22 gennaio 2025

Prism Shores - Out From Underneath ALBUM REVIEW


Ci sono delle band che sono talmente innamorate della galassia indie pop da riuscire a far proprie molte sfaccettature del genere e trasformarle in uno stile che sia personale. Spesso sono le migliori e i nomi sicuramente li conoscete già.

Forse però non conoscete i Prism Shores, che sono di stanza a Montreal ma hanno origine a Charlottetown (nell'Isola Prince Edward, quella di Anne with an E, ma è anche la culla dove hanno mosso i primi vagiti gli Alvvays!). 

Out From Underneath è il loro secondo album (il primo, Inside My Diving Bell, è del '22) e, come anticipavamo poc'anzi, è un piccolo caleidoscopio - non a caso il loro nome cita il prisma - dentro il quale, se guardate con attenzione, appaiono in trasparenza le tracce di centro altre cose, dal mondo Sarah Records al jangly pop di oggi (un po' Quivers, un po' Kindsight), dalla Flying Nun ai J&MC, dai Cure allo shoegaze, dall'indie americano dei '90 a un certo cantautorato americano obliquo ed elettrico, e l'elenco potrebbe continuare.

La fitta e scampanellante trina di chitarra che apre Overplayed My Hand già dovrebbe bastare a legarvi mani e piedi e trascinarvi dentro il mondo dei Prism Shores. Il ritmo è delicatamente uptempo, la voce spontanea e molto lo-fi di Jack MacKenzie è sempre leggermente sovrastata dallo scintillante e morbido muro elettrico che la band erige a poco poco, la linea melodica è di efficace semplicità.

La ricetta della band canadese è sostanzialmente questa, e trova la sua quadratura nelle sottili variazioni fra un episodio e l'altro e in soluzioni sonore peculiari che di volta in volta catturano l'attenzione. Facciamo qualche esempio: l'onda di distorsione che sottende la deliziosa Southpaw (così come i bellissimi cori di KT Laine); e poi l'elettrica e puntiforme rotondità di quella piccola perfect indie pop song à la Lemonheads che è Tourniquet; e ancora la voce di Jack che sembra trasformarsi a poco in quella di Robert Smith nella meravigliosa, emozionante, romanticissima Killing Frost; o le irrequiete dissonanze di una Weightless, che pur essendo il pezzo più ruvido del lotto (dalle parti dei Guided By Voices per intenderci) conserva una sua tenerezza twee. 

I dieci pezzi dell'album scorrono via fluidi con la loro perfetta commistione di graffi e carezze, tanto che quando si arriva alla soffice superficie jangly e sognante di Drawing Conlusions e alla lunga coda sfrigolante di Unravel quasi quasi si rimane delusi perchè il disco è già finito. 

L'osservazione che mi viene da fare in conclusione è che sembra davvero strano come una band così talentuosa, così capace di costruire la propria personalità giocando sui contrasti e i rimandi, sia rimasta finora tutto sommato nel sottobosco dell'indie pop, quando meriterebbe di avere tutti i riflettori addosso. 

Il primo grande album del 2025. 


17 gennaio 2025

Ex-Vöid - In Love Again ALBUM REVIEW

A poco più di due anni da quel gioiellino che era Bigger Than Before, tornano gli Ex-Voïd di Lan McArdle e Owen Williams con un album che sembra davvero riprendere un secondo dopo rispetto a dove era terminato il precedente. 

La band di stanza a Londra, nata dalle ceneri dei Joanna Gruesome, è una delle grandi certezze della scena indie pop britannica e - in modo del tutto simile a gruppi che da queste parti amiamo incondizionatamente come Martha, Fresh, Happy Accidents, Hamburger, Me Rex, Fighmilk o Mammoth Penguins - suonano in modo dannatamente rumoroso e programmaticamente melodico. 

Se la splendida simbiosi delle voci dei due cantanti è forse il marker stilistico più evidente degli Ex-Vöid, ce ne sono sicuramente altri due che agiscono alla perfezione: uno è senz'altro è senz'altro l'ironia leggera che innerva ogni loro pezzo rendendolo immediato e piacevolissimo; l'altro è la capacità di giocare piccole variazioni tra un episodio e l'altro dell'album, offrendo delle tinte di genere diverse che rendono il tutto molto più eclettico e interessante.

Swansea, il pezzo che apre il disco con una sferzata di sorridente energia, è già di per sé un'ottima fotografia della musica degli Ex-Vöid: propulsiva, intelligente, punk nelle corde e profondamente pop nell'anima. Le liriche sembrano suggerire una bizzarra storia di amore, stalking e Galles (you are finally back in Swansea, and you have claimed you're still in love with me, but we both know that if you loved me you still be back in England), che poi idealmente continua con il poderoso power pop di In Love Again

Con la successiva deliziosa July i watt si abbassano ed entriamo decisamente in un mood melodico che sembra appartenere tanto ai Big Star quanto ai Teenage Fanclub (quindi a entrambi), il che è probabilmente la principale novità di In Love Again rispetto al disco di debutto: gli angoli si smussano volentieri, le chitarre si fanno jangly, tutto è perfettamente luminoso. Stesso discorso che si può fare per la super catchy Nightmare, che rappresenta veramente l'idea (power) pop degli Ex-Vöid in purezza: un efficacissimo mix di vigore e tenerezza che sovrappone acustico ed elettrico con enorme nonchalance. 

Il distorsore torna protagonista con la Ride-iana Pinehead, per lasciare spazio al mosso eclettismo à la New Pornographers di Lonely Girls, dove si sente persino una chitarra spagnoleggiante che tenta di scalare un possente muro di suono. Se Sara sembra uscita dall'album blu dei Weezer, Strange Insinuation è un'altra perla in puro stile Ex-Vöid: strofe che vanno sull'ottovolante e chitarre frizzanti che ricordano tantissimo i Beths. 

Siamo purtroppo quasi in fondo all'album, dove ci aspetta lo splendido duetto di Down The Drain, che pare un pezzo dei Prefab Sprout in versione punk, e la ballata strappacuore (con finale a sorpresa) Outline, che scopre in modo evidente le radici folk cantautorali di Lan e Owen. 

Serviva la conferma che gli Ex-Vöid sono una delle band più interessanti del panorama di oggi? Probabilmente no, anche perchè parliamo di musicisti che hanno un curriculum lunghissimo. In Love Again in effetti non solo conferma la bravura (di scrittura, ma anche di produzione) dei londinesi, ma mostra una notevole evoluzione verso un'idea di guitar pop che rinuncia ormai quasi del tutto agli spigoli e lavora sempre di più sulle canzoni. 

10 gennaio 2025

Vein Blue - Far Away EP REVIEW

Confesso di avere scoperto la produzione di RJ Mares, musicista di Los Angeles che usa il moniker Vein Blue per il suo progetto, solo di recente. E al contempo confesso di non sapere assolutamente nulla di ciò che sta dietro ai dischi (un pugno di ep in sostanza) che ha pubblicato nell'ultimo decennio - la maggior parte nell'ultimo anno.

L'unica cosa di cui sono certo è di essermi imbattuto per caso in una delle migliori band (se poi è una band) del panorama dream pop di oggi, il che mi ha spinto con entusiasmo ad ascoltare anche le cose più vecchie (che vecchie poi non sono).

I sei pezzi di questo Far Away EP sono davvero una splendida e fascinosa fotografia della musica di Vein Blue, raffinatissima nei suoi toni virati seppia e al contempo così luminosamente leggera e avvolgente. 

Feel It, il brano che apre l'ep con le sue spoken words, è già di per sé un piccolo prodigio con le sue chitarre post rock che a poco a poco si arrampicano lungo un crescendo trascinante e catartico. 

Con la successiva The Real You invece ci tuffiamo a bomba dentro uno sfrigolante mare dream pop / shoegaze nel quale piacevolmente ci immergiamo fino alla fine del disco. La voce femminile è delicata e dolcemente distorta e si fonde con il paesaggio elettrico circostante come ci si aspetta che avvenga, e lo fa con l'eleganza degli Slowdive, il piglio melodico kawaii di tante band asiatiche di cui parliamo da queste parti e l'attitudine sonora di un altro asso californiano come Castlebeat. 

A dispetto però di una tendenza alla dilatazione dei tempi tipica del genere, le canzoni di Vein Blue - con l'unica interessante eccezione della acustica Keep Up With Me, che profuma di Mazzy Star e si allontana dall'elettricità fluttuante del resto del disco - mantengono una compatta sintesi di due-tre minuti, con una ortodossia indie pop originaria alla Jesus & Mary Chain. 

Le stesse osservazioni si possono fare anche per gli ottimi ep precedenti, che mostrano ancora quel misto di ipnotica contemplazione e di energetico wall of sound che sembra essere il vero marker dello stile di Vein Blue. Se vi è piaciuto questo Far Away, correte a recuperarli tutti!  

04 gennaio 2025

Quiet Houses - Carried Away EP REVIEW

Non c'è dubbio che la Scozia sia una delle patrie ideali dell'indie pop. Non si contano davvero le band e gli artisti che hanno mosso i loro passi da quelle parti, spesso con in comune un amore per la melodia in grado di attraversare stili molto diversi tra loro. 

Jamie Steward e Hannah Elliott, che sono originari di Edimburgo e fanno musica insieme da quando erano giovanissimi, forse inconsapevolmente hanno anche quell'eredità musicale sulle spalle, e sicuramente nel loro dream pop di raffinatissima delicatezza c'è un'anima catchy e gentile molto "scozzese", di chiara matrice folk, in grado di illuminare ogni loro canzone.

Nei due ep pubblicati nel '21 e nel '23 (Since July), i Quiet Houses avevano già ampiamente dimostrato di percorrere una strada personale, incentrata sulla voce splendida e magnetica di Hannah e su un "pop touch" che potrebbe stare a metà fra la nostalgia per gli eightiees di Hatchie e le aperture scenografiche dei Bleach Lab, con una finestra laterale su paesaggi acustici / cantautorali sempre spalancata. 

Carried Away, ep numero 3 della loro carriera, segna una ulteriore maturazione del duo scozzese, non solo nella potente capacità di scrittura (tutti i cinque pezzi sono terribilmente catchy) ma anche in una cura formale che riesce sempre a trovare densità, sfaccettature e leggerezza. 

Hannah e Jamie sanno come si scrive una canzone pop e qui ce ne sono alcune - What My Heart Is For e New Ossession in testa, ma anche la morbidissima e sognante Carried Away - intessute di synth, dinamiche e luccicanti, programmaticamente piacevoli, che non ci meraviglieremmo di trovare nella colonna sonora di qualche film o serie tv romcom. Se il lato folksy è assicurato dall'intima e avvolgente Fact and Figures (siamo dalle parti di Phoebe Bridgers), la conclusiva Call You Later, con i suoi elegantissimi layers di chitarre, voce e synth, mostra in modo definitivo quanto i Quiet Houses maneggino con assoluta ed efficacissima naturalezza la materia (dream) pop, imprimendo la loro signature. 

Disco migliore per iniziare il 2025 non avremmo immaginato. 

26 dicembre 2024

(just another) pop song ALBUM OF THE YEAR 2024



12
Hidden Eyes - Not Now But Soon
Innamorati dell'indie dei '90 nella sua versione più obliqua, lo-fi e insieme melodica, i due Hidden Eyes sono i classici musicisti appassionati e misconosciuti che fanno (ottima) musica in cameretta con la strumentazione che possono permettersi. Il loro terzo album fa un passo avanti nella produzione ed è veramente un piccolo tesoro di luce nascosto nelle nebbie della provincia inglese. 


11
Cinéma Lumière - Wishing It Was Sunday
La band filippina interpreta il twee pop con una purezza d'intenti disarmante, come spesso avviene nella fertilissima scena orientale. Nell'album di debutto dei Cinéma Lumière c'è tutta l'etica (e l'estetica) dell'indie pop più solare, tenero e floreale: chitarre jangly, melodie cantabili, un'aria naïf che in realtà racchiude una notevole perizia di scrittura ed una travolgente leggerezza.


10
Campfire Social - They Sound The Same Underwater
Nel campionato dei "gentle punk" che costellano la scena indie pop, quest'anno vincono a mani basse i sei ragazzi di Wrexham, con un album di debutto che corona una carriera in verità decennale. Vigorosi, ironici, corali e programmaticamente orecchiabili, nutriti del meglio dell'indie dei '90, raffinatissimi nella scrittura, i Campfire Social sono davvero un tesoro nascosto da scoprire. 


9
Hinds - Viva Hinds
Ana e Carlotta alla fine sono tornate al nucleo originario della band - loro due, la loro amicizia - e dopo un decennio abbondante di carriera sono uscite con un disco che mantiene inalterate l'urgenza comunicativa, la freschezza scanzonata, l'essenzialità chitarra-basso-batteria, l'ironia leggera e bruciante di quando avevano diciott'anni, ma con una consapevolezza, un equilibrio ed una capacità di tenere insieme tutto che è propria di due ragazze madrilene che nel frattempo hanno visto il mondo.  


8
Mental Map - Mental Map 
L'indie pop onnivoro dei russi Mental Map ha l'ambizione di mettere insieme anime diverse (post punk di squadrata ruvidezza, delicatezza twee, stilemi shoegaze, memorie dell'indie dei '90, tentazioni catchy alvvaysiane...) suonando in definitiva con una naturale coerenza, una grande cura formale e una sorprendente immediatezza. Un album compatto ed eclettico al tempo stesso che, per essere un debutto, mette in luce una maturità impressionante. 


7
Healees - Coin de l'Oeil
Quattro musicisti, quattro nazionalità diverse, basati a Parigi. Poche band al mondo hanno un impasto chitarristico così pieno, corrusco, avvolgente e dinamico come gli Healees, e il loro secondo album lo dimostra in modo eccezionalmente evidente: tutti i pezzi sono sognanti e potenti al tempo stesso, densi e luminosi, suggestivi e scenografici nei loro poderosi ed armonici crescendo. 



6
Hazel English - Real Life
Lo stile di Hazel è ormai riconoscibile dopo due note e gli undici pezzi dell'album (che è in realtà una somma di due ep) testimoniano la raggiunta maturità artistica della musicista australiana-californiana, che ha deciso di concentrarsi sull'essenza del suo modo peculiare di fare dream pop, affiancata dal prezioso Jackson Phillips / Day Wave. Tutto è formalmente perfetto, delicato e intellettualmente romantico, liquidamente elettrico, catchy al punto giusto, dinamico e narrativo. 


5
Ferri-Chrome - Under This Cherry Tree
Dentro il motore del (terzo) album dei giapponesi, una cover stellare di "September's Not So Far Away" dei Field Mice, che diventa gioiosamente power pop. Con un carburante simile, è naturale che tutto viaggi a cento all'ora, sull'onda travolgente di chitarre spumeggianti e sfrigolanti, melodie di zuccherina freschezza, voci femminile e maschile che si alternano e sovrappongono, echi di shoegaze e tonnellate di positività twee. 


4
Club 8 - A Year With Club 8

Possibile che dopo trent'anni di onorata carriera Johan Angergård e Karolina Komstedt facciano musica nuova mantenendo la freschezza di quando erano sulla cresta dell'onda dell'indie pop svedese a metà dei '90? Le undici canzoni dell'album, uscite mese dopo mese durante il 2024, stanno a dimostrare come i Club 8 abbiano fatto un piccolo grande miracolo, sfornando una incredibile serie di "perfect pop songs" essenziali, raffinatissime, positive 
e trascinanti. 


The BV's - Taking Pictures of Taking Pictures

La fertile collaborazione dell'inglese Josh Turner e del tedesco Frederik Jehle va avanti da anni, ma oggi sembra avere trovato una perfetta quadratura con un album che è sicuramente il più luminoso della loro carriera. Le radici dei BV's sono solidamente dentro il terreno dell'indie pop originario, anche nella scelta (molto post punk) di una elegante essenzialità in bianco e nero, ma i frutti qui sono sorprendentemente variopinti e profumano di una crepuscolare primavera nordica. Un album che è un piccolo ma intenso viaggio tra brume psichedeliche e solarità jangly, denso a tratti, ironico e leggerissimo in altri. 


2
The Blue Herons - Go On

Per lungo tempo Andy Jossi e Gretchen DeVault hanno pubblicato, a cadenza regolare, una serie di singoli di sfavillante bellezza, ed ora li ritroviamo finalmente raccolti in un album che è davvero una bomboniera (rosa, non a caso) ricolma di delizie. Il dream pop concepito a distanza (Svizzera / California) dai due musicisti possiede da sempre un'aura speciale: jangly e di sfrontata immediatezza, dinamico, scenografico e catartico, a tratti quasi sopra le righe, curato nei particolari in modo maniacale, emozionante, avvolgente e propulsivo, una carezza per l'anima. 


1
Kindsight - No Shame No Flame

A un paio d'anni di distanza da un disco d'esordio che aveva già provato il talento straordinario del quartetto danese, il secondo album non solo testimonia un'ulteriore crescita, ma proietta la band di Nina Hyldegaard Rasmussen nell'olimpo dell'indie pop di oggi. I nove pezzi di No Shame No Flame hanno letteralmente dentro un fuoco inestinguibile: nel cuore racchiudono una raffinata gentilezza catchy, fuori esibiscono spigoli affilati. Non troverete molti gruppi al mondo in grado di suonare un guitar pop così intrinsecamente energico e delicato, sferzante e sognante al tempo stesso, a tratti leggero e a tratti struggente, con una scrittura post punk che osa essere "difficile" restando perfettamente immediata. 

21 dicembre 2024

SONGS & EPs CHRISTMAS EDITION

Arriva Natale e arriva anche l'ultima selezione di singoli ed ep dell'anno.

Non potevamo che iniziare con il pezzo natalizio di The Reds Pinks & Purples e finire con una perla di Hazel English con Day Wave Ma sono i Daydream Twins a regalarci la canzone più bella di questo mese!

Buone Feste!

  
 
 
 
 
 
 
 
 

14 dicembre 2024

Club 8 - A Year With Club 8 ALBUM REVIEW


A differenza di tante altre glorie dell'indie pop svedese, i Club 8 nei loro 30 anni 30 di carriera non hanno mai smesso di fare musica insieme. Si sono presi i loro tempi, certo, ma con rilassata calma hanno pubblicato undici album (dodici con questo), che - specialmente nell'ultimo ventennio - sono un po' passati sotto traccia, a dispetto della loro importanza nel panorama scandinavo, e non solo. 

C'è un'evidente ondata di revival da quelle parti: la testimoniano i ritorni di band come Red Sleeping Beauty e Alpaca Sports. Ma, nel caso del duo formato da Karolina Komstedt e Johan Angergård, più che di un ritorno possiamo in realtà parlare di un baluardo di un certo modo di intendere l'indie pop che è rimasto quasi inalterato nel tempo e non ha mai ammainato la bandiera. 

A Year With Club 8 è in verità un album particolare, perchè - esattamente come hanno fatto di recente i RSB - raccoglie undici pezzi usciti solo in versione digitale come singoli durante il 2024. Struttura interessante, perchè poi è un po' come se Karolina e Johan ci stessero dicendo con un pizzico di ambizione che il loro è un disco di soli singoli, cioè di canzoni in grado di arrivare subito attraverso la loro orecchiabilità. Il che è sorprendentemente ma indiscutibilmente vero. 

Parliamo di due musicisti che hanno una carriera pazzesca anche fuori dai Club 8 verso la metà dei '90 - primi '00: entrambi nei Poprace (se non li conoscete recuperateli perchè erano una delizia), solo Johan in quel prodigio che sono stati (sono?) gli Acid House Kings. Erano anni in cui in Svezia girava una vera galassia di gruppi che interpretavano il guitar pop con una sensibilità comune, twee e vagamente algida, jangly e gentile, amabilmente retrospettiva anche nell'innestare qualche essenziale e clolorato elemento di elettronica. La scena in cui sono fiorite band eccezionali come, ne cito solo una, i Sambassadeur (il mio approfondimento qui), ma basta consultare il catalogo della Labrador per testare impressionati. 

Torniamo ai Club 8. Come i tanti artisti già citati, Karolina e Johan hanno sfornato decine di canzoni nella loro carriera, spesso con una tinta indie-tronica, quasi sempre incentrate su un jangly pop raffinato ed arioso. Ed è sopratutto in quest'ultimo campo che si muovono gli undici pezzi del loro nuovo album.

Something's Wrong In My Head, primo episodio della raccolta, ha la stessa potenza post punk di molte cose dei Fear Of Men, dei primi Alvvays, dei Louxemburg Signal: catchy e squadrato al tempo stesso, chitarre fluide, drum machine e la voce inconfondibile, di neve e miele, di Karolina. 

Con Left Behind siamo dalle parti dei primi Pains Of Beeing Pure At Heart: chitarre che si fanno frizzanti, melodia cantilenante, ritmica più veloce, voci che si mescolano. Due minuti di vita. 

In Just Like Heaven, a dispetto del titolo Cure-iano, riassaporiamo il gusto inconfondibile degli Acid House Kings, mentre la densa Free Falling a me ha ricordato i mai abbastanza lodati Burning Hearts, altra band (finlandese) che ha portato in alto l'eredità dell'indie scandinavo (e poi è scomparsa). Ma in verità gli stilemi di entrambi i gruppi ci sono quasi ovunque nei pezzi dei Club 8 (prendiamo la fischiettante Nervous At Heart ad esempio). 

Daylight, che è la canzone più elettrica del lotto - la stoffa è quella tessuta da Jesus & Mary Chain - è a mio parere il momento più esaltante del disco: la via fiorita e colorata dei Club 8 al dream pop. 

Se poi ascoltate un pezzo come Sucker, così leggero, dinamico e compiuto nei suoi due minuti di chitarre scampanellanti, vi renderete conto di quanto il suono di Johan e Karolina abbia anticipato il migliore jangly pop di oggi, da Castlebeat a Day Wave. D'altra parte i Club 8 nascevano dai Poprace, che affondavano a piene mani la loro ispirazione da band come gli Heavenly. E infatti il duetto post punk semplicissimo e riuscitissimo di Sunny Day viene evidentemente da lì. 

Getting By, unico episodio oltre i tre minuti, chiude con una spettacolare trina di chitarre e un immancabile riflesso di malinconia crepuscolare: la voce di Karolina che si fa avvolgente e sensuale come non mai, il paesaggio sonoro che a poco a poco si allarga e si allontana.

Se mi chiedeste se mai avrei pensato che una band di ultra veterani avrebbe confezionato uno dei dischi migliori dell'anno, avrei probabilmente risposto senza esitazione di no. Ma tant'è: A Year With Club 8 è un album così pieno di vitalità, così essenziale e centrato nel suo approccio stilistico, così compatto nel suo mood "scandinavo", così trascinante nella sua serie di piccole perfect pop songs, così curato anche nella sua grafica, da sembrare quasi incredibile. Un regalo quasi impagabile e assolutamente inatteso per qualsiasi fan dell'indie pop. 


06 dicembre 2024

Ghost Days - Cemetery Rose EP REVIEW

Tutto nella proposta artistica di Alessia Kato denuncia apparentemente una passione totalizzante verso il post punk più dark: l'insistenza sul bianco e nero, i titoli e le liriche vagamente inquietanti, il look goth, il nome del suo progetto e persino i font scelti per le copertine. 

Nei dischi di Ghost Days quindi ti aspetti di trovare Suxie o Disintegration, e invece a ben vedere - come già dicevamo a proposito del precedente ep - quello che risalta è un'anima quasi eterea e delicatissima. 

Certo, le chitarre di Erase, il pezzo che apre alla grande la piccola raccolta, grattano e sfrigolano con quello spirito oscuro che dicevamo, però la voce delicata di Alessia e la melodia di malinconica morbidezza ci portano in un mondo di luce, per quanto crepuscolare. 

E in effetti già nella successiva scampanellante e dinamica Does It Hurt siamo decisamente dalle parti di Day Wave, quindi di un guitar pop liquido adagiato su una deum machine, ipnotico e raffinato, che poco possiede di gotico se non una sottile superficie.

Discorso che si può fare anche per Cemetery Rose e Vampire Blue, che virano decisamente in direzione di un dream pop che riesce ad attingere leggerezza da una pasta di nera densità, restando nella sua quasi totale essenzialità di chitarre, effetti e voce. Questo è senza dubbio il marker stilistico della musicista di Chicago e quello che riesce a fare meglio. 

Aspettiamo con impazienza il primo album!

30 novembre 2024

Hamburger - Beat Back The Ghouls EP REVIEW


Gli Hamburger sono una band curiosa: vengono da Bristol (che è una piccola capitale indie da sempre, vedi Sarah Records) ma non assomigliano affatto all'indie bristoliano di cui parliamo da queste parti; hanno pubblicato un ep esattamente 4 anni fa (di cui all'epoca ci siamo follemente innamorati) e poi misteriosamente più nulla, scomparsi esattamente come erano apparsi, dentro una nebbiolina da prestigiatori; hanno scelto un nome talmente bizzarro per il loro gruppo che però alla fine ti si imprime in testa; non fanno uscire singoli né album, solo questi ep di cinque sei pezzi che escono all'improvviso calati da chissà dove...

All'epoca di Teenage Terrified, avevo descritto così i pezzi del loro esordio: divertenti e commoventi al tempo stesso, stralunati e indecifrabili, leggerissimi e tristissimi, splendenti di una clamorosa tenerezza, impastati di folk, indie e pop. 

Le stesse parole si possono spendere tranquillamente anche per i sei pezzi (che poi in sostanza sono 5) di questo Beat Back The Ghouls, che è tutto incentrato sull'idea del "mostro", dai ghoul del titolo a Frankenstein, ed inizia con il poderoso entusiasmante e fischiante muro di chitarre punk di Buffalo, davvero una cosa alla Hamburger, ibrida e irta di deliziosi contrasti, che potrebbe stare dalle parti di un "Belle & Sebastian incontrano The Smashing Punpkins". 

La forza degli Hamburger sta in effetti nella loro capacità di mischiare cose opposte: innanzitutto le voci (maschile, femminile, falsetto), ma soprattutto i mood sonori, dalla delicatezza di una trina jangly al tessuto grezzo e strappato di chitarre ispirate chiaramente all'indie dei '90, il tutto nell'arco della stessa canzone. 

E' il caso di Toothless, che apparentemente è l'episodio più morbidamente orecchiabile del lotto, ma al contempo ha - come sempre accade alle cose della band di Bristol - una tendenza centrifuga che riesce puntualmente a ricomporsi in un finale di scenografica bellezza, con un florilegio di armonie vocali e persino un assolo di elettrica. Applausi. 

Se poi prendiamo Uglie, il pezzo successivo, forse capiamo in modo definitivo che il vero modello stilistico degli Hamburger sono i mai abbastanza lodati Grandaddy. Una band che ha marchiato a fuoco l'indie di trent'anni fa mescolando - esattamente ciò che fanno i sei di Bristol - una estetica quasi twee, una mai celata tentazione psichedelica e soprattutto un'idea di guitar rock in grado di essere catchy e disturbante al tempo stesso, soffice e ruvidissimo e soprattutto suggestivo, obliquo ed emozionante. 

La tendenza ad allungare i pezzi, a dar loro delle architetture insieme complesse e squadrate, in effetti è esattamente quella. Così come la capacità innata di prendere il folk pop e di grattugiarlo facendo tutto il rumore possibile, che può ricordare da vicino la buon anima di Mark Linkous / Sparklehorse. Vedi la lunga, solenne, introspettiva Frankenstein, che si apre da copione un po' alla volta, prima timida e poi coloratissima, come un fiore nel deserto. O la brevissima e ficcante Rip, che chiude tutto come farebbero i punk gentili Me Rex o Fresh. 

Insomma, sono bravi gli Hamburger, terribilmente bravi. E a loro modo davvero unici. Tanto che viene veramente da domandarsi se le loro pubblicazioni così rare siano giustificate da una maniacale cura formale (che si percepisce, pure in un contesto lo-fi) o da chissà quale altra ragione personale. Fatto sta che, se Teenage Terrified ci aveva sorpresi e incantati, questo Beat Back The Ghouls ci conferma nell'impressione di trovarci davanti a dei fuoriclasse, che forse non sospettano nemmeno di esserlo. 

26 novembre 2024

SONGS & EPs WINTER BEGINS EDITION

La nostra selezione per l'inizio dell'inverno: una delle migliori di sempre, con una serie di canzoni favolose! Innanzitutto il singolo emozionante dei Palida Tez, che si prende il posto d'onore, ma ci sono anche i nuovi dei Bleach Lab e dei Roller Derby, e soprattutto dei ritorni da brividi: Alpaca Sports, Blueboy, Club 8!