A sentire Singapore Dreaming, quinto album dei sempre ottimi Subsonic Eye, mi viene da pensare che probabilmente noi europei sbagliamo a considerare l'Oriente come un periferia dell'indie. Non c'è luogo al mondo oggi, in un quadrato geografico fra Tokyo, Corea / Sud della Cina, Filippine e Indonesia (e Singapore sta giusto lì al centro, e forse è proprio il centro del mondo), dove l'indie pop è vivo e vivace: volendo, potrei passare le giornate ad ascoltare band di giovani e giovanissimi che vengono da quelle parti e imbracciano l'etica, l'estetica (e le chitarre) del nostro genere preferito.
La band di Nur Wahidah in particolare - lo diciamo fin dai suoi esordi, visto che la seguiamo da anni - ha fatto proprio delle chitarre il proprio credo: pochi gruppi in giro le usano come loro, jangly, distorte, intrecciate, sempre terribilmente croccanti, al servizio di un'attitudine melodica e insieme obliqua, dinamica e capace di sembrare immediata senza esserlo.
Pezzi brillanti come Aku Cemas o Why Am I Here - citiamo giusto i due che introducono alla grande l'album - descrivono bene il guitar pop dei Subsonic Eye: raffinatissimo e personale nella costruzione, semplice nelle liriche, propulsivo e arrembante nel costruire attorno alla voce (apparentemente) dolce di Nur un'architettura sonica complessa che tende a riempire davvero ogni angolo, rallenta e accelera senza soluzione di continuità.
Difficile trovare particolari somiglianze nella musica della band di Singapore: c'è un po' di Say Sue Me, un po' di Kindsight, tanto indie dei '90, ascendenze post punk, la tradizione jangly rivissuta in senso power pop e fragori shoegaze...
In verità i Subsonic Eye hanno veramente una personalità fortissima e ormai sono una radicata certezza.
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