Il pop - lo ha ribadito tante volte Nick Hornby nei suoi libri - non vive senza le canzoni. Spesso, noi che scriviamo di musica un po' ce ne dimentichiamo e finiamo a concentrarci sulle sfumature, sull'uso di un certo strumento, sull'atmosfera, sui dettagli più o meno tecnici, sulle somiglianze. Ma una canzone in realtà è sempre più della somma delle sue componenti.
Oliver Mestitz, il musicista di Melbourne che sta dietro ai The Finks, probabilmente lo sa benissimo. E', molto semplicemente, uno che le canzoni le sa fare.
I suoi dischi precedenti lo hanno visto in versione cantautorale, praticamente solista. Con Middling Mestitz allarga il progetto ad altri 3/4 musicisti di fiducia, resando però saldamente al timone e suonando quasi tutti gli strumenti che gli servono. Un po' come fece Stuart Murdoch con il progetto God Help The Girl, l'artista australiano sceglie di usare voci diverse (femminili, decisamente graziose, senz'altro azzeccate) per offrire ai suoi pezzi una dimensione più ariosa e completa.
Ne risultano dieci episodi davvero davvero convincenti, che spaziano dal rallentato intimismo di una Suffering Song alla perfetta e luminosa leggerezza di una Scuttlebutt (con una parte finale di una dolcezza commovente), dalla timida ma raffinata narratività di Your Two Cents e Jamie's Got A Baby al folk spaccacuore di How Long Is Too Long. Il tutto senza perdere quell'idea di essenziale autosufficienza e artiginalità che pervade tutto l'album.
Non ci sono fuochi d'artificio in Middling, nessun colpo a sopresa, nessuna esigenza di piacere. Solo canzoni: nude, oneste, belle, ognuna delle quali si prende i suoi tempi e riesce unica e speciale.
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