25 aprile 2024

Kindsight - No Shame No Fame ALBUM REVIEW


Cominciamo subito con una provocazione: potrebbero essere i Kindsight gli Alvvays europei? 
La risposta provo a darla nel corso di questa review, e potrebbe sorprendere qualcuno.

Partiamo dall'inizio. Who Are You, il primo pezzo del quartetto danese, data nemmeno quattro anni fa, e già allora parlavamo volentieri di next big thing della nostra scena indie pop continentale. La band di Copenhagen da allora ha inanellato una serie di singoli ed ep dove mostrava alla grande il proprio talento, e nel '22 ha pubblicato un disco d'esordio con un titolo formidabile - Swedish Punk - e un pugno di canzoni di straordinaria forza, che mettevano insieme con equilibrio ed una evidente ambizione un'anima molto melodica ed un'attitudine energica e a tratti spigolosa. Un mix che, lo sappiamo, non è certo raro nelle band scandinave. 

Arrivati al secondo album, quello "difficile", secondo tradizione, Nina Hyldegaard Rasmussen, Søren Svensson, Anders Prip e Johannes Jacobsen riprendono il discorso da dove lo avevano interrotto - l'arrembante e compatto pezzo di apertura, Acid Island 45, è un perfetto ponte verso il passato della band - ma lo fanno oggi con una rafforzata consapevolezza di possedere capacità di scrittura e di performance fuori dall'ordinario. 

Prendiamo Eyelids, secondo episodio del lotto, ed avremo già una perfetta inquadratura di cosa sono i Kindsight. Tutta l'architettura del pezzo, che all'apparenza è la classica indie song leggermente obliqua e al contempo assolutamente catchy, esibisce un lavoro di costruzione che definire abile sarebbe riduttivo: l'impasto complesso e inquieto delle chitarre è già di per sé prodigioso; il gioco di alternanza e mescolanza di dolcezza e acidità è sorprendente; la spiraliforme apertura melodica fra strofa, ponte, ritornello e finale ha una forza trascinante; la voce delicata di Nina funge da ossimoro e insieme da catalizzatore di energia. Se per l'appunto vengono alla mente gli ultimi Alvvays ,che (a modo loro, ovvio) fanno lo stesso lavoro, non è certo un caso. 

Love You Baby All The Time, con quel titolo lì, non può che essere la testa d'ariete melodica del disco, e spinge come deve dall'inizio alla fine, surfando su delle chitarre letteralmente rombanti, verso un crescendo  di leggiadra potenza ed una conclusione corale che è insieme entusiasmante e splendidamente ruffiana. Siamo dalle parte dei Beths, decisamente, nelle loro cose più riuscite. 
Il power pop (molto pop) di Tomorrow, così luminoso e rotondo, mostra davvero in purezza la sfrontata bravura dei Kindsight, con un chorus di catartica morbidezza che esplode in mezzo alla canzone e ti fa subito venire la voglia di cantarlo. 
Se la delicatissima ballata elettrica Killing Eye abbassa i giri e mette sotto il riflettore la zuccherina delicatezza vocale di Nina - è una cesura ideale nel centro dell'album - con la successiva Madhouse Breakout Multitool i Kindsight mettono in piedi la forma più complessa e ambiziosa del disco, facendo convergere e allontanare linee diverse, spezzando il ritmo e riaccendendolo, mescolando in un paesaggio alla Radiohead chitarre, violoncello e voci diverse in apparente contrasto e riassumendo tutto in un'armonia irrequieta e suggestiva. 
E persino le ascendenze punk pop della più diritta Terracotta Team Song - che potrebbe essere un pezzo dei Martha - alla fine mettono in evidenza, sotto la forza dirompente di uno dei ritornelli più forti dell'album, quell'insieme di screziature ritmiche ed elettriche che un po' alla volta sono diventate la vera impronta stilistica del gruppo. 
Il disco si chiude con la vasta narrazione di Easter and The Boys, che rinchiude in un intricato diorama di stampo chiaramente dream pop tutte le suggestioni presenti negli otto pezzi precedenti. In quasi dieci minuti ritroviamo ancora la dolcezza vocale quasi estenuata della Rasmussen, un tessuto ritmico che sembra evolvere su sé stesso ed una coda elettrica di atmosferica psichedelia quasi post rock. 
Insomma, in No Shame No Fame ci sono tante cose concentrate in poco spazio, il che è un dato a cui i Kindsight ci hanno abituato fin dagli esordi. 

Resta aperta la questione di partenza: posto che gli Alvvays sono il vertice indie pop dei nostri tempi e credo lo saranno a lungo, i Kindsight possono essere i loro epigoni nel vecchio continente? Al di là del gioco delle somiglianze e ovviamente partendo sempre dal fatto che ogni band è sé stessa e basta, io credo francamente che lo fossero potenzialmente agli esordi e che lo stiano diventando sempre di più adesso. Per quale motivo? Perché negli occhi dei cinque di Toronto e in quelli dei quattro danesi brilla veramente la stessa scintilla. Che è poi il desiderio di maneggiare la materia indie pop - che è fluida e poderosa, ed entrambe le band la conoscono bene - e di plasmarla per farne qualcosa di nuovo, che stia rispettosamente fuori dai canoni, usandoli per imprimere nello schema voce-chitarre-basso-synth una direzione così personale da diventare facilmente riconoscibile. Quello che manca ancora ai Kindsight - ma non  dipende da loro - è quel riconoscimento di ampia scala che spetta ai grandi. Certo, il fatto di venire da una periferia probabilmente non aiuta, ma c'è tempo.
 

19 aprile 2024

The Reds Pinks & Purples - Unwishing Well ALBUM REVIEW

Nel mondo produttivo/musicale di Glenn Donaldson, sei mesi valgono più o meno sei anni nella carriera di qualsiasi altro artista, per cui eravamo piuttosto in pensiero quando - a partire da ottobre scorso - non abbiamo più trovato nuove uscite discografiche del profeta del jangle pop lo-fi californiano. 

In verità Glenn sembra stare piuttosto bene, ed eccoci infatti davanti al suo sesto album ufficiale (gli ep non li contiamo da un pezzo), con la sua immancabile coloratissima copertina che ritrae l'ennesima scena urbana floreale della sua amatissima San Francisco. 

L'abbiamo detto più volte: ascoltare un album dei Reds Pinks & Purples è un po' come andare a trovare un amico che abita lontano ma che, ogni volta, ci sembra di avere salutato giusto il giorno prima. Lo stile della creatura musicale di Donaldson (lui al centro, la band intorno) è a suo modo monolitica, pur avendo il Nostro fatto qualche piccola sperimentazione (solo strumentali, più o meno elettricità, più o meno produzione...) nella sua torrenziale carriera. 

Unwishing Well non smuove particolarmente la palette espressiva di Glenn, ed è esattamente il motivo per il quale ci sembra sempre davvero un vecchio carissimo amico a cui non possiamo che volere bene.

La tematica prevalente del disco - oltre a quella consueta poetica della quotidianità "normale" e straordinaria tipica dei Reds - stavolta ci sembra vertere sulla musica come mestiere, e se in passato Glenn aveva scritto una canzone che si intitolava Break Up The Band, qui ce n'è una che si chiama How To Love A Band, che ci sembra testimoniare un umore generale più sereno del solito. 

Si succedono in effetti una serie di pezzi dove le coordinate sono quelle di sempre - la stratificazione delle chitarre, jangly, acustiche e spesso sfrigolanti, la voce piana e amabilmente narrativa - e si alternano momenti più vivaci e sornioni (la iniziale What's Goimg On With Ordinary People, quella delizia pop che è Public Art), altri dove veniamo letteralmente immersi in un morbido stream of consciousness di stampo quasi dream pop (Faith In Daydreaming Youth), altri ancora dove le due cose si fondono alla perfezione (Your Worst Song Is Your Gretest Hit), con in più una ballatona strappalacrime come Dead Stars In Your Eyes che sembra stare lì in mezzo a ricordarci, se ce ne fosse bisogno, di quanto sia bravo Donaldson a scrivere canzoni emozionanti. 

18 aprile 2024

Agent Blå - Stab! ALBUM REVIEW

Osservavamo, giusto poche settimane fa, a proposito dell'uscita dei concittadini Boy With Apple, quanto le band svedesi spesso sembrino cucite l'una addosso all'altra da un filo ideale che attraversa diversi anni e diverse scene (qui in particolare parliamo di quella di Göteborg). In riferimento ai BWA avevamo fatto il nome degli Agent Blå. In riferimento agli Agent Blå potremmo fare quello dei Makthaverskan. E così via fino a un capostipite comune che potrebbero essere (fuori dalla Svezia of course) i Joy Division, o Siuxsie, o i primi Cure...

L'ultimo album del sestetto capitanato da Emilie Alatalo risale addirittura a cinque anni fa. Nel frattempo la band ha evidentemente lavorato a consolidare quella lenta ma inesorabile evoluzione che si nota sempre di più a partire dagli esordi fino ad oggi. 

Se c'è un denominatore comune in tutti i dischi degli Agent Blå, sta sicuramente nel vigore notturno e insieme immediato del loro post punk, che la voce poderosa di Emilie incarna alla perfezione. La strada tracciata dal gruppo svedese va invece decisamente da un'attitudine più rude agli esordi ad un suono che oggi ha raggiunto una straordinaria rotondità, puntando in alcuni episodi a centrare una dimensione quasi pop (Rain To You è un banger notevole) e più in generale a costruire canzoni dalle strutture apparentemente semplici ma in realtà di complessa ambizione. Prendiamo come esempi l'apertura super scenografica (piano, armonie vocali, chitarre) dell'accoppiata Stab / Ebb and Flow, che prese insieme propongono una sorta di accattivante versione post punk dei Coldplay. O l'inquieta energia oscura che si agita in pezzi più aggressivi ma decisamente synth-driven come Discount e The Fascination Of Self Sabotage. E soprattutto la sinuosa teatralità di Crisis Apparition, che chiude a cerchio l'intero album e al contempo lascia un finale del tutto aperto. 

In definitiva Stab! è esattamente ciò che promette il suo titolo: un disco breve, compatto, affilato, che colpisce al cuore con la forza di una band che ormai maneggia con estrema sicurezza la propria materia e il proprio stile. 

14 aprile 2024

Broken Dreams Club - Why Would Something Good Happen EP REVIEW

A proposito del titolo del disco di cui stiamo parlando: il terzo ep dei Broken Dreams Club da metà febbraio giaceva dimenticato nella (lunga) lista delle cose che programmo di ascoltare. Delitto, visto che già dagli inizi del gruppo di Bristol me ne ero un po' innamorato. Poi evidentemente "qualcosa di bello è accaduto": l'ho recuperato per puro caso e il colpo di fortuna mi ha letteralmente svoltato la giornata.

E visto che parliamo di liste, ecco i motivi per cui Broken Dreams Club è attualmente uno dei miei progetti musicali preferiti: Amy Bevan, la titolare della band, è precisamente una di quelle ragazze con la chitarra che regolarmente mi fa impazzire; il nome della band è un omaggio a una canzone dei Girls, che sono stati una band eccezionale ma tutti ce li dimentichiamo sempre, brava Amy che ce li ricordi!; tutto quello che BDC hanno prodotto dal 2020 a oggi è un po' una versione da cameretta dei Beths (quella stessa ironia, quella stessa energia, ma tutto in una dimensione twee vagamente cantautorale ma non del tutto, e soprattutto molto molto immediata), il che già di per sé ha qualcosa di adorabile a prescindere; la copertina di Why Would Something Good Happen è così teneramente bella che vi porterebbe a comprare il disco senza nemmeno ascoltarlo... 

E poi ci sono i quattro pezzi dell'ep, che possiedono una commovente, a suo modo timida ma devastante forza comunicativa. Ti conquistano subito con questi titoli folli come Jimmy Eat World Told Me I Was In the Middle, e poi ti trascinano con la loro intelligentissima semplicità, perché Amy sa come si scrivono le canzoni. You Can't Delete Me, diciamocelo chiaro, è un piccolo inno che - vi assicuro - non vi volete perdere per nulla al mondo e finirete a canticchiare in modo ossessivo. Douchebag è un saggio di quel pop elettrico alla Girlhouse, con le chitarre che sfrigolano ma che si può pure ballare, che vorremmo sentire di più in giro. E Being Human è semplicemente una canzone da ascoltare - musica e liriche, potentissime, corali, umanistiche, appunto! - ad occhi chiusi, e ridere o piangere o tutte e due le cose insieme. 

10 aprile 2024

Coming Up Roses - Coming Up Roses EP REVIEW

Seguo i Coming Up Roses praticamente dai loro inizi - cinque anni fa - e mi è capitato spesso di lodare i singoli e gli ep che via via pubblicavano dalla natia Singapore. intenzione di reimpiantare i Coming Up Roses in Europa. Per farlo hanno necessariamente licenziato i membri della band che sono rimasti a Singapore, imbarcato un chitarrista e un batterista inglesi, assoldato un produttore (Josh Rumble) che ha lavorato anche con Florence Welch e pubblicato oggi questo ep di quattro pezzi che può servire da perfetto biglietto da visita per il talento del gruppo.

I quattro episodi in effetti mostrano in modo evidente tutto quello che i CUR sanno dipingere: gli ampi e super catchy orizzonti dream pop di Don't Let It Break Your Heart e Back The Way We Came, le suggestioni quasi shoegazer di Why (suggestioni, perché il bersaglio è sempre totalmente melodico), la delicatezza acustica di Silence

E' evidente, nella musica dei Coming Up Roses una certa consapevolezza nei propri mezzi - le doti vocali sapientemente esibite da Emily, la tessitura poderosa e misuratissima delle chitarre, la scrittura che punta immancabilmente a creare uno spannung emozionale in ogni pezzo - ma questo non è certo un difetto ed è altrettanto oggettivo che l'esordio della nuova versione della band è una piccola ma potente prova di bravura e ambizione. 

05 aprile 2024

Chastity Belt - Live Laugh Love ALBUM REVIEW

In più di un decennio di carriera le Chastity Belt si sono senz'altro conquistate un notevole riconoscimento nella scena indie americana. Fin dagli esordi, la band di Julia Shapiro ha saputo declinare in modo molto personale delicatezza e spigoli, inquietudine e melodia, umori notturni e luminosità, mentendo sempre sullo sfondo l'indie rock dei Novanta dai Sonic Youth in giù. L'ultimo lavoro, che portava il nome del gruppo, risale addirittura al 2019, tanto che si avanzava il sospetto che le quattro di Seattle avessero preso strade diverse. E invece semplicemente le Chastity Belt hanno deciso di prendere tutto il tempo necessario alla scrittura e alla produzione del disco, che in verità ha richiesto tutto l'ultimo quinquennio.

Il risultato è direttamente proporzionale all'impegno che le ragazze hanno dedicato al loro nuovo album: non c'è dubbio che Live Laugh Love sia il migliore fra i cinque che hanno pubblicato sinora. Il migliore per diversi motivi. Innanzitutto negli undici episodi del disco troviamo davvero un distillato perfetto dello stile Chastity Belt, che sembra avere trovato una quadratura quasi miracolosa. A differenza degli album precedenti - che erano tutti ottimi, intendiamoci - qui non c'è un solo istante di debolezza: i pezzi crescono uno sull'altro con un misto di forza, immediatezza ed equilibrio, in una infilata di densa bellezza. 

L'atmosfera di intensa e imbronciata introversione che da sempre caratterizza lo stile del gruppo è sempre ben radicato nel respiro profondo di ogni canzone, ma c'è davvero oggi un desiderio di dare ossigeno melodico ad ogni pezzo (ogni pezzo, sì), che trova sempre un suo crescendo catartico che finalmente possiamo osare di definire come catchy.

C'è, come sempre, un gran lavoro nel suono delle chitarre, e la voce della Shapiro ha ancora quel fascino algido che conosciamo e amiamo, ma mai come oggi tutto sembra funzionare come una macchina perfettamente oliata (prendiamo come esempio l'architettura ambiziosa e al contempo immediata, buia e baluginante al tempo stesso di Chemtrails), tanto che a tratti sembra di sentire un obliquo e ammaliante ibrido di Death Cab For Cutie e Fear Of Men. 

01 aprile 2024

Boy With Apple - Attachment ALBUM REVIEW


Non c'è bisogno di dire quanto indie pop abbia prodotto la Svezia nelle ultime decadi (ne parlavo di recente qui, a proposito della retrospettiva che ho dedicato ai Sabassadeur), quindi è quasi normale che le nuove band da quelle parti crescano sulle spalle di quelle precedenti, animando una scena che non ha mai smesso di produrre cose belle.

Per quanto riguarda i Boy With Apple, che vengono da Göteborg, le ramificazioni stilistiche della loro musica sembrano voler toccare davvero tutto quello che sta prima e intorno, dai concittadini Agent Blå e Makthaverskan, fino a Westkust, Hater, Holy Now, No Suite In Miami, e così via. Tanto che, a sentire bene il loro ambizioso e poderoso album di debutto Attachment, viene da immaginare davvero una sorta di favolosa "all star" del dream pop scandinavo.

GBG Hills (la sigla sta per Göteborg), il pezzo sognante, malinconico e catartico che apre il disco, è già di per sé uno straordinario grimaldello melodico che fa senz'altro saltare sulla sedia chiunque non abbia mai sentito nominare prima i Boy With Apple, ed è un ottimo riassunto di quello che Tim, Saga, Zara e Valle sanno e vogliono fare: un dream pop di elegante densità, etereo nel tocco ma solidissimo nella materia sonora, che prende i Cocteau Twins e li spedisce direttamente nel 2024, che pulsa di energia nell'intreccio di synth (tanti), chitarre jangly e riverberanti, ritmiche sintetiche spesso torrenziali e una vocalità condivisa fra le due ragazze del gruppo di diafana delicatezza.

I quattro svedesi hanno lavorato a lungo per il loro debutto, ed è evidente in tanti episodi dell'album il loro tentativo (perfettamente riuscito, diciamolo subito) di sovrapporre come layers complementari i loro modelli: ad esempio le chitarre liquide dei My Bloody Valentine in Valentine (poteva chiamarsi diversamente il pezzo?), il dinamismo zuccheroso delle Lush nella spettacolare e suggestiva Linger On, ma soprattutto l'allure elettronica/shoegazer dei Wolf Alice in Lily, Strawberry Boy e Rosemary's Baby.

Quello che fa più impressione nella successione dei tredici episodi di Attachment è però la mancanza di un momento debole: non c'è veramente un pezzo che non abbia il suo perfetto equilibrio fra atmosfericità e immediatezza, con in evidenza dei banger potenziali di inaspettata e trascinante leggerezza come Good For You e Green Eyes che persino ai blasonati Bleach Lab potrebbero fare comodo. E sta probabilmente qui - al di là del gioco dei rimandi e delle somiglianze - il marchio assolutamente personale dei Boy With Apple: nella loro capacità (molto svedese) di essere pop muovendosi con destrezza dentro gli stilemi del genere, utilizzandoli anzi con una coloritura che è tutta loro e con una eccezionale forza comunicativa (vivisezionate i tre minuti e trenta di My Girl e guardate quante cose ci sono dentro, e soprattutto quanti secondi ci mette a incollarvisi addosso). 

Sono quindi i Boy With Apple la next big thing scandinava che attendevamo da un po'? Se volete la mia sincera impressione, direi che probabilmente lo sono. Perché sono terribilmente talentuosi, tecnicamente preparatissimi, assolutamente contemporanei nel suono e nell'approccio, coerenti e riconoscibili nella loro proposta ma anche abbastanza eclettici da aggiornarla e spingerla avanti.