Cominciamo subito con una provocazione: potrebbero essere i Kindsight gli Alvvays europei?
La risposta provo a darla nel corso di questa review, e potrebbe sorprendere qualcuno.
Partiamo dall'inizio. Who Are You, il primo pezzo del quartetto danese, data nemmeno quattro anni fa, e già allora parlavamo volentieri di next big thing della nostra scena indie pop continentale. La band di Copenhagen da allora ha inanellato una serie di singoli ed ep dove mostrava alla grande il proprio talento, e nel '22 ha pubblicato un disco d'esordio con un titolo formidabile - Swedish Punk - e un pugno di canzoni di straordinaria forza, che mettevano insieme con equilibrio ed una evidente ambizione un'anima molto melodica ed un'attitudine energica e a tratti spigolosa. Un mix che, lo sappiamo, non è certo raro nelle band scandinave.
Arrivati al secondo album, quello "difficile", secondo tradizione, Nina Hyldegaard Rasmussen, Søren Svensson, Anders Prip e Johannes Jacobsen riprendono il discorso da dove lo avevano interrotto - l'arrembante e compatto pezzo di apertura, Acid Island 45, è un perfetto ponte verso il passato della band - ma lo fanno oggi con una rafforzata consapevolezza di possedere capacità di scrittura e di performance fuori dall'ordinario.
Prendiamo Eyelids, secondo episodio del lotto, ed avremo già una perfetta inquadratura di cosa sono i Kindsight. Tutta l'architettura del pezzo, che all'apparenza è la classica indie song leggermente obliqua e al contempo assolutamente catchy, esibisce un lavoro di costruzione che definire abile sarebbe riduttivo: l'impasto complesso e inquieto delle chitarre è già di per sé prodigioso; il gioco di alternanza e mescolanza di dolcezza e acidità è sorprendente; la spiraliforme apertura melodica fra strofa, ponte, ritornello e finale ha una forza trascinante; la voce delicata di Nina funge da ossimoro e insieme da catalizzatore di energia. Se per l'appunto vengono alla mente gli ultimi Alvvays ,che (a modo loro, ovvio) fanno lo stesso lavoro, non è certo un caso.
Love You Baby All The Time, con quel titolo lì, non può che essere la testa d'ariete melodica del disco, e spinge come deve dall'inizio alla fine, surfando su delle chitarre letteralmente rombanti, verso un crescendo di leggiadra potenza ed una conclusione corale che è insieme entusiasmante e splendidamente ruffiana. Siamo dalle parte dei Beths, decisamente, nelle loro cose più riuscite.
Il power pop (molto pop) di Tomorrow, così luminoso e rotondo, mostra davvero in purezza la sfrontata bravura dei Kindsight, con un chorus di catartica morbidezza che esplode in mezzo alla canzone e ti fa subito venire la voglia di cantarlo.
Se la delicatissima ballata elettrica Killing Eye abbassa i giri e mette sotto il riflettore la zuccherina delicatezza vocale di Nina - è una cesura ideale nel centro dell'album - con la successiva Madhouse Breakout Multitool i Kindsight mettono in piedi la forma più complessa e ambiziosa del disco, facendo convergere e allontanare linee diverse, spezzando il ritmo e riaccendendolo, mescolando in un paesaggio alla Radiohead chitarre, violoncello e voci diverse in apparente contrasto e riassumendo tutto in un'armonia irrequieta e suggestiva.
E persino le ascendenze punk pop della più diritta Terracotta Team Song - che potrebbe essere un pezzo dei Martha - alla fine mettono in evidenza, sotto la forza dirompente di uno dei ritornelli più forti dell'album, quell'insieme di screziature ritmiche ed elettriche che un po' alla volta sono diventate la vera impronta stilistica del gruppo.
Il disco si chiude con la vasta narrazione di Easter and The Boys, che rinchiude in un intricato diorama di stampo chiaramente dream pop tutte le suggestioni presenti negli otto pezzi precedenti. In quasi dieci minuti ritroviamo ancora la dolcezza vocale quasi estenuata della Rasmussen, un tessuto ritmico che sembra evolvere su sé stesso ed una coda elettrica di atmosferica psichedelia quasi post rock.
Insomma, in No Shame No Fame ci sono tante cose concentrate in poco spazio, il che è un dato a cui i Kindsight ci hanno abituato fin dagli esordi.
Resta aperta la questione di partenza: posto che gli Alvvays sono il vertice indie pop dei nostri tempi e credo lo saranno a lungo, i Kindsight possono essere i loro epigoni nel vecchio continente? Al di là del gioco delle somiglianze e ovviamente partendo sempre dal fatto che ogni band è sé stessa e basta, io credo francamente che lo fossero potenzialmente agli esordi e che lo stiano diventando sempre di più adesso. Per quale motivo? Perché negli occhi dei cinque di Toronto e in quelli dei quattro danesi brilla veramente la stessa scintilla. Che è poi il desiderio di maneggiare la materia indie pop - che è fluida e poderosa, ed entrambe le band la conoscono bene - e di plasmarla per farne qualcosa di nuovo, che stia rispettosamente fuori dai canoni, usandoli per imprimere nello schema voce-chitarre-basso-synth una direzione così personale da diventare facilmente riconoscibile. Quello che manca ancora ai Kindsight - ma non dipende da loro - è quel riconoscimento di ampia scala che spetta ai grandi. Certo, il fatto di venire da una periferia probabilmente non aiuta, ma c'è tempo.
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