Anna McClellan ha già una storia artistica abbastanza lunga alle spalle, fin da quando nel 2014 cominciò a muovere i primi passi da singer songwriter a Omaha sotto l'egida dei concittadini Conor Oberst e Mike Mogis, due icone del cantautorato obliquo del Midwest americano.
Da allora ha pubblicato tre dischi, compreso questo I Saw First Light, che hanno conquistato qualche cuore soprattutto nella ristretta cerchia degli indie poppers che seguono quella galassia di musiciste "intellettuali" che vanno da Phoebe Bridgers a Frankie Cosmos, attente all'ironia fine delle liriche come e più del lato sonoro.
L'album nuovo, a suo modo, ci mostra un'ambizione nuova nel mettere insieme canzoni che cercano programmaticamente di sovrapporre spontaneità libera e idee produttive diverse. I pezzi di Anna sono da sempre un po' sghembi e hanno quell'aria da improvvisazione mai del tutto intonata che sarebbe perfetta nel demo di un debuttante. Lo sono anche gli undici episodi di I Saw First Light, alcuni davvero belli e toccanti (Veronica la riascolterei venti volte di seguito) - ed è il loro fascino distintivo in definitiva - però quello che colpisce è la strada che imboccano per arrivare a destinazione: ora quella elettro-acustica che sembra la più congeniale alle sue corde, ora invece quella, decisamente meno "facile", che va ad utilizzare il piano, gli archi, i fiati, un violino folk, inserendoli però sempre in una dimensione da registrazione live a bassa fedeltà che dà una doppia sensazione di straniamento.
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