30 dicembre 2020

(just another) pop song ALBUM OF THE YEAR 2020



12

Sunbathe - Somewhere In Between 

Ha la West Coast nelle vene la musica di Maggie May Morris: è evidente nel suono liquido delle chitarre, nell'ariosa malinconia di fondo di molti pezzi, nella dimensione quasi psichedelica del suo guitar pop. Le canzoni di Sunbathe  ruotano intorno alla voce della Morris con algida grazia, circondandola di suggestive spirali elettriche. 

11

Katie Malco - Failures

Descritto da lei stessa come un "coming of age album", Failures è il vero esordio della musicista inglese: dieci pezzi di vigorosa introversione e timido romanticismo, pieni di brume acustiche e di crescendo emozionanti, dove è normale ritrovare una disarmante dolcezza persino nei più fragorosi muri di chitarre.

 

10

Phoebe Bridgers - Punisher

Punisher è stato per la cantautrice californiana l'album della consacrazione, facendola conoscere anche al pubblico più vasto. Eppure si tratta di un disco complesso,  pieno di dolore e di fantasmi, fatta eccezione per pochi episodi inaspettatamente catchy (Kyoto è un piccolo miracolo). Tuttavia la forza comunicativa di Phoebe è talmente straripante e coinvolgente da accendere la luce anche nell'oscurità più fitta.

9

Beach Bunny - Honeymoon

Lili Trifilio è giovanissima ma sembra saperla lunga. Le nove canzoni di Honeymoon straripano letteralmente di energia dall'anima quasi punk, ma la convogliano in un guitar pop quasi sempre uptempo, catartico ed esplosivo come dinamite post-adolescenziale, semplice e immediato in superficie fino alla sfrontatezza, ma in realtà raffinato nella scrittura e coinvolgente come pochi.  

8

Emma Kupa - It Will Come Easier

Lasciate in stand by band e collaborazioni varie, la prolifica musicista inglese ci regala una collezione di canzoni a cuore aperto, lontane stilisticamente dal power pop che le è consueto ma non dalla scrittura intelligente e di impatto che è naturalmente nelle sue corde. Undici pezzi dall'anima acustica, pieni di un'inaspettata e intima dolcezza.

 

7

The Beths - Jump Rope Gazers

Un paio d'anni fa abbiamo diplomato i neozelandesi come debuttanti dell'anno. Ora, al secondo album, non possiamo che laureare i Beths come veri maestri del power pop contemporaneo. Beth Stokes e compagni suonano sempre con quello spontaneo travolgente divertito entusiasmo che è il loro marchio di fabbrica, e in Jump Rope Gazers provano anche a rallentare i ritmi e a rendere ancora più effervescente il colorato mix di chitarre e backing vocals che li ha fatti amare in giro per il mondo.

  

6

Honey Cutt - Coasting

Il campo dell'indie pop più rinfrescante, spigliato e catchy - quello che di solito appartiene agli Alvvays per intenderci - quest'anno è dominato da Kaley Honeycutt. La musicista basata a Boston maneggia con sorniona naturalezza un guitar pop frizzante (ma ironicamente inquieto) dalle tinte surf, solo apparentemente "leggero", che riesce comunque in ogni episodio ad appiccicarti addosso un ritornello killer. 

5

Soccer Mommy - Color Theory

Quanti artisti riescono ad essere intensi di una fitta densità emozionale ed insieme luminosamente leggeri? Pochi, forse pochissimi, e Sophie Allison è indubbiamente una di loro. Le canzoni di Color Theory trasudano rabbia e sofferenza in modo non differente da quelle di altre straordinarie cantautrici di oggi, ma Soccer Mommy ha scelto di trattenerle nelle scintillanti maglie elettro-acustiche che contengono ogni pezzo come un baluardo di bellezza in un mondo complicato. Un album non facile, dove non c'è un vero pezzo "immediato" ma trapela una forza quieta, diffusa, liquida, umanistica e inarrestabile. 

4

Jetstream Pony - Jetstream Pony

Oltre ai raffinatissimi Luxembourg Signal (vedi sotto), Beth Arzy è al centro anche di quest'altra super-band di veterani dell'indie pop (con lei Shaun Charman, Kerry Boettcher e Hannes Mueller), che però spinge più sul pedale dell'uptempo ed ha un'attitudine maggiormente ruvida e dinamica, tra ricordi C86 e lo stile dei gruppi della mitica Flying Nun: melodie di miele e chitarre sfrigolanti, ritmiche essenziali e incalzanti strutture circolari. Strano a dirlo, considerando il pedigree da sogno dei musicisti, ma è un disco d'esordio! 

3

Hazel English - Wake Up!

Primo vero album dopo una fenomenale infilata di ep, Wake Up! fotografa Hazel English in una consapevole transizione dal dream pop etereo, diafano e scampanellante degli esordi, ad una forma canzone più classica e programmaticamente orecchiabile, che travalica i generi e si nutre di storia del pop, da Bacharach in giù, con rispetto ed intelligenza. La musicista australiana, ormai californiana d'adozione, ha lavorato duro nella scrittura e nella produzione senza nascondere le proprie ambizioni, ed il risultato riesce a mettere insieme eleganza retrò e quella timida e sognante leggerezza che è da sempre il suo segno distintivo. 

2

Pillow Queens - In Waiting

C'è un'esigenza di raccontare così densa e travolgente nelle loro canzoni, che le Pillow Queens potrebbero fornire energia elettrica all'intera Dublino. Con gli spinotti delle chitarre ben infilati negli ampli sfrigolanti dell'indie anni novanta e l'attitudine ruvidamente gentile del cantautorato femminile di oggi, Sarah, Rachel, Cathy e Pamela fanno deflagrare la loro personalità in un disco di debutto quasi incredibile per forza comunicativa. Tutte e quattro cantano e si dividono le parti per ricomporle poi in un tutto in cui ogni chorus, ogni crescendo sembrano fatti apposta per sparare fuori una rabbia primigenia in modo a tratti drammatico ma mai mai retorico. Nelle pieghe di In Waiting c'è davvero di tutto: carezze e pugni, melodie e distorsioni, un romanticismo spontaneo e viscerale, e soprattutto un pugno di pezzi (li nominiamo: Holy ShowHandsome WifeLiffeyGay GirlsBrothers) di commovente purezza. 

1

The Luxembourg Signal - The Long Now

Tra mille band che si muovono tra le declinazioni più diverse dell'indie pop, The Luxembourg Signal possiedono da sempre una marcia in più: la capacità di conoscerle tutte in profondità, quelle declinazioni, e di poterle utilizzare tutte insieme, fondendole in un unico oceano sonoro, dalla superficie appena increspata e baluginante di luce. Beth Arzy, Betsy Moyer e compagni, da fuoriclasse assoluti, quando pubblicano un album puntano alla perfezione, e The Long Now è semplicemente un disco fatto di canzoni perfette: eleganti ed emozionanti al tempo stesso, ampie e dinamiche, sensuali, morbide ed elettriche, essenziali nella loro ricercata e levigata immediatezza.  



26 dicembre 2020

(just another) pop song EP & SONGS OF THE YEAR 2020

EP


6. Captain Handsome - I Am Not An Animal

Il debutto della londinese Lily Rae brilla di un sogwriting intimo, essenziale ma al contempo terribilmente incisivo, dolce e sofferto al tempo stesso, ambizioso nella sua apparente semplicità di mezzi.    

5. Egoism - On Our Minds 

Il dream pop di Scout Eastment e Olive Rush, singolo dopo singolo, è diventato una sicurezza in termini di qualità ed emozione: l'intreccio delle voci, le chitarre tintinnanti, le melodie di sognante ipnotica leggerezza, tutto funziona alla perfezione nel mondo etereo del duo australiano. 

 

4. Moscow Apartment - Better Daughter 

Brighid Fry e Pascale Pudilla hanno cominciato a suonare insieme giovanissime nella natia Toronto,  come due acustico di matrice folk. Oggi, appena girata la boa dei vent'anni, hanno virato verso un guitar pop di grande freschezza, illuminato dall'unione armonica delle loro voci e da una scrittura di elegante e sorprendente maturità. 

 

 3. The Francine Odysseys - What If We Were Wrong

Tra suggestioni folk e sonorità dream pop, i californiani guidati da Gretchen DaVault (anche nei The Blue Herons, vedi sotto)  hanno messo insieme quattro pezzi di incantevole dolcezza jangly, morbidi e calorosi come un abbraccio, perfette comfort songs per i momenti più bui.

  


2. Go Get Mum - Ok Now What

Intelligenti e splendidamente ironici, i quattro Go Get Mum sono i classici musicisti a cui vorresti offrire una birra (o più di una) dopo un concerto. Il loro indie pop spigliato, pieno di chitarre scampanellanti e melodie sornione, artigianale fino alle ossa, debitore dei Go Betweens, è semplicemente irresistibile. 


1. Hamburger - Teenage Terrified

Apparsi dal nulla come degli alieni dalle parti di Bristol, i sei musicisti che hanno scelto uno dei nomi più bizzarri possibile per una band sono gli autori della raccolta di canzoni più memorabile dell'anno. Divertenti e commoventi al tempo stesso, stralunati e indecifrabili, leggerissimi e tristissimi, splendenti di una clamorosa tenerezza, impastati di folk, indie e pop, i pezzi che impreziosiscono il debutto degli Hamburger sembrano davvero provenire da uno spazio-tempo diverso dal nostro. E probabilmente è così. 



SONGS


12. The Gabriels - Loose Canyon 

 

 11. No Suits In Miami - What We Have 


10. The Blue Herons - In The Skies 



9. Grids and Dots - Hazey Jane 


8. Kindsight - Terminal Daze 


7. FRITZ - Arrow


6. Exam Season - Your Car


5. Avind - Det Er Ingen I Nærleiken Av Deg


4. Snow Coats - Pool Girl


3. Apartamentos Acapulco - Alguien Normal


2. Fightmilk - If You Had A Sister


1. The Blue Herons - Go On

23 dicembre 2020

SOAR - Soft Dial Tone ALBUM

Mi capita tutti gli anni, in questo periodo, di tornare indietro a riascoltare dischi usciti nei mesi precedenti che avevo infilato nella lista "da ascoltare" senza poi avere il tempo di farlo davvero. Tra i tanti (tanti davvero), quello che mi pento maggiormente di avere trascurato è questo Soft Dial Tone delle californiane SOAR. 

Le quattro musiciste basate a San Francisco hanno già un album alle spalle e mostrano, in questo loro secondo lavoro, una sicurezza nei propri mezzi più che evidente. Il nucleo della musica delle SOAR potrebbe essere definito come un ibrido tra l'essenzialità del garage pop e la ricerca di strutture inusuali del math rock (un po' lo stesso milieu dei Great Grandpa): non c'è un pezzo che cerchi di essere apertamente orecchiabile, e su tutto aleggia una sensazione di obliqua inquietudine, tuttavia c'è anche - in ognuno degli episodi dell'album - una grande immediatezza comunicativa. Immediatezza che passa soprattutto dalle armonie vocali che le SOAR  dispiegano ovunque, forti del fatto - per nulla scontato - di non avere una cantante ufficiale, ma di poter usare le voci di tutte e quattro indistintamente. 

A mio gusto personale, preferisco quando le ragazze virano su un guitar pop più lineare alla Hinds, dove davvero sanno essere irresistibili nella semplicità dei due minuti (Corner Of A Room, Just Dirt, LotteryGhost), però è chiaro il loro talento anche e soprattutto quando alzano l'asticella. 

19 dicembre 2020

Smokescreens - A Strange Dream ALBUM

Per una band presentarsi prima di tutto come fans della mitica etichetta neozelandese Flying Nun e dei Go Betweens è già un biglietto da visita perfetto. Cosa ci si può aspettare da un endorsement così esplicito se non un jangly pop nostalgicamente cristallino. 

E in effetti è esattamente quello che i tre musicisti californiani sanno fare al meglio. Gli otto pezzi di A Strange Dream risuonano luminosi di quell'indie pop timidamente catchy e risolutamente midtempo che è stato (ed è) il marchio di fabbrica dei loro modelli. Con in più un'aria di malinconia acustica in bianco e nero (Nighttime Skies) che sembra uscita da un disco degli East River Pipe o da qualche altro singolo della primissima Sarah Records. 

I numeri migliori? La più rotonda, dinamica On And On, con le sue chitarre che più californiane di così non si può. L'immediatezza obliqua à la The Bats di I Want To Know. E la conclusiva I Love Only You, dove recitativo e armonie vocali accompagnano un ipnotico crescendo. 

15 dicembre 2020

Hamburger - Teenage Terrified EP

Capita a volte che una canzone sia talmente bella, emozionante e complessa che ogni tentativo di definizione per parole ed etichette sia del tutto inutile e superfluo. E' il caso di All Hai Zebulon!, il favoloso, adorabile, gentilmente spacca-cuore, dolcissimo e cattivissimo pezzo che apre il primo EP di questa band di Bristol dallo stravagante nome Hamburger. Capita meno spesso che la suddetta canzone sia seguita da altre cinque di pari potenza, ed è il motivo per cui Teenage Terrified mi ha letteralmente steso già al primo ascolto come pochi altri dischi quest'anno. 

Il sestetto fondato dai chitarristi Feargal Kilkenny e Tom Kelly in effetti della stravaganza fa una forma d'arte, che si esprime prima di tutto nelle liriche "su alieni tristi e umani tristi" che impreziosiscono ogni episodio, e poi soprattutto in un approccio che è programmaticamente e onestamente "fuori": dai generi, dalle mode, dai clichés, dall'esigenza di dare un nitore formale a una musica che è già luminosissima e perfetta nella sua artigianale essenziale imperfezione.

Se c'è un filo rosso che lega insieme i 6 pezzi di Teenage Terrified, è la loro sincera e deflagrante immediatezza, che sembra sempre partire da un confortevole, morbido e intimista milieu folk per muovere con costante e delicata determinazione verso un guitar pop velatamente inquieto che - per molti molti motivi - ricorda da vicino mostri sacri come i Grandaddy e gli Sparklehorse, ma cammina agevolmente di fianco a band di oggi che amiamo come i Martha o i Beths. 

Poche band possono suonare così dannatamente convincenti cantando versi come "It's no good i'm fucking miserabile" (in un pezzo che si intitola niente di meno che Supersad), proprio perché gli Hamburger lo fanno con una limpidezza di sguardo, di suono, di scrittura che, a mio parere, ha del miracoloso. 

Probabilmente la più bella e inaspettata scoperta del 2020. 

11 dicembre 2020

First Responder - Earth Angel ALBUM

Non succede spesso che una band dia alle stampe due album nello stesso anno. E' il caso dei First Responder che, dopo l'interessante Courage, fa uscire oggi otto nuovi pezzi - si tratta quindi di un mini-album, 20 minuti la durata complessiva - che a mio parere superano in qualità quelli usciti a marzo.

La band di Columbus suona un guitar pop elegante e levigato, che alterna momenti ariosamente jangly (il singolo Route 23 è il gioiello del disco ed ha una limpidezza da college rock dei bei tempi andati) ed altri più notturni ma di pari immediatezza, con un coté a tratti sognante ed ipnotico (Swimming In The Olentangy)  Si percepisce, nelle nuove canzoni di Sierra Mollenkopf e compagni, una grande ricerca di pulizia del suono ed una scrittura che in parte sembra più semplice ed urgente ma al contempo non rinuncia a strutture inusuali e ondivaghe (One Time). Il risultato è davvero convincente e riporta giustamente l'attenzione su un gruppo dal notevole potenziale che forse rischiava di non spiccare tra le tante cose ascoltate nel 2020. 

07 dicembre 2020

The Reds Pinks & Purples - You Might Be Happy Someday ALBUM

 

La critica musicale, che ama inventare etichette un po' per tutto, ha definito la musica di Glenn Donaldson "depresso pop", cercando di descrivere in sintesi il mix di malinconica gentilezza e di introspezione tipica del suo progetto The Reds Pinks & Purples. Che poi depresso non sembra affatto, a giudicare dai toni pastello che pervadono ogni sua composizione (e anche la copertina dell'album, che ritrae uno squarcio della sua San Francisco) e che invece si sposano alla grande con un'ironia raffinata e per nulla nascosta (vedi un titolo come Sex Lies & Therapy). 

Come già avevamo detto l'anno scorso in occasione dell'uscita del suo disco precedente, lo stile di Donaldson affonda le sue radici nel twee pop della Sarah Records e della Flying Nun  più che nel jangly scenografico degli Smiths (come ha scritto qualcuno che forse dovrebbe fare un po' di ripasso). Gli otto pezzi dell'album, realizzati in una dimensione assolutamente casalinga e artigianale, scampanellano quieti e tenuemente luminosi come i migliori Go Betweens, con una cristallina semplicità dal potere splendidamente catartico (e il titolo del disco allude proprio a questo). 

Da non perdere anche gli altri singoli ed ep che The Reds Pinks & Purples disseminano con lodevole frequenza.

03 dicembre 2020

Anna McClellan - I Saw First Light ALBUM

Anna McClellan ha già una storia artistica abbastanza lunga alle spalle, fin da quando nel 2014 cominciò a muovere i primi passi da singer songwriter a Omaha sotto l'egida dei concittadini Conor Oberst e Mike Mogis, due icone del cantautorato obliquo del Midwest americano.

Da allora ha pubblicato tre dischi, compreso questo I Saw First Light, che hanno conquistato qualche cuore soprattutto nella ristretta cerchia degli indie poppers che seguono quella galassia di musiciste "intellettuali" che vanno da Phoebe Bridgers a Frankie Cosmos, attente all'ironia fine delle liriche come e più del lato sonoro. 

L'album nuovo, a suo modo, ci mostra un'ambizione nuova nel mettere insieme canzoni che cercano programmaticamente di sovrapporre spontaneità libera e idee produttive diverse. I pezzi di Anna sono da sempre un po' sghembi e hanno quell'aria da improvvisazione mai del tutto intonata che sarebbe perfetta nel demo di un debuttante. Lo sono anche gli undici episodi di I Saw First Light, alcuni davvero belli e toccanti (Veronica la riascolterei venti volte di seguito) - ed è il loro fascino distintivo in definitiva - però quello che colpisce è la strada che imboccano per arrivare a destinazione: ora quella elettro-acustica che sembra la più congeniale alle sue corde, ora invece quella, decisamente meno "facile", che va ad utilizzare il piano, gli archi, i fiati, un violino folk, inserendoli però sempre in una dimensione da registrazione live a bassa fedeltà che dà una doppia sensazione di straniamento.