C'è un mondo intero dentro la definizione di "regret pop" che i Sun June si sono esplicitamente auto-attribuiti. Un mondo legato al loro personalissimo stile musicale che sembra attraversare i generi e le epoche senza appartenere a nessuno di essi. E ovviamente insito nella arguta e poetica malinconia di tutte le loro liriche.
Laura Colwell e Stephen Salisbury, coppia nella vita e fondatori del gruppo in quella piccola repubblica partigiana dell'indie di qualità che è Austin, Texas, fin dai loro primi passi sono sembrati un piccolo miracolo di eleganza atemporale. Arrivati - con la giusta calma - al secondo album, è evidente che i Sun June non solo hanno la sicurezza dei musicisti di alto livello, ma possiedono delle doti di scrittura di eccezionale equilibrio e raffinatezza.
Di per sé le canzoni dei Sun June sembrano tutte nascere intorno alla voce di seta e miele della Colwell - una di quelle che, per quanto possa sembrare un cliché, lascerebbe a bocca aperta qualsiasi cosa cantasse - ma poi si aprono e sollevano con aerea leggerezza appoggiandosi alle chitarre arpeggiate di echi, ad una sezione ritmica di solida delicatezza, ad una serie di crescendo melodici che azzardano di essere pop e che lo sono forse solo in parte.
Dentro le pagine dei pezzi, parole di grande bellezza che citano Bob Dylan, Stevie Nicks, Patti Smith, Jackie O, Los Angeles e Manhattan, a definire ancora una volta quella dimensione narrativa vasta e un po' intellettuale che dicevamo sopra.
Somewhere è, in definitiva, un album di diafana ma al contempo morbida bellezza, dove non c'è la passione sferzante di band come i Big Thief che ai Sun June potremmo accostare, ma una luminosa gentilezza fatta di velluto candido e sereno fragile romanticismo.
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