C'è qualcosa di curioso e di speciale in East Bumblefuck, il primo singolo del primo EP di Olive & The Pitz. Le liriche cantate da Olivia Riggio concentrano una disperazione post-adolescenziale ed una potente maliconia da remota provincia americana (il titolo si riferisce ad un'espressione che noi tradurremmo "in culo al mondo" o qualosa di simile), porgendola però attraverso un guitar pop gentile, vagamente stralunato ed essenziale, così spontaneo nel suo crescendo di elettricità da generare un effetto ironicamente efficace e davvero coinvolgente.
Le 5 canzoni di Landlocked, debutto assoluto per il giovanissimo quartetto del Jersey, rivelano non solo un talento compositivo degno di attenzione (vedi ad esempio i raffinati cambi di ritmo di Bildungsroman), ma anche un'indubbia bravura nel maneggiare le chitarre, che creano trame jangly per nulla scontate attorno alla voce educata di Olivia.
Olive & The Pitz si muovono in una dimensione cantautorale, ma hanno quello stesso spirito artigianale, intelligente, agrodolce e sbarazzino dei gruppi della K Records, capace di mettere insieme melodia e fervori indie.
Teniamoli d'occhio.
30 ottobre 2016
Olive & The Pitz - Landlocked [EP Review]
25 ottobre 2016
LVL UP - Return To Love [ALBUM Review]
Le prime note di Hidden Driver, il pezzo che apre il nuovo album dei LVL UP, non può non ricordare il febbrile e geniale sferragliare acustico dei mitici Neutral Milk Hotel (che sono un modello dichiarato per la band newyorkese). C'è però, nell'approccio dei LVL UP, una evidente diversità rispetto al compianto gruppo di Jeff Mangum, sebbene l'urgenza espressiva e il potenziale melodico siano davvero simili.
Nel quartetto di New York innanzitutto vige una sorta di democrazia autoriale e vocale, per cui tre dei quattro membri scrivono e si mettono a turno davanti al microfono. Il risultato non corre però affatto il rischio della disomogeneità, raggiungendo anzi una notevole personalità e compattezza. Un po' come i mostri sacri dell'indie anni '90 (citiamo Dinosaur Jr., Pavement, Sebadoh e Buit To Spill tra gli altri), i LVL UP innestano una spiccata efficacia melodica nel cuore sfrigolante di un suono di chitarra sporco e poderoso, ottenendo - uno dopo l'altro in una successione torrenziale - una serie di episodi coinvolgenti e a tratti entusiasmanti (personalmente ascolterei Spirit Was in loop per almeno un'ora senza stancarmi).
Al di là dello spirito lo-fi che anima il gruppo, l'ambizione di Caridi, Benton, Corbo e Rutkin è palpabile: nella costruzione non scontata delle canzoni così come nella loro durata (c'è un certo gusto per le code che si allungano), nelle liriche, nella dialettica tra acustica ed elettrica, nella cura per i cori, nella ricerca di una dimensione che stia a cavallo fra pop e indie rock. In effetti, se è vero, i LVL UP avevano deciso di sciogliersi se Return To Love non fosse uscito da semi-anonimato delle minuscole label indipendenti. La Sub Pop - niente meno - ha salvato il presente della band e probabilmente le spalancherà il futuro brillante che merita.
Nel quartetto di New York innanzitutto vige una sorta di democrazia autoriale e vocale, per cui tre dei quattro membri scrivono e si mettono a turno davanti al microfono. Il risultato non corre però affatto il rischio della disomogeneità, raggiungendo anzi una notevole personalità e compattezza. Un po' come i mostri sacri dell'indie anni '90 (citiamo Dinosaur Jr., Pavement, Sebadoh e Buit To Spill tra gli altri), i LVL UP innestano una spiccata efficacia melodica nel cuore sfrigolante di un suono di chitarra sporco e poderoso, ottenendo - uno dopo l'altro in una successione torrenziale - una serie di episodi coinvolgenti e a tratti entusiasmanti (personalmente ascolterei Spirit Was in loop per almeno un'ora senza stancarmi).
Al di là dello spirito lo-fi che anima il gruppo, l'ambizione di Caridi, Benton, Corbo e Rutkin è palpabile: nella costruzione non scontata delle canzoni così come nella loro durata (c'è un certo gusto per le code che si allungano), nelle liriche, nella dialettica tra acustica ed elettrica, nella cura per i cori, nella ricerca di una dimensione che stia a cavallo fra pop e indie rock. In effetti, se è vero, i LVL UP avevano deciso di sciogliersi se Return To Love non fosse uscito da semi-anonimato delle minuscole label indipendenti. La Sub Pop - niente meno - ha salvato il presente della band e probabilmente le spalancherà il futuro brillante che merita.
21 ottobre 2016
Kinley - Letters Never Sent [ALBUM Review]
Le prime note di Wild Horse, il pezzo che apre il primo album solista di Kinley Dowling, hanno un approccio cantautorale: la voce filtrata, lo strumming appena inquieto di chitarra elettrica. Poi all'improvviso una sezione ritmica energica e un carosello di sinth portano decisamente la faccenda in ambito pop.
La Dowling ha già una carriera ampiamente avviata dalle parti di Newfoundland, Canada, ed è una musicista completa e di buona sensibilità, che si è finora espressa soprattutto sulle corde del folk.
Letters Never Sent, debutto con il nome Kinley, di folk mantiene solo le radici (le delicate trame acustiche di Golden Days e quelle più oscure di Sharpshooter, oltre ad un certo gusto melodico di fondo evidente anche in Blackbird e nei riverberi ipnotici della conclusiva Kathleen), ed è invece un'ottima prova di dream pop adulto e piacevole, che in realtà scavalca i clichés di genere e alla fine produce uno stile piuttosto personale, incentrato su un misto di immediatezza e di ricerca di perfezione formale. Tanto che, su tutto, alla fine spicca l'episodio più marcatamente costruito e ritmato, una Microphone perfettamente chiusa in un involucro di suoni elettronici.
Solo 7 canzoni forse sono poche per esprimere un giudizio completo, ma dai 23 minuti del mini album resta l'impressione di un (nuovo) inizio molto molto interessante.
La Dowling ha già una carriera ampiamente avviata dalle parti di Newfoundland, Canada, ed è una musicista completa e di buona sensibilità, che si è finora espressa soprattutto sulle corde del folk.
Letters Never Sent, debutto con il nome Kinley, di folk mantiene solo le radici (le delicate trame acustiche di Golden Days e quelle più oscure di Sharpshooter, oltre ad un certo gusto melodico di fondo evidente anche in Blackbird e nei riverberi ipnotici della conclusiva Kathleen), ed è invece un'ottima prova di dream pop adulto e piacevole, che in realtà scavalca i clichés di genere e alla fine produce uno stile piuttosto personale, incentrato su un misto di immediatezza e di ricerca di perfezione formale. Tanto che, su tutto, alla fine spicca l'episodio più marcatamente costruito e ritmato, una Microphone perfettamente chiusa in un involucro di suoni elettronici.
Solo 7 canzoni forse sono poche per esprimere un giudizio completo, ma dai 23 minuti del mini album resta l'impressione di un (nuovo) inizio molto molto interessante.
17 ottobre 2016
Holi - Drifting On A Timeline [ALBUM Review]
Non c'è dubbio che la Luxury Records sia, in questo momento, l'etichetta più interessante della scena indie pop svedese. Possiede nel suo roster artisti che hanno già sfondato come Westkust, Sun Days, Alpaca Sports, ma anche altri da cui ci aspettiamo molto come Alice B, School '94 e Holy Now.
A tenere alta la qualità della label tocca adesso agli Holi, sestetto di Goteborg che ha appena pubblicato Drifting On A Timeline, album di debutto che proprio debutto non è perchè la band - con al centro Ricky Sokhi - già aveva fatto un disco con il nome Happy Hands Club.
Le dieci canzoni dell'album rivelano fin da subito una notevole ambizione pop, basata da una parte su una forte immediatezza melodica e dall'altra su una produzione poderosa che riempie ogni possibile vuoto e cerca di creare delle architetture sonore colorate, dinamiche e lussureggianti. L'attitudine di fondo è quella di un dream pop levigato e reso appetibile anche per un pubblico più vasto, che parte dal riverbero delle chitarre e lo arricchisce via via di sinth, fiati, cori e ritmiche complesse.
Un gioco che riesce bene quando le canzoni, pure nella loro esuberanza, restano più compatte e misurate (Feel Nothing, Fail Nothing e Mediocrity sono i titoli migliori), mentre rischia qualcosa quando i toni si fanno più epici e rincorrono l'electro pop degli ultimi Coldplay.
Menzione d'onore per la splendida copertina.
A tenere alta la qualità della label tocca adesso agli Holi, sestetto di Goteborg che ha appena pubblicato Drifting On A Timeline, album di debutto che proprio debutto non è perchè la band - con al centro Ricky Sokhi - già aveva fatto un disco con il nome Happy Hands Club.
Le dieci canzoni dell'album rivelano fin da subito una notevole ambizione pop, basata da una parte su una forte immediatezza melodica e dall'altra su una produzione poderosa che riempie ogni possibile vuoto e cerca di creare delle architetture sonore colorate, dinamiche e lussureggianti. L'attitudine di fondo è quella di un dream pop levigato e reso appetibile anche per un pubblico più vasto, che parte dal riverbero delle chitarre e lo arricchisce via via di sinth, fiati, cori e ritmiche complesse.
Un gioco che riesce bene quando le canzoni, pure nella loro esuberanza, restano più compatte e misurate (Feel Nothing, Fail Nothing e Mediocrity sono i titoli migliori), mentre rischia qualcosa quando i toni si fanno più epici e rincorrono l'electro pop degli ultimi Coldplay.
Menzione d'onore per la splendida copertina.
Categorie:
album,
dream pop,
indie pop,
scandinavia,
sweden
13 ottobre 2016
The Finks - Middling [ALBUM Review]
Il pop - lo ha ribadito tante volte Nick Hornby nei suoi libri - non vive senza le canzoni. Spesso, noi che scriviamo di musica un po' ce ne dimentichiamo e finiamo a concentrarci sulle sfumature, sull'uso di un certo strumento, sull'atmosfera, sui dettagli più o meno tecnici, sulle somiglianze. Ma una canzone in realtà è sempre più della somma delle sue componenti.
Oliver Mestitz, il musicista di Melbourne che sta dietro ai The Finks, probabilmente lo sa benissimo. E', molto semplicemente, uno che le canzoni le sa fare.
I suoi dischi precedenti lo hanno visto in versione cantautorale, praticamente solista. Con Middling Mestitz allarga il progetto ad altri 3/4 musicisti di fiducia, resando però saldamente al timone e suonando quasi tutti gli strumenti che gli servono. Un po' come fece Stuart Murdoch con il progetto God Help The Girl, l'artista australiano sceglie di usare voci diverse (femminili, decisamente graziose, senz'altro azzeccate) per offrire ai suoi pezzi una dimensione più ariosa e completa.
Ne risultano dieci episodi davvero davvero convincenti, che spaziano dal rallentato intimismo di una Suffering Song alla perfetta e luminosa leggerezza di una Scuttlebutt (con una parte finale di una dolcezza commovente), dalla timida ma raffinata narratività di Your Two Cents e Jamie's Got A Baby al folk spaccacuore di How Long Is Too Long. Il tutto senza perdere quell'idea di essenziale autosufficienza e artiginalità che pervade tutto l'album.
Non ci sono fuochi d'artificio in Middling, nessun colpo a sopresa, nessuna esigenza di piacere. Solo canzoni: nude, oneste, belle, ognuna delle quali si prende i suoi tempi e riesce unica e speciale.
Oliver Mestitz, il musicista di Melbourne che sta dietro ai The Finks, probabilmente lo sa benissimo. E', molto semplicemente, uno che le canzoni le sa fare.
I suoi dischi precedenti lo hanno visto in versione cantautorale, praticamente solista. Con Middling Mestitz allarga il progetto ad altri 3/4 musicisti di fiducia, resando però saldamente al timone e suonando quasi tutti gli strumenti che gli servono. Un po' come fece Stuart Murdoch con il progetto God Help The Girl, l'artista australiano sceglie di usare voci diverse (femminili, decisamente graziose, senz'altro azzeccate) per offrire ai suoi pezzi una dimensione più ariosa e completa.
Ne risultano dieci episodi davvero davvero convincenti, che spaziano dal rallentato intimismo di una Suffering Song alla perfetta e luminosa leggerezza di una Scuttlebutt (con una parte finale di una dolcezza commovente), dalla timida ma raffinata narratività di Your Two Cents e Jamie's Got A Baby al folk spaccacuore di How Long Is Too Long. Il tutto senza perdere quell'idea di essenziale autosufficienza e artiginalità che pervade tutto l'album.
Non ci sono fuochi d'artificio in Middling, nessun colpo a sopresa, nessuna esigenza di piacere. Solo canzoni: nude, oneste, belle, ognuna delle quali si prende i suoi tempi e riesce unica e speciale.
Categorie:
album,
australia,
bedroom pop,
indie pop,
singer songwriter
08 ottobre 2016
The Pooches - The Pooches [ALBUM Review]
La Scozia, si sa, è da sempre terra di indie pop. Forse qualcuno di voi si ricorda di una canzone degli Spearmint (si chiamava non a caso Scottish Pop) dove erano letteralmente elencati i principali alfieri del genere: Stephen Pastel, Stuart Murdoch, Raymond McGinlay e così via.
Probabile che Jimmy Hindle, il musicista che da qualche hanno ha dato vita ai The Pooches, darebbe qualsiasi cosa per stare nella stessa lista ideale dove campeggiano Pastels e dei Teenage Fanclub.
I quattro di Glasgow, al di là dei doverosi paragoni, hanno un approccio tanto essenziale quanto efficace al guitar pop, rotondo e diretto ma senza fronzoli, e più che i Fanclub a me ricordano molto i gruppi neozelandesi della Flyng Nun, dai Bats in giù: atteggiamento quasi svagato e melodie killer.
Le dieci canzoni di The Pooches colgono decisamente nel segno e, sia quando il ritmo si fa maggiormente upbeat (Another Evening Another Town, New Years, Be Not So Fearful), sia quando i toni sono più pop, sorridenti e pienamente teenagefanclub-iani (The Light, Everyting, Mulligan) mostrano una band perfettamente a proprio agio, che si spienge a concedersi qualche misurata armonizzazione vocale e qualche riuscito cambio di ritmo.
Probabile che Jimmy Hindle, il musicista che da qualche hanno ha dato vita ai The Pooches, darebbe qualsiasi cosa per stare nella stessa lista ideale dove campeggiano Pastels e dei Teenage Fanclub.
I quattro di Glasgow, al di là dei doverosi paragoni, hanno un approccio tanto essenziale quanto efficace al guitar pop, rotondo e diretto ma senza fronzoli, e più che i Fanclub a me ricordano molto i gruppi neozelandesi della Flyng Nun, dai Bats in giù: atteggiamento quasi svagato e melodie killer.
Le dieci canzoni di The Pooches colgono decisamente nel segno e, sia quando il ritmo si fa maggiormente upbeat (Another Evening Another Town, New Years, Be Not So Fearful), sia quando i toni sono più pop, sorridenti e pienamente teenagefanclub-iani (The Light, Everyting, Mulligan) mostrano una band perfettamente a proprio agio, che si spienge a concedersi qualche misurata armonizzazione vocale e qualche riuscito cambio di ritmo.
03 ottobre 2016
Neleonard - Las Causas Perdidas [ALBUM Review]
Personalmente sono sempre stato un fan dell'indie pop spagnolo. Su tutti, sono stato un fan di una band, La Buena Vida, che per talento e qualità meriterebbe di stare sullo stesso gradino dei Belle and Sebastian e dei Camera Obscura.
Esaurito il lungo tragitto artistico dei La Buena Vida (le ultime tracce si perdono intorno al 2009), il testimone passa idealmente ai Neleonard.
Diciamolo subito: Las Causas Perdidas, album di debutto della band catalana appena uscito per la Elefant, è un piccolo e inatteso capolavoro.
Nele, leader/autore/cantante dei Neleonard, è un musicista tanto dotato quanto ambizioso: scrive canzoni pop nel senso più pieno ed esteso del termine, e ha lavorato sodo con i suoi cinque compagni per costruire attorno ai suoi dodici pezzi altrettanti arrangiamenti di grandissimo effetto.
Reluces, la canzone che apre il disco, introduce subito l'ampia e ariosa visuale sonora dei Neleonard: al centro le voci di Nele e di Laura e tutto attorno un florilegio di archi, fiati, e una ritmica battente. Se un pezzo dinamico e spregiudicato come La Màs Alegre sembra uscita dalla penna dello Stuart Murdoch più ispirato (con quel sinth colorato che gli scozzesi usavano nei primi tre dischi), con Seguro Que Es Por Mì inizia una sequenza di episodi dove ritroviamo l'elegante romanticismo dei La Buena Vida di Halleluja! esaltato all'ennesima potenza: melodie di miele, archi soffici come nuvole e un'atmosfera sonora ricca di dettagli quanto di emozioni. Potremmo fare il nome - come modello musicale - dei Tindersticks, dei Divine Comedy, persino del primo Van Morrison, ma i Neleonard possiedono un loro stile personale equilibratissimo che in canzoni splendidamente luminose come Menos De Mì e Tu Fiesta trova davvero la quadratura del cerchio non solo nella sapiente abbondanza strumentale, ma soprattutto nella efficacissima dialettica delle voci, con Laura che disegna cori di armonica perfezione attorno a Nele.
C'è, diffusa qua e là nelle orchestrazioni dei Neleonard, la stessa malinconica magniloquenza dei Baustelle, ma il decadentismo esibito della band italiana è sostituito con una introspezione sempre luminosa, quella che anima pezzi gioiello come Vivir Como Ellos, Ya Ni Cuento e la conclusiva Despedida, dove l'architettura pop acustico/sinfonica di Nele e compagni raggiunge vette di leggerezza a dir poco sueggestive.
Alla fine dei 40 minuti dell'album resta, viva, piacevole e quasi sbalordita, la sensazione di essere davanti non solo ad uno dei dischi dell'anno, ma a un album davvero speciale, una piccola ma significativa pietra miliare da parte di uno dei gruppi più talentuosi della scena indie pop europea. Un disco di cui, temo, pochi si accorgeranno fuori dalla scena iberica, e sarebbe un peccato grave.
Questa non c'è nell'album (è uscita come singolo l'anno scorso) ma è un'altra delizia da non perdere:
Cosigliatissimo anche il primo EP Agosto (una canzone meglio dell'altra, Capital su tutte):
Esaurito il lungo tragitto artistico dei La Buena Vida (le ultime tracce si perdono intorno al 2009), il testimone passa idealmente ai Neleonard.
Diciamolo subito: Las Causas Perdidas, album di debutto della band catalana appena uscito per la Elefant, è un piccolo e inatteso capolavoro.
Nele, leader/autore/cantante dei Neleonard, è un musicista tanto dotato quanto ambizioso: scrive canzoni pop nel senso più pieno ed esteso del termine, e ha lavorato sodo con i suoi cinque compagni per costruire attorno ai suoi dodici pezzi altrettanti arrangiamenti di grandissimo effetto.
Reluces, la canzone che apre il disco, introduce subito l'ampia e ariosa visuale sonora dei Neleonard: al centro le voci di Nele e di Laura e tutto attorno un florilegio di archi, fiati, e una ritmica battente. Se un pezzo dinamico e spregiudicato come La Màs Alegre sembra uscita dalla penna dello Stuart Murdoch più ispirato (con quel sinth colorato che gli scozzesi usavano nei primi tre dischi), con Seguro Que Es Por Mì inizia una sequenza di episodi dove ritroviamo l'elegante romanticismo dei La Buena Vida di Halleluja! esaltato all'ennesima potenza: melodie di miele, archi soffici come nuvole e un'atmosfera sonora ricca di dettagli quanto di emozioni. Potremmo fare il nome - come modello musicale - dei Tindersticks, dei Divine Comedy, persino del primo Van Morrison, ma i Neleonard possiedono un loro stile personale equilibratissimo che in canzoni splendidamente luminose come Menos De Mì e Tu Fiesta trova davvero la quadratura del cerchio non solo nella sapiente abbondanza strumentale, ma soprattutto nella efficacissima dialettica delle voci, con Laura che disegna cori di armonica perfezione attorno a Nele.
C'è, diffusa qua e là nelle orchestrazioni dei Neleonard, la stessa malinconica magniloquenza dei Baustelle, ma il decadentismo esibito della band italiana è sostituito con una introspezione sempre luminosa, quella che anima pezzi gioiello come Vivir Como Ellos, Ya Ni Cuento e la conclusiva Despedida, dove l'architettura pop acustico/sinfonica di Nele e compagni raggiunge vette di leggerezza a dir poco sueggestive.
Alla fine dei 40 minuti dell'album resta, viva, piacevole e quasi sbalordita, la sensazione di essere davanti non solo ad uno dei dischi dell'anno, ma a un album davvero speciale, una piccola ma significativa pietra miliare da parte di uno dei gruppi più talentuosi della scena indie pop europea. Un disco di cui, temo, pochi si accorgeranno fuori dalla scena iberica, e sarebbe un peccato grave.
Questa non c'è nell'album (è uscita come singolo l'anno scorso) ma è un'altra delizia da non perdere:
Cosigliatissimo anche il primo EP Agosto (una canzone meglio dell'altra, Capital su tutte):
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