Per ogni vero amante del dream pop, i californiani Lavender Blush sono in fondo la band ideale. Hanno tutto quello che ci si può attendere dal genere: un retroterra da shoegazer che rimanda al miele elettrico degli Slowdive, muri di chitarre sfrigolanti e synth pronti a sciogliersi davanti a melodie che sembrano uscite dal timeless pop dei primi sessanta (Oh Anna), e su tutto quell'idea di psichedelia noise dannatamente essenziale, quella che non esce mai dal quadro, ispirata a Jesus & Mary Chain e a tutto quello che è venuto dopo.
Ryan Lescure e compagni, per il loro primo album dopo una serie di interessanti EP, hanno messo insieme dieci pezzi di sognante ed eterea bellezza, dolci e pieni di brezza leggera come un tramonto primaverile della natia San Francisco e confortevolmente graffiati come un vecchio prezioso vinile. Dieci pezzi che non sembrano avere soluzione di continuità nella loro magica successione di dense brume e soffi di vento tiepido, delicatamente ondeggianti come una marea calma ma inarrestabile.
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