30 settembre 2021

SINGOLI DEL MESE DI SETTEMBRE 2021: Castlebeat, Hatchie, Sluff, Stars On Fire, Lurve, Barrie, Basement Revolver, Subsonic Eye

Into dei veterani Castelbeat, è una delizia dream pop dalle tinte pastello dal retrogusto new wave: il podio va a loro questo mese.

Nella selezione in evidenza anche il nuovo atteso singolo di Hatchie, che mescola con coraggio elettronica fighetta, flavour anni '80 e shoegaze.

Non so nulla degli Sluff, se non che incidono per la etichetta viennese Numavi, la loro Deceiver - appena uscita - è uno dei pezzi indie più interessanti del mese.

I nostalgici del C86 troveranno quello che cercano in Ready Steady Go! degli Stars On Fire, ma anche nelle chitarre croccanti degli australiani Lurve. 

Per l'angolo "female singer-songwriter" la dolcezza straniante di Barrie Lindsay, o semplicemente Barrie. 

Non tradiscono mai i Basement Revolver con la loro avvolgente scenografia dream pop.

Chiudiamo con il guitar pop dalla classe innata dei nostri singaporesi preferiti Subsonic Eye. 

 







26 settembre 2021

The Ophelias - Crocus ALBUM REVIEW

In genere non mi capita spesso di ascoltare quello che viene chiamato "chamber pop", per quanto mi piacciano molto gli archi e abbia una lontana passione per il folk. Ho quindi ascoltato l'ultimo (terzo) album delle Ophelias un po' per caso. Ma, come sovente accade, si rimane rapiti da qualcosa che non avevamo affatto in programma.

Il quartetto di Cincinnati, Ohio, da buona band di pop da camera, utilizza un ampio spettro di strumenti sia elettrici che acustici nelle proprie canzoni, partendo da una dimensione cantautorale sostanzialmente folk (non è un caso che in un pezzo canti Julien Baker) ed allargandola di volta in volta con violino e violoncello, pianoforte, fiati e soprattutto con armonie vocali essenziali e curatissime. 

Ciò che mi ha colpito nei pezzi di Spencer Peppet e compagni è la onnipresente misurata e delicatissima ricerca di una bellezza palpitante ma timidamente trattenuta. La stessa che pervade le canzoni di altre band di genere che amo da sempre come Damon & Naomi o The Innocence Mission. La stessa in fondo cui allude in senso letterario la triste, gentile e sognate Ofelia shakespeariana che dà il nome al gruppo.

Avrete forse l'impressione che siamo un po' lontani dal focus del sito, certo, ma se sentite bene l'inquieto ed elettrico singolo Sacrificial Lamb forse vi ricrederete. Dopotutto l'indie pop spesso prende strade del tutto differenti e inaspettate.

21 settembre 2021

Sweet Nobody - We're Trying Our Best ALBUM REVIEW

Dici Long Beach, California e pensi subito a chitarre surf e melodie zuccherose e solari. I Sweet Nobody, che a Long Beach ci vivono, lo sanno senz'altro benissimo e una quota della loro musica è in effetti imparentato direttamente con quella che potremmo chiamare "tradizione californiana". 

Solo in parte però, perché in realtà nelle canzoni di Joy Deyo, singer songwriter del quartetto, c'è una dose preponderante di introspezione che nel pop come atteggiamento trova soprattutto un vettore in grado di far sembrare facile e melodico ciò che in realtà non lo è. 

Troverete in rete diverse recensioni che azzardano i Sweet Nobody un po' come degli Alvvays trasportati dal Canada alla scintillante West Coast. Non è del tutto così, per quanto una certa propensione a mettere insieme scampanellii jangly, morbidi muri di chitarre e linee apertamente cantabili, in comune ci sia (Five Star Diary Young In Love fanno perfettamente centro in questo senso), però la band californiana sembra persino tentare di dipingere un numero maggiore di sfumature, spostandosi con nonchalance dal bubblegum pop alla psichedelia (Little Ghost) e al post rock spigoloso alla J&MC di White Lies. E finendo per non convincere ovunque. 

Resta il fatto che i pezzi di We're Trying Our Best soprattutto quando innestano la marcia jangle pop lo fanno alla loro maniera - decisamente personale - e funzionano davvero sempre. 

17 settembre 2021

The Beths - Auckland New Zealand 2020 ALBUM REVIEW

In un periodo davvero avaro di nuove uscite interessanti (arriveranno con l'autunno, ne siamo certi) vengono a confortarci i Beths con questo atteso album live (ripreso anche in un film corredato di interviste e backstage disponibile su YouTube), che di questi tempi è una deliziosa caramella dal retrogusto amaro.

La registrazione risale a un anno fa - Jump Rope Gazers era uscito da pochi mesi - in un momento in cui nella natia Nuova Zelanda la pandemia sembrava scongiurata e 1500 persone festanti potevano assieparsi sotto il palco della Auckland Town Hall per omaggiare Beth Stokes e compagni. 

Ascoltare e vedere oggi il live dei Beths da un lato ci entusiasma (per la forza travolgente e sempre sorridente di una delle band che da queste parti amiamo di più), ma dall'altro ci inonda anche di malinconia perché la sorte dei concerti live (quelli veri) per lo meno in Europa è al momento ancora piuttosto traballante.

Per i quattro ragazzi di Auckland il live in questione è stata un po' la celebrazione di quanto conquistato nel giro di soli due album, e la scaletta mette in fila ed alterna con elettrica voglia di divertirsi e divertire tutte le hit del gruppo, dal pop punk uptempo di I'm Not Getting Excited fino al crescendo quasi emo di River Run, tracciando anche idealmente il breve ma significativo percorso di una band che ha saputo costruirsi un'identità indie riconosciuta in tutto il mondo e che, obiettivamente, maneggia un talento gigantesco. 

Unica pecca - ma è un'osservazione personale - non c'è Lying In The Sun, che è un capolavoro assoluto. Ma c'è tutto il resto...



02 settembre 2021

The Arctic Flow - Lost You Long Ago ALBUM REVIEW

In dodici anni di carriera, Brian Hancheck ha pubblicato, se conto bene, soltanto tre album a nome The Arctic Flow. Segno evidente che la sua creatura musicale ha bisogno di cesello e meditazione.

L'indie pop intessuto di languide chitarre jangly e synth di Arctic Flow mostra due facce nelle undici tracce del disco. La prima, quella più sorridente e leggera, aerea e midtempo, ci fa l'occhiolino in canzoni come Rehearsal, Boys Are, Alive che scintillano di un gusto melodico che sembra venire direttamente dagli anni Ottanta degli Smiths e dalla Sarah Records dei Blueboy, dei Sweetest Ache e degli Orchids. Ma, a sentire bene, c'è anche lo stesso sguardo entusiasticamente sognate dei Pains Of Beeing Pure At Heart, drenato da tutta l'elettricità statica e lasciato fluire in una morbida brezza notturna (A is for mi sembra che esemplifichi bene). L'altra faccia, decisamente più malinconica, romanticamente dilatata e caratterizzata da una estenuata eleganza, fa da contrappunto alla prima fondendosi con essa in modo equilibrato e intelligente.

E' chiaro che l'idea centrale della band della South Carolina è incarnare la nostalgia stessa, e tutto suona splendidamente retrospettivo (e piuttosto intellettuale) nella musica di Hancheck, così come nella meravigliosa copertina. Ed è il suo bello.