27 ottobre 2024

Attic Ocean - Retriever EP REVIEW

Quando dei giovani musicisti si mettono insieme per fare una band, è normale che si portino con sé influenze diverse con un denominatore comune. Nel caso degli Attic Ocean, è indubbio che alla base ci sia una sconfinata passione per l'indie dei '90, con in particolare un amore dichiarato per gli Slowdive. 

E non è un caso allora se il master di questo secondo ep della band di Düsseldorf sia stato affidato niente meno che a Simon Scott, che degli Slowdive è il batterista e il responsabile di tutti i suoni elettronici. Una presenza che garantisce senz'altro il fatto che i cinque tedeschi possiedono innanzitutto una salutare ambizione, e poi che, rispetto al loro ep d'esordio, hanno fatto davvero dei notevoli passi avanti sia nella scrittura che nella produzione.

Hannin Nasirat e compagni sanno muoversi con sicurezza in un territorio di confine che sta a metà tra dream pop e power pop, dove le linee melodiche sono sempre morbidamente immediate ma l'impianto sonoro si regge sempre sulla poderosa e sferzante energia delle chitarre, con un retroterra che è evidentemente shoegaze (in Weeks Into Tears soprattutto) ma non solo. 

I cinque pezzi di Retriever funzionano alla perfezione e mostrano piacevoli somiglianze con i Say Sue Me più vigorosi o i Beths (Young Again), con i Wolf Alice (Lilies and Sea, l'episodio più memorabile del lotto, a mio parere), con i Bleach Lab (Glow, splendida e avvolgente), con i Basement Revolver (Sleepless, la più aggressiva e oscura dell'ep). Tutte band, quelle citate, che hanno una forte propensione scenografica, possiedono un cuore catchy ma dentro un involucro di elettricità statica dai contorni inquieti. Esattamente ciò che gli Attic Ocean riescono ad essere con pregevole maturità. 

Una band da tenere d'occhio per il futuro. 

22 ottobre 2024

Humdrum - Every Heaven ALBUM REVIEW

Già leader degli Star Tropics (autori di uno splendido album datato 2017),  con la pandemia Loren Vanderbilt si è trovato senza band ed ha pensato bene di ripartire dalle sue forze e dal suo talento e iniziare questo progetto Humdrum, che seguiamo già da qualche anno attraverso alcuni singoli davvero interessanti.

L'idea di base è quella di un guitar pop di stampo "classico", dove per noi classico significa C86, Creation e Sarah Records: chitarre jangly, ritmi che virano volentieri verso l'uptempo, melodie piacevolmente catchy, qualche armonia vocale maschile/femminile, semplicità di approccio e produzione ed un'aria generale di grandissima e liberatoria leggerezza.

Insomma tutte le cose che ci fanno amare questo genere!

Prendete due perfect indie pop songs come Wave Goodbye ed Eternal Blue e avrete la testimonianza chiarissima di quanto il musicista di Chicago sia bravo a maneggiare la materia: c'è dentro un po' di Felt, un po' di Field Mice, un po' dei Ride più melodici, una generosa dose di Proctors e di Aberdeen (sentite Ultraviolet), persino qualche stilla di REM, ma poi è la capacità di fondere tutto insieme che conta, e non c'è dubbio che Loren sia un songwriter di eccezionale talento e gusto.

I dieci pezzi, dall'apertura in stile The Cure di Every Heaven in giù (beh, con quel titolo e quei synth), scorrono via con una freschezza ed una morbidezza di tocco magnifiche, intrise di un entusiasmo che - bene per noi! - allunga anche la durata delle canzoni ben oltre i due minuti e mezzo canonici. 

Un piccolo grande album che fa bene all'anima. 

17 ottobre 2024

Healees - Coin de l'Oeil ALBUM REVIEW

Un paio d'anni fa l'album di debutto degli Healees mi aveva favorevolmente impressionato: poche band in ambito indie pop - notavo allora - possedevano un suono chitarristico così pieno, dinamico e sfavillante. 

Arrivati alla loro seconda raccolta, Bryan Quinn e Renaud Chauré, affiancati da Hillevi Robertsson e Arthur Chen, rinnovano il loro amore incondizionato per le chitarre e ci regalano un disco ancora più raffinato ed ambizioso rispetto all'esordio. 

I nove pezzi di Coin de l'Oeil, dalla lunghissima e avvolgente Drunk in avanti, ci prendono gentilmente per mano e ci introducono in un mondo musicale dove shoegaze, dream pop e post punk si fondono l'uno dentro l'altro con un sorprendente mix di densità e leggerezza.

La memoria di un ascoltatore appassionato di quei generi ovviamente va soprattutto ai Ride (e ai loro successori Hurricane #1), ma in verità nelle canzoni ampie ed energiche degli Healees ci sono elementi di tantissime band del passato, dai Cure agli Spiritualized, da Jesus & Mary Chain al dream/shoegaze di oggi dei Flyying Clolours. 

Se c'è una cosa che la piccola multinazionale (USA, Belgio, Francia, Svezia) basata a Parigi sa fare bene, è costruire i propri pezzi in modo solido e coinvolgente, facendoli scorrere come una cascata sonora a partire dall'intreccio delle chitarre e giù attraverso la forza trascinante della sezione ritmica, la sovrapposizione armonica delle voci, l'onda di marea dei riverberi (lo strumentale Eye Opener che sfuma nell'ipnotica e meravigliosamente suggestiva Side Eye ad esempio). Ecco allora che canzoni come White Room o Still OK esaltano proprio per la loro capacità di immergere chi ascolta in una dimensione parallela di baluginante, notturna, spesso sognante introversione, che però non perde davvero mai in immediatezza ed ha anzi una melodica facilità di approccio quasi spiazzante. 

Un album splendido, che conferma il talento di una delle band più interessanti del panorama europeo degli ultimi anni. 

12 ottobre 2024

SONGS & EPs FOR THE BEGINNING OF AUTUMN

Ecco una piccola collezione di EP e singoli interessanti usciti nell'ultimo mese.

Una menzione speciale per la nuova canzone dei Quiet Houses, che sono una delle band più interessanti del momento a mio parere (le B sides peraltro le conosciamo già e sono una meglio dell'altra).

Bello davvero anche l'EP degli Slack Times, un gruppo dell'Alabama che tenevo d'occhio già da un po'. 

Registriamo volentieri anche il ritorno del mitici svedesi Alpaca Sports, un favoloso singolo dei tedeschi Roller Derby che anticipa l'uscita del nuovo atteso album, un pezzo potente di Ghost Days, e molto altro....

Enjoy!

 









 

07 ottobre 2024

Palomino Blond - You Feel It Too ALBUM REVIEW

I Palomino Blond fanno parte di quella nutrita schiera di giovani band che - a distanza di ormai trent'anni - suona indie rock come se vivesse nel 1994. In un mondo musicale che delle chitarre in generale se ne fa poco, è bello pensare come ci siano tanti ventenni che invece ne imbracciano una e ne esplorano il potenziale energetico e le distorsioni. Ovvio che a chi, come il sottoscritto, il 1994 l'ha vissuto in diretta (e ama le distorsioni), non può che fare immensamente piacere trovare tanti gruppi da suono acido e sfrigolante.

I Palomino Blond, che sono in tre - Carli Acosta, Peter Allen e Emma Arevalo - e vengono da una città apparentemente poco rock come Miami, Florida, sembrano nutrire un amore particolare per l'elettricità statica, tanto che non c'è un solo momento dei loro pezzi che non abbia un sottofondo magnificamente sfrigolante. Gli undici episodi di You Feel It Too, loro secondo album, suonano rudi e vigorosi in modo sfrontatamente programmatico, ma riflettono anche sulla loro superficie un po' algida una intensa fragilità e risplendono di un'aura catchy che emerge anche dove l'atmosfera si fa più densa.

Dentro le loro canzoni c'è un po' di emo (non nella vocalità però, che non è mai gridata ed anzi esibisce una costante dolcezza), un po' di shoegaze, tanto Dinosaur Jr., una selva di rimandi ai gruppi di quei '90s che dicevamo prima (dai Built To Spill in giù), persino qualche tentazione dream pop quando i pezzi si dilatano lungo paesaggi emotivi e la furia punk incontra colori psichedelici.

Un album potente, senza dubbio, piuttosto notturno nei toni, intriso di una forte immediatezza comunicativa, sempre molto scenografico, a tratti travolgente. 

02 ottobre 2024

Mental Map - Mental Map ALBUM REVIEW


Poco più di un anno fa i Mental Map se ne uscirono con una deliziosa canzone in odore di Sarah Records intitolata Just A Pop Song. Ora, può un sito che si chiama (quasi) esattamente allo stesso modo non adottare la band moscovita come sua mascotte ideale?

Scherzi a parte, attendevo questo album di debutto già da un po', perché sono davvero convinto che il gruppo russo possa ambire, col tempo, a diventare la next big thing dell'indie pop, come hanno testimoniato alla grande i singoli usciti nei mesi scorsi giusto per farci venire l'acquolina in bocca. Una band di enorme talento che potrebbe segnare il futuro del genere, ma che non ha ancora riscosso l'attenzione che merita. 

Linn, Evan, Serge e Kristina definiscono il loro stile "entertaining guitar music for today", il che già di per sé è un ottimo passaporto. Anche se, in verità, la densità espressiva delle guitar songs dei Mental Map non fa precisamente pensare ad un puro entertaining, anzi. 

Volete un veloce ritratto della band? Proviamo: prendete i Makthaverskan, i Pains, i Fear Of Men, i Fragile Animals, i Flyying Colours, gli Appartamentos Acapulco, i Westkust, i Basement Revolver, lo shoegaze classico delle Lush e dei Ride, i Say Sue Me più muscolari, i primi Alvvays, mischiate insieme e otterrete qualcosa che assomiglia ai Mental Map. Assomiglia, perché in realtà i quattro di Mosca possiedono una personalità propria piuttosto definita.

I dieci episodi dell'album mirano allo stesso risultato - un dream pop vigoroso, leggermente oscuro ma sempre molto accessibile - convergendo da punti diversi. Ecco allora che ci troviamo davanti la forza ruvida, spigolosa e notturna di una Wallflower; la morbidezza sognante e il crescendo di miele di It's Allright; l'incalzare post punk e lo sfrigolare delle chitarre che si infrangono nella cornice floreale di Empty Shell (stilisticamente è il pezzo più complesso e "costruito" del lotto); la notturna densità e le sferzanti esplosioni catartiche di Candice; la (apparente) leggerezza ariosa di Life's A Blur, l'avvolgente dolcezza di Jaded. Prospettive diverse che puntano però sempre a quella energia liberatoria e muscolare di cui tutte le band citate sopra sono o sono state maestre. 

Nel complesso Mental Map è ben rappresentato dalla sua splendida copertina: è un album elegante e fascinoso, che sta in un mondo di mezzo sospeso fra la notte e il giorno, l'inquietudine esistenziale e un'eterea delicatezza. Senz'altro uno degli esordi più memorabili del 2024.