che la band ha già ampiamente anticipato nei precedenti ep e lo fa con una estrema e intelligente cura produttiva che ottiene un risultato che definirei in tutto e per tutto "sontuoso" e ineccepibile, sempre scenografico ed emozionale. 

Fin dall'iniziale All Night siamo accolti in un abbraccio soffice di chitarre che ricorda molto le cose dei Night Flowers, soprattutto quando il pezzo si apre nel crescendo crepuscolare del ritornello. Crescendo che ritroviamo idealmente quasi ovunque lungo i dieci episodi del disco: nell'energico midtempo di Indigo, impreziosito da uno scenografico violoncello (un po' Basement Revolver l'atmosfera), nelle trame raffinatissime dell'intensa e sfumata Counting Empties, nell'inquietudine elettrica e catchy di Nothing Left To Lose, nell'ariosa ampiezza narrativa e in fondo catartica di Life Gets Better...

Un disco magnifico (e pure un po' magniloquente, ma in senso buono) da una band di eccezionale talento.