29 giugno 2021

SINGOLI DEL MESE DI GIUGNO 2021: Starry Eyed Cadet, The Hauted Youth, The Boy Least Likely To, Whimsical, Lunar Vacation, The Reds Pinks & Purples, Career Woman, The Head

In questa piccola collezione di giugno: il dream pop raffinato degli Starry Eyed Cadet e quello avvolgente dei belgi The Haunted Youth; il pop floreale, variopinto e fischiettante dei The Boy Least Likely To; il dreamy shoegaze dei Whimsical; il power pop morbido e solare dei Lunar Vacation; l'ennesima adorabile uscita di The Reds Pinks & Purples; il formidabile singolo della diciassettenne Melody Caudill, in arte Career Woman; le chitarre jangly smithsiane di The Head. 








26 giugno 2021

Gap Year - Flat Out ALBUM REVIEW

L'Australia ha una lunga e generosa tradizione jangle pop, dai Go Betweens e da The Church, attraverso i Lucksmiths e giù fino ad artisti di oggi come The Moon Sax, Hatchie o Quivers. Alla lunga lista di band dalle chitarre scampanellanti si aggiungono anche i Gap Year, che vengono da Perth e sono attivi dal 2019. 

Flat Out, il loro album di debutto,  mette davanti nove pezzi di notevole classe, briosi e di sicura immediatezza. Proprio come i Go Betweens, i Gap Year hanno alla testa del gruppo due songwriters, Daniel Harrison e Lee Napper, che si spartiscono a metà sia la firma che la voce giocando sulle sfumature di uno stile perfettamente condiviso. Il guitar pop della band di Perth ha poi una serie di plus nella voce femminile a supporto di Maddy Blue, nell'utilizzo decisamente eighties-flavoured dei synth e in un sostrato folk-rock che a tratti affiora con una certa evidenza. 

Di fronte alla notevole perizia e pulizia formale con cui tutte le canzoni sono strutturate e confezionate e all'intelligente dinamismo interno di ogni pezzo, si stenta quasi a credere che si tratti di un gruppo di esordienti. 

19 giugno 2021

The Catenary Wires - Birling Gap ALBUM REVIEW

Quando si parla dei Catenary Wires, è praticamente impossibile non dichiarare subito il formidabile curriculum dei due titolari della band, Amelia Fletcher e Rob Pursey, dai Talulah Gosh in giù. 
In verità, quando si tratta di artisti così "importanti" per la storia dell'indie pop, mi fa quasi l'impressione che a loro farebbe piacere essere trattati esattamente come le tante altre band di ventenni che emergono ogni giorno e non come fenomeni catapultati da un'altra era. Se non altro perché questi due signori, che l'indie pop praticamente l'hanno inventato, possiedono oggi lo stesso entusiasmo e la stessa freschezza di quando vent'anni li avevano per davvero. E questo, beh sì, è decisamente fenomenale... 
Il Birling Gap è una scogliera bianca che sfida le onde del Canale della Manica poco a Est di Brighton, nel Sussex. E' un posto iconico - come iconici sono Fletcher e Pursey per noi appassionati del genere. I Cure, fate mente locale, ci hanno girato il video di Just Like Heaven (che, parentesi nella parentesi, forse è la mia canzone preferita di sempre). 
Rob e Amelia hanno scelto come titolo e immagine di copertina un luogo che è insieme un emblematico simbolo di resistenza e un'impronta paesaggistica che agli occhi di ogni inglese risulta immediatamente riconoscibile. Così è oggi la musica dei Catenary Wires: resistente al tempo e intessuta di una rete di rimandi e memorie talmente fitta da avvolgere tutto in un eccezionale abbraccio di contemporaneità. 
E' abbastanza vano affannarsi a cercare il C86 nelle splendide canzoni di Birling Gap. C'è, radicato nella stessa anima del songwriting di due artisti che nell''86 già erano dei modelli, ma c'è tanto altro: in definitiva un intero viaggio nel pop inglese degli ultimi sessant'anni, condensato in dieci perfetti scintillanti microcosmi che sembrano altrettante palle di vetro che contengono immagini liriche e musicali di un passato condiviso, sulle quali vortica, si agita e ricade una neve di sogni e ricordi. 
Lo stile essenziale e gentilmente punk di quel twee poi che è stato da sempre il marchio di fabbrica di Fletcher/Pursey non c'è in Birling Gap. C'è invece un'idea di canzone che qualcuno chiamerà "matura", ma che in realtà è soprattutto una ricerca di eleganza formale che conservi al centro la purezza della scrittura intelligente e timidamente catchy dei due e la esalti mettendole addosso il vestito della domenica. 
Già l'iniziale Face On The Rail Line, con la sua spettacolare, calda, raffinatissima ampiezza corale, ci fa capire che non siamo davanti ad un album in cui i due rivangano lo stesso campo del loro passato comune, ma muovono passi verso un orizzonte nuovo ed ambizioso. E' vero che nelle successive Alpine e Mirrorball c'è quella stessa dinamica dialogica male/female su cui erano costruiti gli Heavenly, ma è rivissuta nella prima in una dimensione di orchestrale mesmerica bellezza e nella seconda con uno spirito di allegria giocosa. In Always On My Mind sembra davvero funzionare alla grande quel frullatore pop di cui sono stati sempre maestri i Belle & Sebastian: armonie vocali profumate di sixties, una testiera Casio ed un chorus di sorniona leggerezza che ti si stampa subito in testa. Il Birling Gap lo troviamo racontato in Three-Wheeled Car, una vera e propria narrazione dalle tinte country-western morriconiane (sembra un pezzo dei Baustelle), che segue due vecchi amanti e la loro inglesità compiaciuta fin sulla scogliera. 
I numeri eccezionali del disco stanno però, a mio parere, nella seconda parte. Innanzitutto una tesa Liminal, che accorcia le distanze verso il dream pop liquido dei Luxembourg Signal. E poi una acustica Canterbury Lanes - la storia è quella di due attempati musicisti che vogliono tornare ai tempi d'ora della scena di Canterbury - che scintilla di nostalgia citazionista e di armonie vocali emozionanti. Cinematic, l'episodio successivo, galleggia in un ipnotico mare baluginante di una elettronica umanistica, in voluto contrasto con una parte vocale diafana. Like The Rain è, semplicemente, una canzone d'amore (che sta terminando) senza tempo, dove le voci di Rob e Amelia si fondono insieme in modo quasi commovente. Titoli di coda su The Overview Effect, con una melodia dalla forza tanto delicata quanto catartica, che tutto riempie con la sua aria di sognante romanticismo, dove le chitarre scampanellano e sfrigolano insieme in un'unico morbidissimo wall of sound che echeggia i carillon e i cembali di Phil Spector. "Can't things stay the same"? si chiedono vicendevolmente Fletcher e Pursey, a conclusione della loro personale passeggiata sulla scogliera, lasciando la risposta a noi, mentre siamo ancora incantati per tanta bellezza.
In una carriera lunga e gloriosa come quella di Amelia e Rob, The Catenary Wires sembra davvero essere l'incarnazione della maturità non solo raggiunta ma pienamente compresa, vissuta ed accettata. E Birling Gap il punto più alto di questa fase (non sarà l'ultima, ne siamo certi) del loro percorso artistico. 
Un album imprescindibile per ogni amante dell'indie pop. 

15 giugno 2021

Quivers - Golden Doubt ALBUM REVIEW

C'è, nella musica dei Quivers - e non so di preciso dire perché, ma è così - un qualcosa di assolutamente indiscutibilmente onesto. Non che tante altre band non lo siano, anzi, ma ascoltare (e riascoltare) ogni loro pezzo è un po' come ritrovarsi con quei pochi vecchi amici che sai che ti capiscono e a cui puoi dire tutto.

Personalmente ho scoperto la band australiana non con il suo disco d'esordio, We'll Go Riding On The Hearses, che è del 2018, ma con una originale, coraggiosa e un po' pazza riproposizione di Out Of Time dei REM: l'intero album, nota su nota, coverizzato con un formidabile mix di rispetto e personalità (recuperatelo anche se non siete dei fan della band di Athens!). In quella circostanza mi sono accorto dell'esistenza di questi quattro ragazzi originari di Hobart, Tasmania, e in breve ho finito per innamorarmi di tutto quello che avevano prodotto fino a quel punto. Tanto che questo nuovo disco, Golden Doubt, l'ho aspettato per mesi con la data di uscita scritta in bella evidenza nella mia rubrica. 

Cosa c'è di così speciale nei Quivers? Niente, in definitiva. Tutto, in realtà. Loro si auto-presentano così: "una band che fa del guitar pop catartico che scampanella e scintilla da qualche parte fra l'Australia degli '80 e l'America dei '90 e in qualche modo suona come il presente". Una definizione che, a parte la totale efficacia, va a smuovere una tonnellata di musica che adoro da decenni. E a cui aggiungerei, per completezza, la Scozia dei Teenage Fanclub e persino la Londra dei primissimi Coldplay (Gutters Of Love e You're Not Always On My Mind, diciamolo onestamente, sono il genere di canzoni che tutti vorremmo sentire ancora da Chris Martin ma che evidentemente non è più in grado di produrre).

Bene. Ecco il punto: i Quivers sono il classico gruppo hitmaker alternativo che, non si capisce la ragione, sfugge ai radar e rimane un patrimonio di pochi (in un'epoca in cui ahimè questo genere è roba da nostalgici). Quando ascolto When It Breaks, con le sue chitarre jangly, le sue armonie vocali, il suo gioioso dinamismo, da un lato mi viene da ringraziare perché c'è ancora qualcuno che suona così in giro, e dall'altro ho davvero la sensazione - per tornare a quello che dicevo prima - di avere fatto un salto all'indietro nel tempo, quando c'erano ancora negozi di dischi in cui passare le giornate e la musica indie era la regina delle trasmissioni notturne della radio nazionale. Nostalgia. Possiamo chiamarla così, senza vergogna, senza paura che ci faccia del male come cantano ironicamente i Nostri in Nostalgia Will Kill You

Sam, Bella, Michael e Holly sono ottimi musicisti: possiedono uno stile personale, una grande sicurezza di songwriting consolidata in anni, e soprattutto quella serena compattezza di chi suona insieme da tanti anni e lo fa divertendosi. I dieci pezzi dell'album funzionano tutti, uno dietro l'altro, come altrettanti saggi di come si confeziona una canzone pop: catchy e leggeri, sognanti e sorridenti, risplendenti di chitarre e cori floreali, lucidi e tirati a cera da una produzione che ha lavorato duro su ogni particolare. Almeno una mezza dozzina di episodi sono già dei piccoli classici: tutti quelli già citati, ma anche Videostores e Chinese Medicine

Una band da amare. Un album eccezionale. 

11 giugno 2021

Fuvk - Twentytwenty ALBUM REVIEW

Shirley Zhou, in arte fuvk, è una di quelle artiste di cui si trova davvero poco cercando in rete. Eppure ha già diverse uscite alle spalle e anche qui ne abbiamo parlato talvolta lodandone il talento.

All'inizio di quest'anno era uscito il suo primo album, Imaginary Deadlines, che giocava - vero marchio di fabbrica di fuvk - a ibridare i generi, infilando nella stessa valigia melodica folk lo-fi, elettronica, persino un po' di rap: idea in fondo assolutamente contemporanea che a un ventenne di oggi probabilmente sembrerà addirittura l'unica possibile, ma a me ha convinto poco.

E' uscito invece da poco questo Twentytwenty, raccolta di canzoni scritte nell'annus horribilis che ritorna, come approccio e stile, alle prime cose di fuvk, quelle che mi avevano incuriosito e rapito, insomma a quell'intimismo da cameretta dai tratti quasi geniali, pieno di piccole e grandi intuizioni, di carillons cantilenanti delicatamente stralunati, terribilmente efficaci pur essendo fatti praticamente solo di voce ed arpeggio acustico. 

07 giugno 2021

Tape Waves - Bright ALBUM REVIEW

I Tape Waves di Kim e Jarod Weldin sono da sempre una sicurezza, una di quelle band così discrete ed affidabili che spesso, nei lunghi intervalli tra un album e l'altro, si finisce per dimenticarsi di loro. Poi, quando esce un disco nuovo, come questo Bright, che è il loro quarto, io personalmente non posso che battermi il petto per averli trascurati ed esclamare "però, i Tape Waves, che bravi!" davanti ad uno stile che è davvero il loro e non teme imitazioni.

Parliamo di dream pop, ovviamente. In una accezione eterea, sfumata, che dallo shoegaze prende più il miele dell'elettricità, per quanto sia fatto comunque al 90% di chitarre (acustiche, jangly, distorte, sfrigolanti, psichedelicamente dilatate) che si mescolano e sovrappongono in un lungo abbraccio di delicati riverberi. Il restante 10% è la componente vocale, quasi sempre disciolta nella morbida eco melodica di ogni canzone: otto carezze di sfocata e affascinante bellezza, che non possono non ricordare la grazia senza tempo degli Slowdive. Con in più qualche incursione midtempo di immediato impatto (Invisible Lines e Waiting For The Night sono oggettivamente splendide) . 

Un album, come sempre accade con la band di Charleston, in cui immergersi anima e corpo per goderne a pieno l'esperienza. 

03 giugno 2021

THALA - Adolescence ALBUM REVIEW


Berlinese ma cittadina del mondo, musicista totalmente autodidatta, busker di professione per diversi anni, THALA è al debutto assoluto sulla scena musicale e piazza senza colpo ferire quello che è il miglior disco dream pop del 2021 fino a questo momento. 

La passione per artisti come Beach House e Mazzy Star è dichiarata senza mezzi termini dalla musicista tedesca, e ovviamente se ne percepisce l'influenza nelle atmosfere dilatate e nei colori crepuscolari che tingono tutto il disco, così come nei riferimenti shoegazer (l'intro di takemeanywhere, le spirali strumentali di Weep). 

Se fosse solo per l'adesione a questi modelli, però, difficilmente si distinguerebbe la proposta di THALA da tante altre, e invece c'è decisamente una marcia in più quando la musicista unisce la trama jangly morbida e sognante delle sue canzoni ad un indubbio fascino vocale che a me ricorda uno strano e intrigante mix di Hazel English (che, volente o nolente, è uno dei fari luminosissimi del dream pop degli ultimi anni) e della sensualità di Lana Del Rey (Moonlight Shadows è da brividi in questo senso). 

C'è un forte potenziale alt-pop nei pezzi del primo album di THALA (Contradictions e Diditagain sono perfetti earworms pronti a catturare la vostra memoria), che lo rende in vero una creatura piuttosto strana nel panorama indie europeo: un efficace insieme di eleganza estenuata, di profonda e intelligente ricerca estetica e di accorata intima dolcezza, che in fondo va a pescare a piene reti tanto nel mondo sonoro degli '80 (i synth, le ritmiche) che in quello dei '90 (le chitarre, bellissime, sempre).

Uno dopo l'altro, i dieci episodi del disco ci portano in un mondo sfumato, baluginante e confortevole, dove è davvero bello lasciarsi trasportare dalla brezza melodica e naufragare. 

Un esordio spettacolare!