Sono passati 38 anni - sì, 38 anni - da quando Robert Scott e Paul Keane, seguiti di lì a poco da Kaye Woodward e Malcolm Grant, fondarono i Bats nella natia Christchurch. In mezzo, da allora fino all'odierno Foothills, ci sono dieci album che hanno fatto la piccola ma inesorabile gloria di una di quelle band che l'indie pop non l'hanno solo fatto, ma praticamente fondato.
Composto e suonato in un buen ritiro montano sulle alpi neozelandesi - rimettendo insieme i componenti del gruppo sottratti per qualche settimana alle proprie normalissime vite - il nuovo album sembra essere nato da sé, con quell'automatismo naturale e spontaneo che solo musicisti che si conoscono da quattro decenni possono mettere in pratica.
Non ci sono quindi particolari sorprese nei dodici episodi del disco, ma non è certo quello che ci si può aspettare dai Bats. I quattro neozelandesi maneggiano un guitar pop che è "il loro" da sempre, quello sanno fare, e grazie a quello hanno influenzato almeno un paio di generazioni di band in tutto il mondo. Le canzoni si succedono con una grazia sorniona e sorridente, alternando ritmi pacatamente uptempo e momenti semi-acustici di struggente delicatezza folksy (Scrolling è la mia preferita), con una semplicità e una leggerezza che sono davvero da sempre il loro marchio di fabbrica. E con l'idea, mai abbandonata, che la produzione non debba aggiungere assolutamente nulla a quanto può essere suonato insieme dal vivo: una coerenza che da un lato non ha mai concesso alla musica dei Bats dei veri salti in avanti, ma al contempo li ha conservati splendidamente coerenti.
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