30 giugno 2022

Soccer Mommy - Sometimes, Forever ALBUM REVIEW

Comincerei con una nota a margine: Color Theory - il secondo lavoro di Soccer Mommy - è il disco che stavo ascoltando di più quando all'improvviso è scoppiata la pandemia, nel marzo del '20. Era un album che conteneva insieme un radicato senso di inquietudine e anche un prepotente slancio vitale nella sua elettrica e accogliente morbidezza. Giusto per dire che la musica di Sophie Allison è stata, almeno per me, un genere di conforto cui sono emotivamente legato.

Scrivevo all'epoca che Soccer Mommy meritava di stare nell'Olimpo del cantautorato americano attuale, non essendoci ancora. A distanza di due anni, e con il successo di critica e pubblico di quel disco che citavo, è indispensabile considerare quanta strada abbia percorso Sophie dalle sue prime cose (aveva forse diciott'anni, forse nemmeno) a questo Sometimes, Forever, che arriva già con tutti i possibili riflettori puntati addosso. 

Se ci limitiamo a Bones, il pezzo che apre il disco in maniera piuttosto convenzionale (non è una critica eh, anzi), sembrerebbe quasi che lo stile di Soccer Mommy non sia cambiato di una virgola rispetto al passato: la gentilezza della voce e della melodia che si apre come un fiore nel ritornello, le chitarre di gusto nineties che prima contrappuntano e poi si dilatano nel finale, è tutto quello che abbiamo amato di Sophie Allison fin dagli esordi. 

Già il carillon elettronico che ci accoglie all'inizio della successiva With U è una piccola (piacevole) novità, ma il crescendo arioso e sottilmente malinconico che scorre verso il chorus è un'altro marchio di fabbrica di SM e non può che metterci ancora a nostro agio.

Quello ci aspetta nel resto dell'album però è un salto in un territorio decisamente sconosciuto e talvolta piuttosto oscuro e i ritmi franti e torrenziali di Unholy Affliction sono il primo segnale evidente che Sophie ha voluto far evolvere la sua musica in direzioni diverse e non facili. 

La mano del produttore Daniel Lopatin (uno che ha un curriculum di prima classe e da sempre sperimenta con l'elettronica) comincia a farsi sentire a partire da qui ed affiora spesso negli altri episodi del disco, specialmente in un'idea di costruzione e decostruzione delle canzoni a livello ritmico e sonoro che funziona soprattutto dove conserva quella tenera intensità emotiva che è il cuore stilistico di SM, lasciandola al centro del quadro senza snaturarla. Ecco allora che, parere personale, il cantilenante impressionismo di newdemo trova un abito perfetto in un ipnotico mare di synth e chitarra acustica, così come la complessità di Following Eyes si rigira con sorniona abilità l'ascoltatore tra le mani, spiazzandolo con una riuscita dialettica tra oscurità e luce, mentre dall'altro lato la ambiziosa Darkness Forever va a giocare sul campo di Billie Eilish con mosse formalmente perfette (la critica la adorerà) ma un po' senz'anima.

Poi, intendiamoci, il talento di scrittura di Sophie Allison è così brillante che la sua forza esce sempre e comunque, e un pezzo di elettrica leggerezza dream pop come Don't Ask Me arriva come una boccata d'aria salutare e indispensabile. E' (con quasi tutta la seconda parte del disco) il momento più luminoso dell'album, che scivola con scintillante morbidezza nella splendida e delicata Fire In The Driveway e trova finalmente il coraggio di spingere sul pedale della catchyness nella più canonica Feel It All The Time, prima di tornare a sognare in cameretta con la emozionante fragilità di Still

Sometimes, Forever vuole essere in definitiva - inutile nasconderlo - il disco della consacrazione per Soccer Mommy. Una consacrazione che, sul lato critico, arriverà senz'altro e darà ragione ad uno sforzo di scrittura e di produzione di grandissimo livello. 

Dal punto di vista puramente personale, io rimango molto affezionato all'elegante semplicità di Clean e al misurato eclettismo di Color Theory e trovo il nuovo album - pur in presenza di molti episodi di oggettiva bellezza - di più difficile digestione, ma forse è solo questione di tempo. 

26 giugno 2022

Hazel English - Summer Nights EP REVIEW

Può darsi che Wake Up!, uscito un paio d'anni fa, sia stato considerato da molti un mezzo passo falso per Hazel English: un tentativo troppo ambizioso di fare qualcosa di diverso dal dream pop etereo e mesmerico degli esordi. Per quanto personalmente non sia d'accordo - a me l'album era piaciuto molto - è indiscutibile che un ritorno a quella formula magica (ma magica davvero) che aveva incantato tutti in Just Give In / Never Goimg Home non può che essere super gradita.

Già la cover di California Dreamin' uscita in piena pandemia aveva suggerito che Hazel si stava muovendo verso territori musicali più consueti. Pochi mesi dopo, il magnifico singolo Nine Stories ha confermato senza possibilità di errore che la regina del dream pop stringeva già saldamente in mano il suo scettro: le atmosfere sognanti, le chitarre jangly, i paesaggi disegnati dai synth e dalla voce, il morbido dinamismo, il lirico romanticismo di fondo, sono in fondo il marchio di fabbrica della musicista australiana trapiantata a LA (e ovviamente del suo fedele produttore Jackson Phillips). 

I cinque splendidi episodi di questo Summer Nights EP rappresentano in purezza lo stile peculiare e riconoscibilissimo di Hazel English: canzoni d'amore (sì, tutte) che sono insieme liquide e avvolgenti, ma anche dolate di una immediatezza pop micidiale, dense nel loro cuore emozionale e al contempo leggere come una piuma, sia quando i ritmi sono più veloci e serrati (Summer Nights), sia quando tutti gli strumenti e la voce si abbandonano alle scie dei propri echi (Blue Light). 

23 giugno 2022

ME REX - Plesiosaur EP REVIEW

Ho già ampiamente dichiarato il mio amore appassionato per i ME REX di Myles McCabe in occasione dell'uscita dell'ep Pterodactyl all'inizio di quest'anno, motivo per cui ho atteso i nuovi quattro pezzi della band londinese con entusiasmo e trepidazione. 

La passione paleontologica di McCabe passa stavolta dall'aria all'acqua (il Plesiosauro era un gigantesco rettile acquatico), mentre i titoli virano verso la mitologia greca (Jupiter PluviusToilette of Venus), ma non cambia lo stile super energetico dei suoi ME REX, che ritroviamo qui in grande spolvero: tante tante parole che Myles fa scorrere come torrenti in ogni pezzo, chitarre esuberanti che riecheggiano tanto un'anima punk quanto la passione per l'indie americano dei Novanta, inserti di pianoforte, tastierine pop e cori onnipresenti che creano un dinamismo travolgente. 

Al di là della prepotente comuncatività di ogni canzone, il vero plus dei ME REX sembra essere davvero il perfetto impasto fra i quattro componenti della band (che, lo ricordiamo, suonano anche in altri gruppi di grande valore: McCabe e Kathryn Woods nei Fresh, Phoebe Cross e Rich Mandell negli Happy Accidents): se la scrittura è faccenda di Myles, la realizzazione di ogni canzone è un lavoro collettivo che da un lato va ad esaltare la bravura tecnica di tutti i musicisti, e dall'altra riesce a fare girare il tutto come un meccanismo complesso e oliatissimo. 

Non c'è forse un pezzo antemico come Skin, It Itches nel lotto, ma si gode comunque dal primo all'ultimo minuto e l'allure anni Ottanta di Toilette of Venus è genio puro. 

20 giugno 2022

My Raining Stars - 89 Memories ALBUM REVIEW

Alla fine del 2021 abbiamo parlato di Thierry Haliniak tessendo le lodi del suo progetto chiamato Mayverlin condiviso con Philippe Lavergne. Non può quindi che essere un piacere ritrovare il musicista francese impegnato con un altro moniker, My Raining Stars, questa volta un'esperienza sostanzialmente solista, coadiuvata dal polistrumentista danese Casper Blond e con un paio di precedenti piuttosto lontani nel tempo.

Quanto di bello c'era nei Mayverlin lo ritroviamo anche in My Raining Stars: Haliniak ha una passione evidente e sfrenata per l'indie pop più delicato ed arioso (suppongo che il titolo 89 Memories alluda a tutto quel mondo di gruppi ed etichette che a cavallo fra Ottanta e Novanta ha vissuto la sua età dell'oro) e i dieci episodi dell'album trovano una quadratura perfetta in un guitar pop melodico ed elegante di essenziale artigianalità, che mette insieme ricordi delle band Sarah Records e Creation con qualche piacevole coloritura britpop (la coda alla Oasis di diversi pezzi lo dichiara palesemente).

A dispetto della copertina un po' malinconica, un disco ideale per accogliere l'estate. 

15 giugno 2022

The Age of Colored Lizards - Scrap ALBUM REVIEW

Scrap è il terzo album dei The Age Of Colored Lizards ma, devo confessarlo, ho scoperto la band di Oslo con colpevole ritardo soltanto di recente. Una scoperta tanto casuale quanto fortunata che mi ha spinto a ripercorrere le pubblicazioni passate del gruppo di Christian Dam con entusiasmo crescente.

TAOCL è una di quelle band che musicalmente sembra avere preso la macchina del tempo ed essersi catapultata in un momento storico preciso, suonando esattamente con lo stile, il retroterra e i mezzi di quell'epoca. Nel caso dei norvegesi io direi che siamo dalle parti del 1992: C86, primo dream pop e shoegaze già canonizzati e sulla via dell'addolcimento melodico, Teenage Fanclub e Verve al loro apice elettrico, lo space rock degli Spiritualized in rampa di lancio e l'indie americano dei Dinosaur Jr come splendido rumore di fondo. 

Il guitar pop di Christian Dam ha sostanzialmente questo paesaggio intorno a sé e ci si muove perfettamente a proprio agio come chi conosce bene tutti i sentieri possibili. 

Gli otto pezzi di Scrap declinano l'idea di psichedelia gentile e crepuscolare di Christian Dam e lo fanno in modi sottilmente diversi, ora giocando di sfumature e suggestioni (il mare di riverberi di It's All Gone), ora adottando un approccio più immediato (Solitary YouBlurry Eyes con la loro sfrontata dolcezza catchy), quasi sempre cercando di avvolgere l'ascoltatore nelle spire elettriche di melodie morbidamente circolari, che ricordano tanto i Ride quanto gli Slowdive (l'iniziale Nothing To Say è un ottimo passaporto per l'intero album in questo senso).

12 giugno 2022

SINGOLI: Acid House Kings,The Blue Herons, Hause Plants, Atmos Bloom, Snow Coats, Youth Valley, Misty Coast, Lost Film, Castlebeat, Miedo, The Umbrellas

Ecco la selezione dei singoli dell'ultimo mese.

Posizione d'onore per i maestri svedesi Acid House Kings che ci regalano il singolo dell'estate!











09 giugno 2022

The Photocopies - SINGLES / EP REVIEW

E' oggettivamente impossibile individuare nella produzione di Sean Turner una sola delle sue numerose uscite e parlare soltanto di quella. In verità il suo progetto The Photocopies merita una vera e propria monografia, limitata però dal fatto che non si fa in tempo a parlare di un EP che subito esce un nuovo singolo o viceversa.

Di Turner non ho trovato particolari informazioni, a parte la definizione che lui stesso ha dato delle sue Fotocopie: indie pop melodico, nello stile metà-80 primi-90, fatto senza piani segreti di riempire gli stadi. Definizione che già di per sé ha detto tutto, e che rende quasi superfluo vedere il volto di chi sta producendo mese dopo mese questa mole di canzoni e conoscere il suo curriculum: anche la persistente grafica "fotocopiesca" insiste con coerenza su un sostanziale e ironico anonimato.

Da dove partire? Se non avete mai sentito nulla dei The Photocopies io mi procurerei subito un EP chiamato "Quadruple A-side", che non a caso contiene alcuni dei pezzi migliori di Turner: fin dall'iniziale e micidiale Scooter Girl è chiarissimo che qui siamo davvero all'indie pop delle origini, quello del C86, con la sua produzione artigianale e le sue chitarre sporche e addomesticate al tempo stesso, le sue melodie sbarazzine e quell'aria svagata e intelligente di chi la sa lunga. Siamo dalle parti di Close Lobsters, i primissimi Prima Scream, i Wedding Present, e così via... 

Se già vi si sono stampati tutti i ritornelli in testa (fidatevi, sarà così), procederei verso un altro EP chiamato (ovviamente) "Triple B-side", che forse è il lato B dell'altro EP o forse no, visto che è uscito prima (ma con The Photocopies non c'è mai nulla di scontato). Qui c'è almeno un pezzo formidabile (Something More) ed uno quasi punk (Pop Quiz) dove Turner infama nelle liriche un tizio che non ha alcuna cultura pop e non sa nemmeno chi canta Come On Eileen

Da qui potete muovervi perfettamente a caso, magari iniziando dall'ultima uscita, un EP dove campeggiano un piccolo potenziale anthem indie pop come Holiday Romance e una canzone super orecchiabile dal titolo incredibile come Wishing I Had Tickets For Saint Etienne (il gioco dei The Photocopies è questo: se conoscete i Saint Etienne, così come tutti gli altri riferimenti più o meno scoperti dei loro pezzi, potete svariare a tutto campo). 

Non perderei per nulla al mondo anche un singolone come I Don't Want You To Want Me, che ha uno di quei ritornelli che ti tormentano per giorni, ma anche la sfrigolante Better Than Nothing I Suppose e la velocissima She La La La La La La La La, dove le radici (post) punk sono davvero evidentissime, così come in altre uscite che assomigliano decisamente più a demo ultra artigianali che a musica prodotta. 

Buone Fotocopie a tutti!





05 giugno 2022

Jane Lai - Received Receipt EP REVIEW

Ad un primo ascolto superficiale, la musica di Jane Lai - artista già conosciuta nel sottobosco della scena indie pop newyorkese - potrebbe sembrare l'ennesima proposta cantautorale in bilico fra l'anti-folk, il garage pop e il cantautorato da cameretta. Un'impressione che senz'altro non è lontana dalla realtà, se non tenessimo conto della grande e matura personalità che traspare chiaramente dai sei pezzi del suo EP d'esordio.

C'è innanzitutto, nelle canzoni di Jane, una capacità di raccontare fuori dall'ordinario: ogni episodio in fondo è una piccola narrazione quotidiana che trova la sua misura perfetta nei due/tre minuti di durata e nell'avvolgente e umanistica dolcezza della voce e degli strumenti (una chitarra essenziale al centro e intorno sempre una minuscola galassia di cose, cori, archi, pianoforte...). Il tutto senza una particolare necessità di cercare melodie catchy, che alla fine però spuntano sempre fuori con timida tenerezza e svaniscono in punta di piedi come se avessero paura di disturbare (Packing Tape ad esempio). 

Received Receipt, l'unico pezzo con una dimensione più ampia e una struttura più complessa, già da solo vale il viaggio, ma tutto l'EP è davvero un gioiellino. 

01 giugno 2022

Raavi - It Grows On Trees EP REVIEW

Attiva come Raavi & The Houseplants fino dal 2018 (EP e singoli sparsi negli anni successivi), Raavi Sita si è trasferita da Boston a Brooklyn e ha ribattezzato il proprio progetto musicale con il solo nome proprio, quasi a simboleggiare una rinascita artistica.

I cinque pezzi di It Grows On Trees rappresentano in effetti un potente passo in avanti per la musicista di origine indiana, dal punto di vista sia della scrittura che della produzione. 

La dimensione cantautorale degli esordi non è affatto abbandonata, ma la Raavi di canzoni come Chorus Girl o Lazy Susan viaggia con decisione dalle parti dello stile emotivo e muscolare di Soccer Mommy, Pillow Queens, Camp Cope o Snail Mail: chitarre libere di sfrigolare di elettricità e melodie che cercano inevitabilmente un crescendo scenografico. Il tutto con un dinamismo ed un'onestà di fondo che rendono luminoso ogni singolo momento di ogni pezzo, anche quando le liriche parlano di disagio e delusione (le catartiche montagne russe di AJ parlano da sole). 

Un piccolo disco con una grande forza.