15 giugno 2021

Quivers - Golden Doubt ALBUM REVIEW

C'è, nella musica dei Quivers - e non so di preciso dire perché, ma è così - un qualcosa di assolutamente indiscutibilmente onesto. Non che tante altre band non lo siano, anzi, ma ascoltare (e riascoltare) ogni loro pezzo è un po' come ritrovarsi con quei pochi vecchi amici che sai che ti capiscono e a cui puoi dire tutto.

Personalmente ho scoperto la band australiana non con il suo disco d'esordio, We'll Go Riding On The Hearses, che è del 2018, ma con una originale, coraggiosa e un po' pazza riproposizione di Out Of Time dei REM: l'intero album, nota su nota, coverizzato con un formidabile mix di rispetto e personalità (recuperatelo anche se non siete dei fan della band di Athens!). In quella circostanza mi sono accorto dell'esistenza di questi quattro ragazzi originari di Hobart, Tasmania, e in breve ho finito per innamorarmi di tutto quello che avevano prodotto fino a quel punto. Tanto che questo nuovo disco, Golden Doubt, l'ho aspettato per mesi con la data di uscita scritta in bella evidenza nella mia rubrica. 

Cosa c'è di così speciale nei Quivers? Niente, in definitiva. Tutto, in realtà. Loro si auto-presentano così: "una band che fa del guitar pop catartico che scampanella e scintilla da qualche parte fra l'Australia degli '80 e l'America dei '90 e in qualche modo suona come il presente". Una definizione che, a parte la totale efficacia, va a smuovere una tonnellata di musica che adoro da decenni. E a cui aggiungerei, per completezza, la Scozia dei Teenage Fanclub e persino la Londra dei primissimi Coldplay (Gutters Of Love e You're Not Always On My Mind, diciamolo onestamente, sono il genere di canzoni che tutti vorremmo sentire ancora da Chris Martin ma che evidentemente non è più in grado di produrre).

Bene. Ecco il punto: i Quivers sono il classico gruppo hitmaker alternativo che, non si capisce la ragione, sfugge ai radar e rimane un patrimonio di pochi (in un'epoca in cui ahimè questo genere è roba da nostalgici). Quando ascolto When It Breaks, con le sue chitarre jangly, le sue armonie vocali, il suo gioioso dinamismo, da un lato mi viene da ringraziare perché c'è ancora qualcuno che suona così in giro, e dall'altro ho davvero la sensazione - per tornare a quello che dicevo prima - di avere fatto un salto all'indietro nel tempo, quando c'erano ancora negozi di dischi in cui passare le giornate e la musica indie era la regina delle trasmissioni notturne della radio nazionale. Nostalgia. Possiamo chiamarla così, senza vergogna, senza paura che ci faccia del male come cantano ironicamente i Nostri in Nostalgia Will Kill You

Sam, Bella, Michael e Holly sono ottimi musicisti: possiedono uno stile personale, una grande sicurezza di songwriting consolidata in anni, e soprattutto quella serena compattezza di chi suona insieme da tanti anni e lo fa divertendosi. I dieci pezzi dell'album funzionano tutti, uno dietro l'altro, come altrettanti saggi di come si confeziona una canzone pop: catchy e leggeri, sognanti e sorridenti, risplendenti di chitarre e cori floreali, lucidi e tirati a cera da una produzione che ha lavorato duro su ogni particolare. Almeno una mezza dozzina di episodi sono già dei piccoli classici: tutti quelli già citati, ma anche Videostores e Chinese Medicine

Una band da amare. Un album eccezionale. 

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