Diciamolo subito, poche band possiedono l'eleganza senza tempo dei Luxembourg Signal. Tutto nei loro tre album è raffinato e ineccepibile, dalle copertine che giocano con il neon e la monocromia fino, ovviamente, ai suoni.
The Long Now già nel titolo dice in qualche modo la dimensione in cui la band si muove: un adesso che attraversa il passato (Joy Division, Brian Eno, New Order, il C86, i Cure, i Jesus & Mary Chain, la Sarah, lo shoegaze) e illumina di quella stessa luce presente e futuro.
Beth Arzy, Betsy Moyer, Ginny Pitchford, Brian Espinosa, Daniel Kumiega e Kelly Davis - e parliamo di musicisti che sono in giro da tanto tanto tempo - non fanno propriamente dream pop, ma potrebbero esserne, loro stessi e i loro dischi, una perfetta definizione. Pur con un mood diverso, che può variare dalla più notturna malinconia ad una leggerezza sorridente, i pezzi dei Luxembourg Signal condividono la ricerca maniacale per la perfezione di ogni elemento: non c'è nei dieci episodi di The Long Now (e non c'era in quelli dei vecchi album) un solo dettaglio in più del necessario. Le chitarre jangly e quelle che si dilatano nelle distorsioni, le voci suadenti, misuratamente sensuali, di seta e velluto, di Beth e Betsy, i synth che disegnano il paesaggio intorno, una sezione ritmica che impone sempre una dinamica delicatamente squadrata, la sensazione di essere sempre immersi un mare di riflessi baluginanti.
Pezzi come 2:22, Lost Hearts, Cut The Bridle (ma si possono tranquillamente nominare tutti) hanno quella formidabile immediatezza melodica che ti arriva direttamente addosso ma senza travolgere, come un abbraccio morbido e inestricabile.
Straordinari. Come sempre.
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