04 luglio 2025

Castlebeat - Revival ALBUM REVIEW

Cosa possiamo dire ancora di Josh Hwang che non abbiamo già detto in questi anni? Da una parte è una delle colonne della scena indie pop americana (anche grazie alla sua etichetta Spirit Goth), dall'altra ha portato avanti un percorso di rara coerenza e pure al contempo sempre pronto a sperimentare qualcosa di nuovo nella sua programmatica dimensione DIY. 

Nei sedici episodi (sedici!) di Revival troviamo per l'appunto un'antologia stilistica perfetta e completa di quello che è stato ed è il progetto Castlebeat.

I pezzi di Josh da sempre si collocano idealmente a cavallo di quattro quadranti: quelli dove prevalgono le chitarre (jangly quasi sempre, spesso sfrigolanti), quelli dove prevalgono i synth, quelli più apertamente catchy, quelli più sfumati ed atmosferici. Le variabili sono queste e tirano di più da una parte o dall'altra, mixando gli elementi e spingendo qua e là sul pedale di un post punk squadrato (LiesIvy League ad esempio). Le costanti sono la voce filtrata, la drum machine che scandisce una ritmica mid o uptempo, ed una morbidezza melodica di fondo che è comunque onnipresente ed è forse il segreto della ricetta (rigorosamente casalinga) di Castelbeat. 

30 giugno 2025

SINGOLI & EP SUMMER IS HERE EDITION

La nostra collezione di inizio estate si apre stavolta con gli ep, e in particolare con il guitar pop frizzante e deliziosamente obliquo dei californiani Whitney's Playland. Californiani, ma più morbidi e sfumati, anche i Pennys. Affascinante lo shoegaze "classico" (alla MBV) dei taiwanesi The Giraffe Told Me In My Dream. A seguire il post punk in purezza dei Rainwater e tre splendide canzoni nuove della nostra favorita Amy Bevan, ovvero Broken Dreams Club. Tre pezzi anche nelle di Michele Cingolani, ovvero Waving Blue.

 

 





Nella sezione singoli le cose più interessanti sono il dream pop raffinato dei malaysiani Commemorate e l'indie pop frizzante dei brooklyniani Diary. Poi un nuovo pezzo dei The Kind Hills, affascinante e obliquo come sempre e il guitar pop elegante dei Films On Song.  La vera grande notizia è il ritorno degli Heavenly, ma c'è anche un pezzo da novanta come Fazerdaze ed un altro ritorno attesissimo, quello dei Fragile Animals. A chiudere i miei spagnoli preferiti, Pàlida Tez













26 giugno 2025

Career Woman - Lighthouse ALBUM REVIEW

E' da un bel po' - almeno da quando Melody Caudill ha pubblicato i suoi primi singoli appena terminato il liceo - che sostengo che Career Woman sia l'erede legittima di Waxahatchee. Lo stile cantautorale della losangelina in effetti ha molte similarità con quello di Katie Crutchfield: da una parte una esibita muscolarità indie rock, dall'altra una forte immediatezza pop, con un evidente coté folk e una naturale capacità di raccontare e raccontarsi. 

D'altra parte, con un nome così, non deve essere un caso se Melody ha bruciato le tappe e oggi, appena terminati i tre anni di college a Santa Cruz, ha definito con grande lucidità la dimensione artistica di Career Woman, che da progetto solistico quasi da cameretta è diventato una band di quattro elementi con un solido retroterra rock che, immagino, renderà particolarmente dal vivo. 

Non arriverò a dire che Lighthouse - che, strano a dirlo, ma è il disco d'esordio di Melody - sia il suo Ivy Tripp, ma senz'altro è un album ambizioso che si inserisce in una poderosa tradizione di female Singer songwriter di area indie - oggi direi la guidano Soccer Mommy, Julien Baker, Lucie Dacus e Phoebe Bridgers - senza alcuna paura di confrontarsi con quei modelli e al contempo senza tentare strade oblique e sperimentali (alla Japonese Breakfast per intenderci).

Gli undici pezzi di Ligthouse fanno il loro mestiere e arrivano subito dritti: hanno le chitarre sempre bene al centro, sprizzano dinamismo e urgenza comunicativa da tutti i pori e convogliano l'energia in modo intelligente e sapientemente scenografico (prendete il crescendo di Piano Song o la sorniona semplicità catchy post-adolescenziale di Hit and Run). 

Insomma, Melody non è più la ragazza che pubblicava demo voce e chitarra, o per la precisione non lo è più del tutto, perchè dietro il suono rotondo e pulito delle sue nuove canzoni (They Told Me To Say Nothing ad esempio) in fondo è racchiusa quella fragilità che ci ha fatto innamorare di lei. 

22 giugno 2025

Hidden Eyes - Seeking Certainly ALBUM REVIEW

Sono un bel mistero gli Hidden Eyes. Bello perchè, a conti fatti, sono oggettivamente una delle migliori band indie che ci siano in giro. Mistero perchè, come già notavamo in occasione dell'uscita del loro splendido album precedente, è praticamente impossibile reperire qualche informazione su di loro: restiamo a quanto sapevamo già, ovvero che si tratta di un due formato dai fratelli Dylan e Lou e che sono basati nel Leicestershire. 

Ma al di là di qualsiasi informazione biografica, possiamo non amare una band che su Bandcamp si presenta così: "facciamo musica in casa e la lasciamo qui in caso a qualcuno piaccia..."? 

Seeking Certainly prosegue sulla strada già tracciata da Dylan e Lou nel recente passato: un diluvio di chitarre che vibrano di elettricità statica, ritmiche essenziali, melodie di circolare dolcezza esaltate dalla voce sottile di Lou e da quella timida di Dylan, una produzione che più artigianale di così non si può. 

E' evidente che nelle corde degli Hidden Eyes c'è l'intera tradizione di indie americano dei '90, da Dinosaur Jr e Built To Spill, ibridata con un approccio vicino allo shoegaze "accessibile" dei Ride e degli Slowdive, con in più un tocco di slacker rock. 

Quando poi Dylan e Lou vogliono essere veramente catchy - prendete Household Name ad esempio - emerge il loro vero marker stilistico: una innata capacità di trascinare senza bisogno di nessun effetto speciale. 

I nove episodi dell'album scorrono via con sfrigolante leggerezza, e davvero si legge tra le righe di ogni pezzo l'entusiasmo e l'amore di chi ha costruito queste canzoni letteralmente in cameretta, con la pura e semplice ambizione di trovare un pugno di ascoltatori qui fuori che possano apprezzarle. 

18 giugno 2025

flinch. - Misery Olympian ALBUM REVIEW

Sono ancora sbucciate le ginocchia di flinch. nella copertina del nuovo album, che esce a distanza di ben quattro anni da quell' enough is enough che all'epoca ci aveva fatto innamorare del suo fascino lo-fi (e proprio della sua copertina!)

Oggi, ci sembra di capire, attorno a Beth Balck c'è un'intera band a totale trazione femminile. 

Quello che non cambia è lo stile slacker rock essenziale, ironico e intelligente che avevamo già trovato allora. La dimensione è quella canonica: due chitarre elettriche, basso, batteria, la voce naturale di Beth che racconta i casi della sua vita.

I pezzi del quartetto scozzese trasudano indie dei '90 da ogni poro, ed è probabilmente il motivo principale per cui ci piacciono da morire: hanno quell'andamento obliquo e quel mix perfetto di spigoli, dolcezza e spontanea artigianalità che ci fa pensare subito alle band che si fanno le ossa suonando nei garage di periferia. 

I titoli da soli valgono come sempre il viaggio. Ne cito un paio: i heard monogamy and the patriarchy are best of friends (and Tennyson wrote that poem about his best friend); well maybe you're not afraid of me but I'm sure you've thought about me naked... 

Il mood è catarticamente e programmaticamente triste, ma su tutto aleggia un senso di grande (forse un po' sarcastica) leggerezza che rende ogni episodio terribilmente immediato e piacevole. 

13 giugno 2025

Subsonic Eye - Singapore Dreaming ALBUM REVIEW


A sentire Singapore Dreaming, quinto album dei sempre ottimi Subsonic Eye, mi viene da pensare che probabilmente noi europei sbagliamo a considerare l'Oriente come un periferia dell'indie. Non c'è luogo al mondo oggi, in un quadrato geografico fra Tokyo, Corea / Sud della Cina, Filippine e Indonesia (e Singapore sta giusto lì al centro, e forse è proprio il centro del mondo), dove l'indie pop è vivo e vivace: volendo, potrei passare le giornate ad ascoltare band di giovani e giovanissimi che vengono da quelle parti e imbracciano l'etica, l'estetica (e le chitarre) del nostro genere preferito. 

La band di Nur Wahidah in particolare - lo diciamo fin dai suoi esordi, visto che la seguiamo da anni - ha fatto proprio delle chitarre il proprio credo: pochi gruppi in giro le usano come loro, jangly, distorte, intrecciate, sempre terribilmente croccanti, al servizio di un'attitudine melodica e insieme obliqua, dinamica e capace di sembrare immediata senza esserlo. 

Pezzi brillanti come Aku Cemas o Why Am I Here - citiamo giusto i due che introducono alla grande l'album - descrivono bene il guitar pop dei Subsonic Eye: raffinatissimo e personale nella costruzione, semplice nelle liriche, propulsivo e arrembante nel costruire attorno alla voce (apparentemente) dolce di Nur un'architettura sonica complessa che tende a riempire davvero ogni angolo, rallenta e accelera senza soluzione di continuità.

Difficile trovare particolari somiglianze nella musica della band di Singapore: c'è un po' di Say Sue Me, un po' di Kindsight, tanto indie dei '90, ascendenze post punk, la tradizione jangly rivissuta in senso power pop e fragori shoegaze...

In verità i Subsonic Eye hanno veramente una personalità fortissima e ormai sono una radicata certezza.


08 giugno 2025

Sloe Noon - All Feelings No Technique EP REVIEW

All Feelings, No Technique è senz'altro uno dei titoli più arguti, ironici (e forse programmatici) in cui mi sia imbattuto in tanti anni. Non che la musica di Anna Olivia Böke sia priva di tecnica - tutt'altro! - ma non c'è dubbio che sia piena di passione. Una passione che l'artista tedesca ha coltivato sia in patria che a Brighton, dove ha studiato e si è mescolata con la nutrita scena indie locale.

Arrivata al terzo ep della sua creatura Sloe Noon, Anna ha messo sempre più a fuoco il suo guitar pop capace di essere denso e poderoso ed al contempo sognante e brioso, una dote questa che caratterizza fortemente la sua musica e la rende, per l'appunto, piena di prepotente emotività.

Solo cinque i pezzi nell'ep, ma tutti molto carichi, molto centrati e prodotti con grandissima cura, per certi versi non lontani da un certo cantautorato femminile che ama le chitarre (Soccer Tommy, Beach Bunny...), ed al contempo prossimi anche al power pop patinato, virato seppia e scenografico dei Blech Lab (Mindsweeper ad esempio) ed al dream pop energico e catartico dei Basement Revolver. 

03 giugno 2025

Bridge Dog - Auto Fiction ALBUM REVIEW


Arrivati ormai alla svolta ideale della metà del 2025, guardando indietro ho fatto un po' fatica a vedere un album che spicchi veramente, pur avendone ascoltati diversi decisamente validi. 

Poi è comparso quasi dal nulla il disco d'esordio dei Bridge Dog e la didascalia "album dell'anno" si è illuminata da sola come se già ai primi secondi del primo pezzo (ne parliamo tra un attimo) si fosse azionato automaticamente un interruttore. 

Ma andiamo con ordine. Dei Bridge Dog abbiamo in realtà già parlato di recente, seppur rapidamente, in occasione dell'uscita di un paio di formidabili singoli nei mesi scorsi, ed in maniera più ampia quando debuttarono con il loro primo ep Going South nel 2021. All'epoca, pur apprezzando l'indubbia verve guitar pop del gruppo australo-coreano, forse non avevamo un chiaro sentore che sarebbero stati la potenziale next big thing dell'indie pop. E invece... 

Grace Ha e Brian Park hanno fondato la band a Sydney come un duo, inseguendo uno stile dream pop che si fregiava di una grazia particolare nella costruzione delle melodie e di fragorosi muri di suono. 

Negli ultimi anni il duo è diventato ufficialmente un quartetto ed ha evidentemente lavorato per mantenere inalterato il nucleo lo-fi del proprio guitar pop rinforzandone da un lato la pulizia melodica e dall'altro la muscolarità energetica. 

L'ìncipit dell'album con la successione Counterweight / Working At It è, come anticipavamo sopra, è già di per sé miracolosa: la sfrigolante dolcezza della prima, con una strofa che sembra un ritornello, e la lunga coda che mescola le distorsioni e la linearità melodica della voce di Grace; il jingle jangle leggero come una nuvola e dinamicamente esuberante della seconda, che se venisse dalla penna di Molly Rankin non ci stupirebbe affatto. 

Se in effetti gli Alvvays possono essere considerati lo zenith dell'indie pop dell'ultimo decennio, i Bridge Dog sembrano senz'altro, almeno nei loro tratti più distintivi, esserne uno dei tanti gruppi "derivativi" - l'incrocio magico e propulsivo di densità elettrica quasi disturbante e purezza melodica perennemente catchy sono la ricetta della band di Toronto quanto di quella di Sydney - ma poi gli australiani sono bravissimi nell'imboccare porte laterali che li portano in stanze adiacenti ma diverse: Standard Issue ha una sua obliqua delicatezza che sta dalle parti dei Say Sue Me; Memory Police (la voce qui è quella di Brian) va efficacemente ad estrarre romantico intimismo da chitarre di marca shoegazer; Memory Man è proprio una lenta immersione dentro onde di fatte di distorsione pura, dove la fragile gentilezza vocale di Grace Ha è una sirena che ci guida negli abissi. 

SVU, altro episodio dall'architettura chiaramente alvvaysiana (anche e soprattutto nell'uso del synth), ci riporta diritto al core style della band, prima di affidarci alle chitarre jangly piacevolmente sghembe di Out The Window, altro momento liricamente narrativo (e super malinconico) del disco non a caso affidato di nuovo alla voce di Brian Park, dove la capacità dei Bridge Dog di sovrapporre spigoli e coperte calde è davvero al massimo. 

Nel finale, l'immediatezza post punk di New View e soprattutto l'emozionante crescendo catartico di Blue Flags, che ha le liriche più belle e toccanti dell'album, intessute di una bruciante malinconia, ma non indulge affatto al sentimentalismo  e centra il suo obiettivo nei tre minuti canonici, chiudendo l'intero album come un cerchio. 

Per i Bridge Dog potremmo fare un discorso non dissimile da quello che abbiamo fatto per i Kindsight (altra band alvvaysiana, per altro) l'anno scorso: erano già bravissimi quando muovevano i primi passi, poi quando hanno messo a punto gli equilibri hanno raggiunto velocemente la quadratura del cerchio ed hanno acquisito quella immediata riconoscibilità stilistica che è la laurea cum laude di ogni gruppo. 

Il guitar pop catchy, arioso, propulsivo e insieme inquieto e sottilmente malinconico della band di Sydney è ormai una certezza e pone i Bridge Dog tra i grandi dell'indie pop di oggi. 

30 maggio 2025

Sea Lemon - Diving For A Prize ALBUM REVIEW

Seguiamo Natalie Lew davvero fino dai suoi esordi, e possiamo tranquillamente dire che già quando muoveva i suoi primi passi avevamo intuito quanto fosse brava, tanto che quando - per il suo secondo ep - si unì artisticamente a Jackson Phillips, non ci eravamo stupiti di quanto la sua musica fosse cresciuta. 

A due anni di distanza, la musicista di Seattle ha finalmente confezionato il suo vero album di debutto, che  in regia stavolta ha Andy Park, un produttore che ha lavorato con i Death Cab For Cutie (non a caso troviamo la voce del mitico Ben Gibbard nell'affascinante Crystals) e che qui ha contribuito a dare una perfetta, poderosa e corrusca tridimensionalità al dream pop di Natalie.

La somiglianza dello stile di Sea Lemon con quello di Hazel English è un dato che sottolineiamo da sempre, e non c'è dubbio che sia ancora una caratteristica evidente: la voce filtrata, le chitarre liquide, i synth avvolgenti, l'onnipresente delicatezza melodica, l'approccio ad un tempo intimistico e scenografico, con l'immancabile crescendo che si innesta dentro un'atmosfera malinconica e la trascina verso l'alto scalando un denso muro di suono floreale...  sono tutti marker tipici di entrambe le nostre dream popper preferite. 

Natalie, nella sua evoluzione, ha quindi lavorato in modo intelligente, appoggiandosi a produttori diversi, per dare giustamente una personalità forte alla sua proposta, che con questo Diving For A Prize sembra definitivamente acquisita. Se in pezzi come la splendida Thought For You l'idea centrale è quella di allargare dal centro come onde in una superficie che si increspa a poco a poco, con una decisa immediatezza melodica ed una rotondità programmatica, altrove (Sweet Anecdote ad esempio) i contorni sono volutamente più sfumati e lo scenario si fa più cinematico e sperimentale, senza però mai perdere la gentilezza di tocco che tutto pervade.

Ne viene fuori un album di grande equilibrio, che sa essere suggestivo e intrattenere allo stesso tempo, con in più una serie di episodi terribilmente catchy (Cynical il mio preferito) che danno al tutto un innegabile dinamismo e ne fanno senz'altro uno dei dischi più significativi dell'anno in corso. 

24 maggio 2025

J Dream Pop: una piccola selezione di dream pop giapponese SPECIALE

Abbiamo spesso (e volentieri) parlato di band giapponesi e ogni volta abbiamo sottolineato come da quelle parti ci sia una scena dream pop / shoegaze molto vivace. Non c'è dubbio che esista un gusto melodico tipicamente nipponico (molto dritto, spesso ad alto tasso zuccherino, talvolta sopra le righe) che penetra un po' tutti i generi. Nel nostro caso è evidente nelle produzioni di gruppi che conosciamo bene come Moon In June, Ferri-Chrome o Stomp Talk Modstone

Ma cercando in rete si trovano davvero dozzine di artisti interessanti che dubito siano conosciuti fuori dai confini nazionali (la barriera linguistica e l'uso degli ideogrammi contribuiscono a farceli sembrare un po' degli alieni e non è per nulla facile trovare informazioni in inglese).

Oggi vi propongo una piccola selezione senza alcuna pretesa di completezza o di tracciare mappe di genere. Giusto un pugno di canzoni uscite quest'anno che mi sono piaciute e possono servire a scoprire un pezzettino di un mondo apparentemente lontano, ma in realtà - almeno per quanto riguarda lo stile - molto molto vicino alle nostre passioni. Con dei tratti distintivi che scoprirete con facilità. 

Cominciamo con questo pezzo dei Cephalo, il mio favorito del lotto, che mi sembra dipinga bene l'attitudine catchy che dicevamo poco fa. La cantante Fuki è una potenza e la canzone non ha niente da invidiare alle cose migliori dei Night Flowers. 


Questi invece sono i Laura Day Romance. Il loro è un guitar pop delicatamente sognante, con chiare radici folk. Il video è una piccola delizia già di per sè.


I Tiny Yawn partono da un'essenzialità post punk ma la sublimano in una grande apertura melodica. 



Chiari elementi shoegaze nel dream pop scenografico degli Hakubi di Kyoto. 


Blue Train degli Yukiguni è una perla di malinconia e tenerezza. 



Una certa idea di scenografici emotiva è condivisa davvero da quasi tutti questi gruppi. Anche e soprattutto dai soffici Soda Light


E dai Goat Life di Tokyo, che chiudono la nostra piccola collezione. 


Prima di lasciarvi però - visto che siamo in tema - non posso che consigliare un disco che ormai ha dieci anni ma è un tesoretto di dream pop poetico, da riscoprire assolutamente: Are You Happy New? degli Apple Light