26 giugno 2023

VULPIX - Innocent Pleasures, Repeated Measures ALBUM REVIEW

Già da diversi mesi, a intervalli regolari, sono apparsi nuovi singoli firmati VULPIX, uno più incantevole dell'altro, tutti improntati a un dream pop che potremmo avvicinare per mezzi e stile a quello del maestro Castlebeat. In questo Innocent Pleasures, Repeatded Measures, troviamo quegli stessi singoli dentro una collezione di dodici pezzi che per Jordan Barrow, il musicista australiano che si cela dietro il nome VULPIX, costituisce in verità l'album di debutto, pur risalendo l'esordio del suo progetto al lontano 2013. 

Per restare nel paragone con Josh Hwang / Castlebeat, anche Barrow muove da stilemi post punk che partono da Joy Division, The Cure e Jesus & Mary Chain, attraversano la new wave mescolando chitarre jangly e synth, ed arrivano fino ad oggi con una grande freschezza ed un notevole potere di suggestione. E come Hwang - che, non è un caso, è il titolare di quella Spirit Goth Records per cui VULPIX incide - Jordan fa praticamente tutto da solo nello spazio creativo "da cameretta" della sua creatura musicale, ricorrendo giusto qua e là a qualche voce femminile in prestito.

Nelle canzoni di Barrow ritroviamo un'anima indie pop timida e luminosa al tempo stesso, tratti di malinconia che si aprono spesso e volentieri ad una delicata leggerezza, chitarre che scampanellano ipnotiche, morbidi carillon di synth, una ritmica sintetica essenziale e melodie di cantilenante gentilezza. L'infilata iniziale Red Moon, Lo-Life, Weekend-Off, I Am Just A Shell, è davvero entusiasmante; il resto non è da meno. 

21 giugno 2023

SINGOLI (SUMMER IS COMING EDITION)

 L'estate sta arrivando. Anzi, l'estate è già qui... Nella scelta di questo mese posto d'onore per The Churchhill Garden: il nuovo pezzo è la cosa più pop della loro carriera. 

Tra le altre cose, gli Apartamentos Acapulco mai così uptempo, altre piccole gemme dalla Spagna con Teleclub e Palida Tez, la classe infinita dei Kindsight,  un mini ep dei The Age Of Colored Lizards, il ritorno dei veterani The Popguns, un pezzo davvero magnifico di Vulpix... E tante altre cose belle!

  















18 giugno 2023

Swim School - Duality EP REVIEW

All'epoca dell'uscita del loro EP d'esordio Making Sense Of It All, gli scozzesi Swim School mi erano sembrati una band un po' piaciona - tante chitarre, suono saturo, synth alla moda - come ce ne sono parecchie in giro. In un'intervista loro stessi si definivano, in modo per altro efficacissimo, come una versione discount dei Wolf Alice, altro gruppo per cui nutro sentimenti alterni, e tanto mi bastava per non occuparmene più.

Quando ho affrontato questo secondo EP, francamente non mi ricordavo più molto di Alice Johnson e compagni, tanto che ho faticato parecchio a recuperare la memoria del loro debutto. Il che, dal mio punto di vista, è davvero un ottimo segnale, perché oggettivamente mi sono trovato davanti ad una band che suona davvero rinnovata.

Messe da parte le ambizioni da nuovi Garbage, gli scozzesi hanno smussato alla grande gli angoli e virato verso un dream pop apertamente melodico che l'iniziale Kill You definisce già molto bene: l'elettricità c'è ancora, eccome, ma è usata decisamente meglio, al servizio sia della voce di miele di Alice (che appare finalmente come liberata) e di una forza emozionale che vuole arrivare più attraverso una luminosa catchyness che con il poderoso peso specifico vagamente dark degli esordi. Stesso discorso per l'ancora più morbida e rotonda Don't Leave Me Behind, ma anche per un episodio come Over Now che riesce a mescolare aggressività ed equilibrio con il talento di una band che evidentemente ha trovato la quadratura del proprio stile. 

14 giugno 2023

The Churchhill Garden - Metamorphosis ALBUM REVIEW


Sotto molti punti di vista, musicisti come Andy Jossi sono davvero un patrimonio inestimabile. Fin da quando era un ragazzino Andy si è innamorato delle chitarre dei Cure, delle atmosfere post punk, delle dilatazioni di zucchero dello shoegaze e del primo dream pop, e ha cominciato a scrivere e suonare le sue cose mettendo insieme la passione per i suoi artisti preferiti e la tipica tenacia di chi si chiude in camera a smanettare con le pedaliere e non esce finché non trova l'effetto che aveva in testa. In pratica il musicista svizzero ha cominciato in perfetta solitudine, chiedendo a qualche amico scovato in rete di prestare la voce alle sue composizioni: è nato così il progetto Churchhill Garden, più di un decennio fa, ai tempi di myspace per intenderci.

Un po' alla volta le canzoni di Jossi hanno cominciato a circolare nel sottobosco degli appassionati di dream pop, e tra questi ultimi c'era anche l'americana Krissy Vanderwoude (cantante anima dei Whimsical), che di lì a poco da fan è diventata la cantante ufficiale di Churchhill Garden, iniziando una lunga collaborazione a distanza. 

Di Churchhill Graden abbiamo sempre aspettato nuovi singoli, che arrivavano puntuali e puntualmente non deludevano. Tuttavia un album - stesso discorso vale per l'altro progetto di Andy, The Blue Herons - non è stato mai pubblicato, fatta eccezione per una collezione, Heart & Soul, che metteva in fila le vecchie produzioni fino al 2019. 

E in verità anche questo Metamorphois, che esce anche in una versione fisica di raffinatissima bellezza, non è un album, ma un'altra collezione che contiene sette pezzi già editi ma che hanno subito una meticolosa rimasterizzazione (ecco la metamorfosi) e appaiono ora in una forma piena e scintillante.

Il dream pop di Andy e Krissy è - possiamo dire così - esso stesso la definizione da manuale del genere: canzoni distese e dalla forma circolare, voce femminile che si compenetra con lo sfondo sonoro, melodie di avvolgente dolcezza, ritmi decisi e quadrati, e soprattutto una selva intricata e lussureggiante di chitarre che sovrappongono fragore e carillons, elettricità statica e jingle jangle infiniti. 

I sette pezzi scelti per Metamorphosis rappresentano al meglio quello che Jossi fa da sempre: scrivere canzoni che ibridano le Lush, i Cure di Disintegration, i Cocteau Twins, gli Slowdive di Souvlaki (e la lista potrebbe continuare) con un tocco programmaticamente catchy ed una cura produttiva dei dettagli che traspare veramente da ogni suono. 

Tre pezzi più brevi all'inizio. Aprono Reality e Grounded, la prima con un retrogusto di primissimi Cranberries, la seconda più aggressiva nella sua linearità post punk. Segue Always There, che rappresenta in modo cristallino la via al pop dei Churchhill Garden e fonde alla perfezione i modelli che dicevamo: un paesaggio che sembra uscito dal pennello sonoro di Robert Smith, ma incentrato su una melodia di sognante gentilezza e su stilemi apertamente shoegaze, che vanno a costruire un crescendo di studiata emotività. 

Quattro brani più lunghi e dilatati nella seconda parte della raccolta, dove prende forma in pieno l'idea di dream pop di Andy e Krissy: la morbidezza eterea di Birds con il suo florilegio di cori e chitarre scampanellanti, l'orchestrazione magica e complessa di Fade Away e quella languidamente malinconica di Lonely con la sua coda cosmica. E infine i quasi otto minuti di Rearview Mirror, che per ambizione architettonica e immediatezza melodica è sino ad ora la cosa migliore uscita dalle mani di Churchhill Garden: un flusso di marea stellare che sale, travolge, scende e ritorna in un finale che è un'esplosione di elettricità e bellezza. 

10 giugno 2023

Sailor Down - Lookout Park ALBUM REVIEW

E' senz'altro un momento di hype per un certo cantautorato femminile diciamo tradizionale, negli States, se guardiamo al successo che sta avendo un progetto come quello di Boygenius. Ovviamente, sotto la superficie, c'è un mondo di splendide artiste che spesso sfiorano giusto una celebrità locale e che mi piace da sempre esplorare. 

Un paio d'anni fa mi sono imbattuto per caso nella musica di Chloe Deeley, in arte Sailor Down: il suo ep di debutto mi sembrò una piccola perla di artigianato da cameretta lasciato come un messaggio in bottiglia sulle spiagge del Massachusetts. 

E' quindi con grande gioia che scopro che Chloe oggi è riuscita non solo a mettere insieme il suo primo album, ma a far crescere in modo  significativo il suo stile di acustica essenzialità verso una dimensione a tratti più dinamica ed elettrica che per molti versi somiglia tantissimo a Soccer Mommy (lo testimoniano subito l'iniziale We Drove Out West e la più mossa Lookout). 

Attorno a I Get It e Skip The Line - vere signature songs di Sailor Down, già presenti nel primo ep, intrise di quella delicata e intensa poetica che sta da qualche parte fra Phoebe Bridgers e Owen  - ascoltiamo volentieri otto pezzi nuovi ancora incentrati su voce, acustica e liriche di personale introspezione, con una pedal steel, una elettrica e qualche timido suono elettronico che non snaturano comunque la pregevole spontaneità lo-fi dell'insieme. 

02 giugno 2023

Beach Fossils - Bunny ALBUM REVIEW


Perché ci piace tanto il jangle pop? I motivi, a mio parere, sono due. Il primo sta nella forma aerea dei suoi stessi suoni: quelle chitarre scampanellanti, quale veloci trine di arpeggi elettrici che inseguendosi ti trascinano verso l'alto, quella idea di impalpabile leggerezza che si lega indissolubilmente ad una suggestione di sottile ma innocua malinconia, in tante declinazioni differenti certo, ma sempre nel giro aereo di questi paesaggi musicali di psichedelica delicatezza. Il secondo motivo sta nel fatto che parliamo di un modo di suonare che ha radici ormai lunghissime (i Byrds, la California del surf rock) e che non ha in verità mai smesso di germogliare, in nessuno dei sei decenni in cui possiamo ritrovarlo. Perché, diciamocelo, c'è lì dentro qualcosa di magico e forse di "chimico", che ha il potere di intriderci i pensieri e farci stare meglio.

Una lunga introduzione per celebrare ovviamente un album in cui i jingle jangle delle chitarre sono la linfa vitale, e non un album qualsiasi, trattandosi del quinto di una band di culto come i newyorkesi Beach Fossils.  

Introduzione che potrebbe servirsi anche soltanto delle prime note del pezzo che apre il disco, Sleeping On My Own, e tanto basterebbe per rispondere alla domanda con cui abbiamo aperto. Perché ci piace tanto questa musica? Perché è fatta della materia dei sogni, per rubare le parole del poeta. Una materia che Dustin Payseur, anima da sempre dei Beach Fossils, maneggia con l'arte di chi sa trasformarla in canzone con pochi abili tocchi di plettro.

La band americana, fin da quell'album omonimo che l'ha fatta diventare una piccola istituzione del mondo indie, ha sempre ibridato suggestioni post punk e tradizione jangly, arrivando ad un disco come Somersault, del 2017, in cui l'ambizione era quella di togliere dalla quota pop e aggiungere in quella della raffinatezza sperimentale (e infatti è il loro album più amato dalla critica, ma anche quello meno immediato ed efficace, a mio parere).

Bunny arriva dopo sei lunghi anni e ci mette davanti dei Bech Fossils che senz'altro riconosciamo al primo colpo, ma sembrano avere recuperato l'intenzione di scrivere le canzoni più catchy della loro carriera, pur restando nell'alveo della loro ormai consueta e quasi maniacale cura formale. Ecco allora la dolcezza acustica profumata di una brezza country di Run To The Moon, il carillon di Don't Fake Away con i suoi synth che citano apertamente The Cure, la psichedelia color pastello di (Just Like The) Setting Sun e Anything Is Anything con i loro ritornelli di catartica apertura, un singolo di intelligente piacevolezza come Dare Me, il dream pop alla Spaceman 3 di Feel So High, le chitarre avvolgenti e fragorose di Seconds, e infine l'outro di aerea morbidezza Waterfall. Il tutto in un flusso emozionale compatto e coerente, appena appena algido come i Beach Fossils sono sempre stati, ma intessuto di un fascino innegabile.

Nel novero delle band dream pop di oggi - band che per altro ai Beach Fossils spesso si sono ispirate - Dustin Payseur e compagni conservano lo status invidiabile di gruppo fuori dalle mode e dall'eleganza eterea e quasi fuori dal mondo. Non hanno (e non hanno mai avuto) l'ambizione di scrivere anthem di genere (e qui non ce ne sono), ma hanno un'intera carriera a testimoniare quanto siano ancora influenti nella scena indie pop. Bunny con i suoi undici episodi di luminosa bellezza dimostra come i quattro di New York abbiano ancora una inestinguibile passione di lavorare sui dettagli e cercare non la perfect pop song in generale, ma la "loro" perfect pop song.