(just another) pop song
22 luglio 2024
SONGS FOR THE SUMMER [PART 1]
18 luglio 2024
Stomp Talk Modstone - Pure Purple Pool ALBUM REVIEW
Ciascuna a suo modo, tutte le band che suonano shoegaze sono un po' ( o tanto) ambiziose. È in fondo un correlato normale per un genere che ha l'obiettivo primario di descrivere attraverso il suono, oltre a quello di "intrattenere" (che è il fine del pop, se mi passate la semplificazione).
Gli Stomp Talk Modstone, che fin dagli esordi suonano shoegaze, non si sono mai sottratti a questa idea di ambizione. Non a caso il loro album precedente, Mew, uscito un paio d'anni fa, aveva già una dimensione a dir poco ingombrante e mescolava momenti d'intensa suggestione ed altri di sperimentazione più o meno rumoristica. Insomma, alcune cose magnifiche e tangenti al dream pop ed altre forse meno riuscite.
Negli ultimi tempi i cinque giapponesi hanno evidentemente lavorato sul coté più melodico della loro palette espressiva e sono arrivati oggi ad un secondo album, questo Pure Purple Pool, che non sottrae un'oncia alla magniloquenza di Mew ma, molto semplicemente, mette finalmente tutto a fuoco e impila una sopra l'altra venti canzoni (lunghe, come richiede il canone) a formare una impressionante architettura power dream pop di debordante forza comunicativa.
In fondo basta l'eccezionale infilata dei primi tre pezzi - Baby Sky, Hello New World e Drive: 12 minuti di dolce stordimento super catchy - per rendersi conto di quanto siano diventati bravi gli Stomp Talk Modstone a muoversi nel loro consueto orizzonte di chitarre sfrigolanti, synth zuccherosi e voci femminili di fatata morbidezza.
Ovvio che la lezione di Loveless è la base di tutto (in Sunflower, What We Want o One Way Ticket si sente eccome, e non solo qui), ma Takamitsu Kawashima e compagni hanno davvero costruito una loro strada personale che riesce a rendere "kawaii" anche i layers più distorti delle chitarre. È il loro trademark stilistico e infatti dentro le centrifughe e il rumore bianco in cui fluttuano molti pezzi c'è davvero sempre un cuore melodico di soffice delicatezza. Con in più qualche incursione in un electro pop quasi ballabile (Sup?/WYD) dove le chitarre si fanno sfondo a un interessante taglia e cuci di campionamenti (succede spesso, e a sorpresa, nella coda di molti episodi).
Resta, rispetto al passato, una sostanziale bipartizione nella proposta dei STM: da una parte l'anima più catchy ed ariosa, tra Flyying Colours e Churchhill Garden (è quella più riuscita: citiamo anche la piacevolezza floreale di Summer Bell, il power pop di sfrontata immediatezza di Ghost, l'aria twee pop di SPF/NeS, il brit pop oasisiano di Dislike Noise) e dall'altra quella più rigorosamente shoegaze, dove anche la dimensione si fa decisamente più ampia con pezzi che si dipanano verso durate "importanti".
In verità in questa Piscina di Puro Viola si può nuotare così a lungo che possiamo farci trascinare da correnti diverse, stare beatamente a galla a goderci la luce meridiana del sole o immergerci in profondità dense di mistero (Kill For Me sembra uscita dai Motorpsycho). Può rappresentare e anche un limite, se consideriamo che in due ore di musica si può anche rischiare di annegare, ma ritornando al discorso con cui abbiamo cominciato, è evidente come la band sia totalmente consapevole della propria ambizione da ritenere necessario ogni pilastro di questo castello di miele e distorsioni che ha pazientemente costruito. Come dar loro torto?
12 luglio 2024
Lovejoy - And It's Love! ALBUM REVIEW
Non si avevano tracce della creatura musicale di Richard Preece da un ep datato 2006 e intitolato significativamente England Made Me. Poche band come i Lovejoy in effetti suonano così "inglesi" anche ad un ascolto superficiale, tanto sono impregnati di un'intera tradizione indie pop che affonda le radici nell'humus eccezionalmente fertile degli Human League, dei Biff Bang Pow!, dei Blueboy, dei prefeb Sprout, dei primi Pulp, dei Brighter (infatti qui ritroviamo anche Keris Howard). Ovvero nell'ala più "romantica" e letteraria del movimento.
Le canzoni di Preece vivono da sempre di narrazione e sono per così dire confidenziali in ogni loro trama: nella vocalità bassa ed elegante di Richard e in quella angelica di Ally Board, nelle chitarre pigramente scampanellanti, nelle melodie di raffinata (quasi compassata) morbidezza e persino in alcuni soluzioni di elettronica umanistica che echeggiano i New Order che da sempre sono nel dna stilistico della band.
Negli undici episodi di questo quarto album dei Lovejoy - che esce per Shelflife e Spinout Nuggets e non più per la storica Matinée - ritroviamo perfettamente integro il nucleo ispirato di Preece, con alcuni momenti di soffice e ipnotico incanto (i sei sognanti minuti di Miss You, le chitarre quasi shoegaze di Tender Moments) e una sensazione diffusa di fascino retrò (Sounds Of Silence la mia preferita). Menzione necessaria anche per la splendida copertina.
06 luglio 2024
The Proctors - Snowdrops and Hot Air Balloons ALBUM REVIEW
02 luglio 2024
Lunar Isles - Parasol ALBUM REVIEW
Il dream pop di Lunar Isles lo conosciamo già da tempo - l'anno passato abbiamo lodato volentieri il terzo album di Skimming - e decisamente dentro le canzoni di Parasol ritroviamo quello stile largo, liquido, rilassato ed elegante che abbiamo apprezzato in tutte le uscite precedenti.
C'è, nei pezzi di David, una interessante commistione fra il surf notturno e sensuale di Cigarettes After Sex e il guitar pop di diafana morbidezza di Day Wave e Beach Fossils. La voce è sempre soffice e confidenziale, le chitarre timide, crespuscolari e scampanellanti, i synth onnipresenti a dipingere il paesaggio intorno, i ritmi sapientemente rallentati, la melodie sempre vagamente sognanti, un'equilibrata catchyness emerge solo qua e là (in Fade Out soprattutto)
Non il disco dell'estate propriamente detta, ma se preferite i cieli un po' imbronciati al pieno sole Parasol è l'album ideale per tenervi saggiamente all'ombra.
27 giugno 2024
Dropkick - Dot The I (Expanded Version) ALBUM REVIEW
A proposito di Dot The I, che è uscito originariamente nel 2007, sono invece certo che sia stato il sesto album della band scozzese, forse uno dei suoi migliori, probabilmente il più significativo per fotografare lo stile di Taylor e compagni, sempre perfettamente in bilico fra un luminoso jangle pop alla Teenage Fanclub (con i maestri scozzesi fra l'altro i Dropkick condividono la compresenza di tre songwriters) e un folk rock molto americano e parimenti scampanellante, che deve tantissimo ai Jayhawks. Quest'ultimo lato della band ancora particolarmente evidente in questa fase della carriera della band.
Perché ne parliamo oggi? Perché è stata pubblicata giusto ora una ampia e gustosa reissue per la quale Andrew ha rimasterizzato tutto pulendo alla perfezione il suono ed ha aggiunto ai dodici episodi originari ben quattordici pezzi provenienti dalle prolifiche sessioni del disco. Insomma, un'ottima occasione per godersi la nuova vita delle dodici canzoni dell'album e soprattutto per scoprire alcuni gioiellini (Breaking The Ice ed Hello in testa) che testimoniano ancora - se mai ce ne fosse bisogno - il grande talento di un gruppo che c'è letteralmente da sempre e pure spesso ci dimentichiamo.
23 giugno 2024
Secret Postcards - The Way Back EP REVIEW
19 giugno 2024
Harper - The Mother Root ALBUM REVIEW
E' il caso degli Harper, che sono in realtà un duo - o per meglio dire una coppia, visto che sono sposati - formato da Matthew e Sadie Groves, e che già da qualche anno si dedicano a costruire un indie pop slowcore di raffinata delicatezza, intimistico e arioso allo stesso tempo, radicato nel folk ma del tutto contemporaneo nelle soluzioni.
The Mother Root, primo vero album dei due di Leicester che segue un paio di ep, è una collezione di canzoni dallo stile decisamente coerente: la voce gentile di Matt che a tratti quasi scompare dentro un paesaggio sonoro in cui i cori di Sadie sono una brezza primaverile quasi impercettibile e al contempo piacevolissima; un impasto atmosferico di chitarre acustiche e jangly e synth che tiene tutto insieme con grande equilibrio; una ritmica che quasi in modo inaspettato è sempre mossa e piacevolmente dinamica.
I dieci episodi del disco vanno assolutamente vissuti tutti insieme, come se in fondo The Mother Root fosse un organismo perfettamente autosufficiente, il cui respiro ampio accelera e rallenta impercettibilmente. Bug Crusher è un timido ma potente anthem alternativo: partite da qui se siete incuriositi.
14 giugno 2024
Bored At My Grandmas House - Show & Tell ALBUM REVIEW
06 giugno 2024
IAN SWEET - SUCKER ALBUM REVIEW
Poi ho riascoltato con attenzione questo ultimo di IAN SWEET e mi sono risposto con convinzione che dovevo proprio essere molto distratto alla fine del 2023 per perdermi un disco tanto bello.
La verità è che mi sono imbattuto qualche giorno fa in una recentissima cover di Anthems For A Seventeen Year Old Girl dei Broken Social Scene, che è una canzone che adoro alla follia e che Jilian ha trattato con la intelligente delicatezza di cui è capace, e da lì sono fortunatamente approdato al disco.
La cover è questa e se ancora non conoscete IAN SWEET può essere un interessante quanto inusuale punto di partenza:
Quindi sì, vi palerò di SUCKER, che è il quarto album di Jilian Medford con il moniker IAN SWEET ed è veramente un grande album. La musicista di Los Angeles è in giro da almeno dieci anni e fin dagli esordi porta avanti una via molto personale all'interno di quello che potremmo catalogare come cantautorato indie - diciamo la stessa League in cui giocano Phoebe Bridgers e Haim - con l'enfasi su chitarre ed elementi elettronici che troviamo in Wolf Alice, una sofferta introspezione alla Julien Baker ed una propensione melodica decisamente tutta sua.
Se ritornate ad ascoltare i primi tre dischi della Medford troverete una decisa e piuttosto inquieta dimensione sperimentale, che in SUCKER sembra avere trovato una (forse) definitiva quadratura. I pezzi sono tutti ampi ed ampiamente narrativi, ma la palette espressiva rimane non facilissima da definire in poche parole. Dentro le canzoni di IAN SWEET ci sono veramente tanti ingredienti ed ancora più modelli: un po' dell'obliquità affascinante di Feist, l'allure patinata e programmaticamente eighties dell'ultima Hatchie (FIGHT quasi la cita e poi la supera a duecento all'ora), una tentazione di dancefloor alternativo (Smoking Again ha un potenziale anemico mica male oltre ad essere assolutamente ballabile, così come l'amabilmente ruffiana Your Spit) mischiata con la saturazione citaristica dello shoegaze (Hard), la capacità di strutturare minimali carillon elettronici attorno a poderosi crescendo emotivi (Emergency Contact con il suo chorus killer "i don't mind i don't want to make it right"), qui veramente Bridgersiani.
Il tutto coniugato con una urgente densità espressiva che trova in un modo o nell'altro il modo di venire a galla, che sia attraverso la forza lirica e sottilmente catartica di Bloody Knees ("what if i die..." sono le prime parole dell'intero album), attraverso l'essenziale introversione di Comeback, oppure la linearità acustica di Clean, che in principio pare una outtake di Waxahatchee ed esplode in un finale sfrigolante.
Emerge davvero, lungo l'intero album, tutto il talento di una musicista che al momento non ha del tutto ottenuto il riconoscimento che meriterebbe e che ha raggiunto ormai una maturità artistica indiscutibile.