Ci sono delle band che sono talmente innamorate della galassia indie pop da riuscire a far proprie molte sfaccettature del genere e trasformarle in uno stile che sia personale. Spesso sono le migliori e i nomi sicuramente li conoscete già.
Forse però non conoscete i Prism Shores, che sono di stanza a Montreal ma hanno origine a Charlottetown (nell'Isola Prince Edward, quella di Anne with an E, ma è anche la culla dove hanno mosso i primi vagiti gli Alvvays!).
Out From Underneath è il loro secondo album (il primo, Inside My Diving Bell, è del '22) e, come anticipavamo poc'anzi, è un piccolo caleidoscopio - non a caso il loro nome cita il prisma - dentro il quale, se guardate con attenzione, appaiono in trasparenza le tracce di centro altre cose, dal mondo Sarah Records al jangly pop di oggi (un po' Quivers, un po' Kindsight), dalla Flying Nun ai J&MC, dai Cure allo shoegaze, dall'indie americano dei '90 a un certo cantautorato americano obliquo ed elettrico, e l'elenco potrebbe continuare.
La fitta e scampanellante trina di chitarra che apre Overplayed My Hand già dovrebbe bastare a legarvi mani e piedi e trascinarvi dentro il mondo dei Prism Shores. Il ritmo è delicatamente uptempo, la voce spontanea e molto lo-fi di Jack MacKenzie è sempre leggermente sovrastata dallo scintillante e morbido muro elettrico che la band erige a poco poco, la linea melodica è di efficace semplicità.
La ricetta della band canadese è sostanzialmente questa, e trova la sua quadratura nelle sottili variazioni fra un episodio e l'altro e in soluzioni sonore peculiari che di volta in volta catturano l'attenzione. Facciamo qualche esempio: l'onda di distorsione che sottende la deliziosa Southpaw (così come i bellissimi cori di KT Laine); e poi l'elettrica e puntiforme rotondità di quella piccola perfect indie pop song à la Lemonheads che è Tourniquet; e ancora la voce di Jack che sembra trasformarsi a poco in quella di Robert Smith nella meravigliosa, emozionante, romanticissima Killing Frost; o le irrequiete dissonanze di una Weightless, che pur essendo il pezzo più ruvido del lotto (dalle parti dei Guided By Voices per intenderci) conserva una sua tenerezza twee.
I dieci pezzi dell'album scorrono via fluidi con la loro perfetta commistione di graffi e carezze, tanto che quando si arriva alla soffice superficie jangly e sognante di Drawing Conlusions e alla lunga coda sfrigolante di Unravel quasi quasi si rimane delusi perchè il disco è già finito.
L'osservazione che mi viene da fare in conclusione è che sembra davvero strano come una band così talentuosa, così capace di costruire la propria personalità giocando sui contrasti e i rimandi, sia rimasta finora tutto sommato nel sottobosco dell'indie pop, quando meriterebbe di avere tutti i riflettori addosso.
Il primo grande album del 2025.