17 ottobre 2024

Healees - Coin de l'Oeil ALBUM REVIEW

Un paio d'anni fa l'album di debutto degli Healees mi aveva favorevolmente impressionato: poche band in ambito indie pop - notavo allora - possedevano un suono chitarristico così pieno, dinamico e sfavillante. 

Arrivati alla loro seconda raccolta, Bryan Quinn e Renaud Chauré, affiancati da Hillevi Robertsson e Arthur Chen, rinnovano il loro amore incondizionato per le chitarre e ci regalano un disco ancora più raffinato ed ambizioso rispetto all'esordio. 

I nove pezzi di Coin de l'Oeil, dalla lunghissima e avvolgente Drunk in avanti, ci prendono gentilmente per mano e ci introducono in un mondo musicale dove shoegaze, dream pop e post punk si fondono l'uno dentro l'altro con un sorprendente mix di densità e leggerezza.

La memoria di un ascoltatore appassionato di quei generi ovviamente va soprattutto ai Ride (e ai loro successori Hurricane #1), ma in verità nelle canzoni ampie ed energiche degli Healees ci sono elementi di tantissime band del passato, dai Cure agli Spiritualized, da Jesus & Mary Chain al dream/shoegaze di oggi dei Flyying Clolours. 

Se c'è una cosa che la piccola multinazionale (USA, Belgio, Francia, Svezia) basata a Parigi sa fare bene, è costruire i propri pezzi in modo solido e coinvolgente, facendoli scorrere come una cascata sonora a partire dall'intreccio delle chitarre e giù attraverso la forza trascinante della sezione ritmica, la sovrapposizione armonica delle voci, l'onda di marea dei riverberi (lo strumentale Eye Opener che sfuma nell'ipnotica e meravigliosamente suggestiva Side Eye ad esempio). Ecco allora che canzoni come White Room o Still OK esaltano proprio per la loro capacità di immergere chi ascolta in una dimensione parallela di baluginante, notturna, spesso sognante introversione, che però non perde davvero mai in immediatezza ed ha anzi una melodica facilità di approccio quasi spiazzante. 

Un album splendido, che conferma il talento di una delle band più interessanti del panorama europeo degli ultimi anni. 

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