07 dicembre 2025

Tulpa - Monster of the Week ALBUM REVIEW

C'è stato un periodo irripetibile - era la seconda metà dei '90 - in cui ogni settimana scoprivamo nuove band dalla scena americana o da quella brit pop di cui innamorarci. Sembrava davvero che ovunque ci fossero gruppi che si formavano attorno alla triade chitarra-basso-batteria ed aveva poca importanza produrre, levigare e confezionare: le idee erano quasi sempre registrate così come venivano, mantenendo inalterata una spontaneità entusiastica e splendidamente lo-fi. 

Ritrovare oggi lo stesso spirito in tante band formate da ragazzi e ragazze che nei '90 non erano nemmeno nei pensieri dei loro genitori rende senz'altro meno bruciante la nostalgia per quell'epoca d'oro e forse indica che stiamo andando ancora nella direzione giusta.

I Tulpa, quartetto basato a Leeds, sono un ottimo esempio di questa rinascita dell'indie "classico". Monster of the Week, che è il loro disco d'esordio, ci riporta in un mondo di purezza indie in cui i riferimenti intorno sono band come Dinosaur Jr., Built To Spill, Lemonheads, Breeders o Pavement (il pezzo che dà il titolo all'album è un omaggio scopertissimo e perfettamente riuscito al mitico gruppo di Stephen Malkmus). 

La band guidata da Josie Kirk si muove perfettamente a proprio agio fra equilibrata ruvidezza elettrica e obliqua e leggera catchyness, piazzando una serie di pezzi di ironica e trascinante immediatezza come PYOPs, Let's Make A Tulpa! e You're Living A Reverie, e mostrando fra l'altro notevolissime capacità tecniche e di scrittura. La ballata sghemba Whose Side Are You On? - anche qui la memoria non può che andare subito a Range Life dei Pavement - è un piccolo capolavoro. 

03 dicembre 2025

Shapes Like People - Ticking Haze ALBUM REVIEW

Dicembre è arrivato e come tutti gli anni è tempo di recuperare qualche album che, per un motivo o per l’altro, nel momento in cui è uscito mi era sfuggito di mano. Nel caso di questo Ticking Haze degli Shape Like People, fra l'altro parliamo di un disco di grandissimo valore e non posso che scusarmi se, da marzo fino ad oggi, non ne ho scritto nemmeno una riga. 

Carl Mann, lo straordinario autore, produttore e polistrumentista che sta dietro alla band, è in realtà il titolare di un gruppo ben noto agli appassionati di indie pop, quegli Shop Window che l'anno scorso hanno pubblicato un album veramente molto interessante. 

Scrivendo nuove canzoni nel suo consueto processo creativo, Carl si è ritrovato con numerosi pezzi che non gli sembravano adatti per questo suo progetto e pensava di regalarli ad altri artisti, tuttavia ha deciso di registrarli ugualmente chiedendo alla moglie Kat di prestare la sua voce. 

I demo che ne sono derivati devono essere stati talmente convincenti - e non stentiamo a crederci - che i due hanno deciso di utilizzare tutte queste idee per un progetto parallelo, chiamato per l’appunto Shapes Like People, sul quale hanno lavorato con grande attenzione, entusiasmo e caparbia produttiva. 

Il risultato finale infatti è una ininterrotta serie di piccole grandi gemme jangle pop che brillano letteralmente di luce propria. Fino dall’iniziale Ambition Is Your Friend, con la sua floreale esplosione di dolcezza, è evidente non solo quanto Carl sia un autore di raffinatissima levatura nel genere che amiamo, ma anche come la fusione artistica e vocale fra marito e moglie sia stata in grado di offrire a tutte queste canzoni un fascino indiscutibile e pure non facilissimo da definire. C'è in effetti dentro ogni pezzo una grazia, una malinconica freschezza, una bellezza sfumata e al contempo prepotente, una eleganza retrò che in fondo è la stessa che ritroviamo in band come i Jeanines. 

Il tocco delicato di Carl e Kat si esplica davvero in ogni istante della loro produzione: le chitarre quiete e scampanellanti, le avvolgenti armonie vocali che si trovano davvero ovunque, i paesaggi sfumati color pastello che si stagliano sempre all'orizzonte.

Si legge bene l'intera storia del jangle pop nelle trame di Ticking Haze, specialmente di quello anglo-scozzese degli anni '80-'90, una storia che va dai Blueboy in giù fino ai Sambassadeur (che hanno tantissimo in comune stilisticamente con il duo), ma l'attitudine di Shapes Like People (così come di The Shop Window) è davvero personale e parla una lingua che è da un lato cantautorale e dall'altra fortemente atmosferica e di matrice folk: pezzi come A New Crown, Server of The Mind o Fireworks hanno la capacità di dilatare gli orizzonti a partire dalle loro linee melodiche di cristallina circolarità, mentre momenti di rarefatta bellezza come Weathering fanno pensare alla magia in punta di plettro degli The Innocence Mission. Un pezzo che profuma di primavera come Head Spun poi non può che riportarci idealmente agli Aberdeen e ai Teenage Fanclub. Mentre il romanticismo di Cry è puro chamber pop alla Divine Comedy di classe infinita (con un tocco di Annie Lennox, o lo sento solo io?). 

Tutto bello di una bellezza evidente e rarefatta al tempo stesso. Valido doppiamente perchè nel dna dell'album - che ha comunque una dimensione talmente artigianale da compenetrare le vite dei coniugi che l'hanno creato passo dopo passo - è inscritta un'idea di etica ed estetica indie pop altissima e veramente nobile. 

29 novembre 2025

SINGOLI NOVEMBRE 2025


22 novembre 2025

CIEL - Call Me Silent ALBUM REVIEW

Riguardando indietro nella carriera dei CIEL, una band che seguiamo veramente da tanti anni, sembra impossibile che Call Me Silent sia il loro disco di debutto, ma in verità è proprio così. 

Michelle Hindriks e Tim Spencer da sempre hanno abbracciato l'idea di un post punk a cassa dritta, un po' dark wave e un po' ballabile, che sta a metà strada fra i Garbage, i Blonde Redhead, le Breeders e persino i Cardigans del loro periodo hype: muri di synth e chitarre, energia statica sempre al massimo ma imbrigliata da un basso pulsante e dalla batteria squadrata, la voce delicata ma graffiante di Michelle, una produzione che cura il suono in modo certosino e soprattutto un tiro che è potentissimo e trascinante quasi ovunque. 

La torrenziale infilata iniziale Call me Silent, Won't Obey, Thinking Of You, Hear Me Out, Will I Ever Feel Again mette subito in chiaro l'ambizione della band di Brighton di muoversi in un territorio che sta fra goth, shoegaze e pop, senza fare concessioni ad una superficiale immediatezza ma al contempo centrando uno dopo l'altro dei chorus di grande catchyness. 

Hold Onto You, che è l'unico momento di rallentamento introspettivo, notturno e sinuoso con il suo contorno di archi e la sua ritmica quasi trip hop, è un tocco di grandissima scrittura. 

18 novembre 2025

Sweet Nobody - Driving Off To Nowhere ALBUM REVIEW

Sono passati quasi dieci anni da quando Joy Deyo e Brian Dishon hanno iniziato a fare musica insieme in quel di Long Beach, California. Da allora la band, che è cresciuta quasi da subito a quartetto, ha fatto uscire un paio di album (del secondo ne abbiamo parlato volentieri nel 2021) e persino un ep di cover di Joanna Newsom, il che dice qualcosa sull'ambizione dei californiani e sulla direzione che sta imboccando.

Driving Off To Nowhere ci fa ritrovare i Sweet Nobody in una versione pienamente matura del gruppo, che ha iniziato dalle parti di un jangly pop con qualche tentazione psichedelica ed ora si muove in un campo in cui la dimensione cantautorale catchy sembra avere preso il dominio. 

I pezzi dell'album condividono una confezione ricca ed equilibrata, chitarre sempre molto rotonde e soprattutto una forte personalità melodica incarnata perfettamente dalla voce elegante e versatile di Joy (nel pezzo che dà il titolo all'album è, diciamolo chiaro, meravigliosa). 

Di base potremmo parlare di dream pop patinato. Il che ci toglie dall'imbarazzo di dover trovare somiglianze con i Bleach Lab o i Wolf Alice di turno e descrive bene le intenzioni di una band che da sempre ha il pallino di trovare una via intelligente e "indie" per il suo gusto bubblegum pop molto '80s oriented (un pezzo sornione come Home Sweet Hell lo testimonia in modo chiarissimo) e non lontano dalle cose di una Laura Stevenson.

Tutto molto poppy e sempre super piacevole. Ma - come già dicevamo quattro anni fa - i Sweet Nobody il meglio in realtà lo danno quando ritornano a spingere sui pedali delle chitarre e alzano i ritmi (Could You Be The One). 

12 novembre 2025

Silk Cuts - Tell Me It's Not True ALBUM REVIEW


Non ho idea se ci sia in corso una vera onda di revival di indie pop originario nella scena europea e americana (ne sono certo invece per l'estremo oriente), però è un fatto che c'è in giro un fiorire di band che emergono magari da piccole scene locali e vanno in gire a spargere i semi di un genere che in verità non è mai tramontato.
E' senz'altro il caso dei Silk Cuts, che sono basati nella piccola ma vivacissima Exeter ed esordiscono oggi con un album che è davvero un piccolo grande prodigio!

Il retroterra del trio inglese è senz'altro lo stesso di band contemporanee che da queste parti amiamo come Jeanines, Jetstream Pony o Chime School, ovvero la galassia di band che tra fine Ottanta e primi Novanta si muoveva fra Creation, Postcard, Sarah e K Records e ha scritto la storia dell'indie pop firmandola con il suono artigianale delle proprie chitarre scampanellanti.

A ben vedere però i Silk Cuts non sembrano affatto un gruppo derivativo o nostalgico, anzi. I dodici episodi di Tell Me It's Not True mostrano che i tre di Exeter, che evidentemente non sono proprio di primo pelo, possiedono capacità di scrittura, sensibilità e talento da vendere, variando atmosfere e ritmo con grande naturalezza e infilando pezzi di straordinaria piacevolezza uno dopo l'altro senza soluzione di continuità. 

Il risultato - a sorpresa, ma è veramente una bella sorpresa - non può che essere uno dei dischi indie pop più belli, frizzanti e coinvolgenti dell'anno (e non solo di quest'anno). Da Secrets in giù in ogni pezzo è senz'altro facile sentire ricordi di Pastels, Shop Assistants, Comet Gain, Field Mice, Talulah Gosh, Teenage Fanclub, i primi Belle & Sebastian, i Proctors (e la lista potrebbe allungarsi quasi all'infinito), ma non è questo il punto con i Silk Cuts. 

Il punto è che i nostri - restando in un territorio assolutamente artigianale dove non è previsto alcun abbellimento produttivo - sono capaci di creare canzoni che si imprimono subito in testa ed hanno una fluidità narrativa che, in questo caso, non ha facili paragoni. 

Pezzi come l'adorabile Virginia, Southend, Said Too Much o Foxes (che è il capolavoro dell'album a mio parere) costruiscono melodicamente su una trama che è sempre e programmaticamente jangly e, di volta in volta, spinge di più sul pedale dell'essenzialità oppure sull'armonia delle voci maschile/femminile, o ancora su alcuni splendidi e sognanti inserti di archi. Episodio dopo episodio, da un lato è come scartare ogni volta una caramella dal gusto diverso e sorprendente (l'arrangiamento floreale ed elegantissimo di Sisters è un ottimo esempio), e dall'altro è come fare un salto all'indietro in un'epoca della musica britannica - tra l'era twee pop e l'avvento del brit pop - in cui nei locali di periferia era pieno di band che facevano canzoni intelligenti armate solo di chitarra basso e batteria. Tanto che, davanti alla delicatezza infinita (e parecchio commovente) di The Deseted Village, sembra davvero di rivivere lo spirito degli Another Sunny Day, dei Blueboy, degli Aberdeen. 

Insomma, nello spazio ampio dei dodici pezzi del loro primo album i Silk Cuts dipingono un mondo meravigliosamente retrò e insieme freschissimo, sorridente e coinvolgente, in grado di spargere intorno entusiasmo a piene mani un po' come facevano gli Allo Darlin (impossibile stare fermi con il jangly travolgente della conclusiva Superia). 

Ecco, se mi chiedete una band di cui innamorarsi al primo ascolto e di cui diventare immediatamente fans, i Silk Cuts sono l'esempio perfetto. Tell Me It's Not True è una scatola magica che non vorresti mai chiudere e in cui trovi sempre qualcosa di bello e di nuovo.

08 novembre 2025

Swim School - Swim School ALBUM REVIEW

Se non fosse chiaro che questo è il loro album di debutto, i Swim School l'hanno inciso a caratteri cubitali sulla bella e colorata copertina, anche forse a sottolineare che, in realtà, non sono certo dei novellini e hanno già pubblicato un paio di ambiziosi ep dal 2021 in qui.  

Se esiste un certo zeitgeist dell'indie pop di questi ultimi anni, probabilmente è quello perfettamente centrato dal quartetto di Edimburgo (ma anche dai Bleach Lab, dai Wolf Alice e da innumerevoli altre band): poderoso dinamismo, chitarre vigorose ma sapientemente domate, sensualità vagamente notturna che si raccoglie in paesaggi sonori cesellati da una produzione attenta ai dettagli e in una voce femminile carismatica, programmatica carica emozionale in ogni centimetro di canzone. 

Non c'è dubbio che Alice Johnson e compagni abbiano fatto passi da gigante dal loro vero esordio, e che siano piuttosto consapevoli della propria bravura.

 Swim School è in effetti un album pensato, suonato e cesellato da una band che vuole a tutti i costi far emergere la propria personalità (anche nell'immagine decisamente patinata ma assolutamente efficace) e farsi spazio fra tante proposte simili (ma non altrettanto valide).

I nove pezzi dell'album, dalla studiata aggressività di Heaven alla coda scintillante di Am I Good Enough Now, sono una sequenza a proprio modo torrenziale di potenziali hit alternative: hanno tutti un grandissimo tiro, aggrappato con le unghie e con i denti alla forza di chitarre urlanti e sfrigolanti, ma al contempo possiedono una obliqua immediatezza che li carica di un fascino sensuale, avvolgente e in definitiva sempre piacevole e catchy. On & On fra tutti gli episodi è il più memorabile ed è la perfetta cartina di tornasole dello stile dei Swim School: super melodico, elettrico, trascinante. 

04 novembre 2025

Softsurf - Gazing at a Mind ALBUM REVIEW


Spesso e volentieri abbiamo sbirciato nella frizzante e poderosa scena dream pop giapponese ed abbiamo trovato artisti di grande talento e dalla peculiare immediatezza melodica, che è un po' un tratto distintivo del gusto nipponico.

Di questa scena fanno parte, da almeno dieci anni, i softsurf: quintetto guidato dai due chitarristi e cantanti Satomi Kitagawa e Nobuaki Kitamura. Da buoni dreampoppers innamorati tanto dello shoegaze quanto della delicatezza melodica, la band di Nagoya fa girare tutto attorno a muri di chitarre sfrigolanti e alla bella voce gentile di Satomi. 

I nove ampi pezzi dell'album - che è un debutto piuttosto ritardato per un gruppo attivo da tanto - si dividono tra momenti più liquidi, elettrici e distorti ed altri (sono la maggioranza) dove prevale un'apertura ariosa e paesaggisticamente suggestiva, a tratti (Neonarium) pienamente pop nell'approccio, quasi ovunque memore della lezione dei My Bloody Valentine, che vengono però rivissuti in una chiave catchy che punta ad una sicura piacevolezza sonora (l'iniziale Momentrail è un ottimo esempio in questo senso e può assomigliare allo stile dei Night Flowers o dei Churchhill Garden).

Non diversamente dai più noti connazionali Stomp Talk Modstone, ma con un'attitudine più facile e meno sperimentale, i softsurf cercano una via personale allo shoegaze, variando intelligentemente mood da un pezzo all'altro (e in sostanza allontanandosene). 

Ecco allora che Coming Color sembra più un pezzo, colorato e sorridente, dei Say Sue Me che un assalto sonico; la magnifica, dinamica, spettacolare e baluginante Nightfeel con il suo sapiente crescendo emozionale potrebbe venire dalla discografia dei Bleach Lab; le sfumature quasi estenuate di Hazy Dusk rimandano alla morbidezza elettrica degli Slowdive; la nuda ballata per pianoforte, voce e distorsione In The White Sands vira verso un romanticismo intimista e cinematografico. 

Nel finale il romanticismo sognante di Cosmic Eyes, con il suo abile gioco di soffici rallentamenti ed esplosioni elettriche, e il power pop dai forti connotati spettacolari (e una traccia di Oasis) di Voyager riassumono in modo perfetta l'anima stilistica della band, programmaticamente sospesa fra potenza e melodia. 

30 ottobre 2025

Pàlida Tez - Un Extraño Estado De Ànimo ALBUM REVIEW


Mancava da qualche tempo un grande album uscito dalla sempre fervida scena indie pop spagnola. Ed eccolo qui: è il disco di debutto - davvero attesissimo - dei Pàlida Tez di Albacete, una band che da queste parti seguiamo da molto tempo e che lodiamo ogni qualvolta pubblica un nuovo singolo. 

Maria Virosta, Samuel Cuevas, Manuel Castano ed Elena Perales hanno cominciato a suonare insieme da circa cinque anni e, come altri gruppi spagnoli (la traiettoria può andare dai Juniper Moon agli Apartamentos Acapulco e ai Linda Guilala) hanno imboccato una strada che attraversa in modo efficace e creativo sia l'esperienza shoegaze che il dream pop e l'indie dei Novanta. 

Fin dalle prime note di Dibujo Animado, primo episodio del lotto, è evidente che i Pàlida Tez amano i muri sonici di chitarre, le melodie limpide sorrette dai synth e dalla sovrapposizione della voce femminile e maschile e le ritmiche torrenziali. Una dimensione che potrebbe venire tranquillamente dall'insegnamento dei Lush.

Nella seguente Wong Kar-Wai, più squadrata ma anche più catchy, lo stile invece è davvero quello dei primi Pains Of Being Pure At Heart, con in più una capacità narrativa ironica e leggera che riflette una forte personalità e che ritroveremo ovunque nel disco. 

L'atmosfera più obliqua e notturna di Magia Negra apparentemente apre un'atmosfera più tesa, ma in realtà le chitarre si arrampicano su un crescendo di sicuro effetto che ricorda le cose più elettriche dei Say Sue Me.

Ser Adulta Es Un Disfraz parla proprio un'altra lingua: è un pezzo pop che ha una dimensione assolutamente cantautorale e una confezione di grande eleganza intorno ad uno scheletro acustico. 

Se Varoufakis (titolo bizzarro che le liriche non spiegano particolarmente) si impenna su spigoli distorti,  la bellissima Ultimo Partido riporta tutto in un paesaggio più morbido che conduce ad un finale spettacolare e suggestivo. 

A seguire l'ndie pop di marca Sarah Records nella avvolgente Lo Que Hay, prima di quello che è veramente un piccolo anthem ibrido di power pop e shoegaze, Mejor Al Revès, che ricorda molto da vicino i nostri amati Apartamentos Acapulco. 

In chiusura un piccolo gioiellino fragile come La Dispersiòn, affidato alla voce di Samuel Cuevas, che è anche un bell'inno al desiderio di fuga. 

In definitiva Un Extraño Estado De Ànimo è un album allo stesso tempo di grande compattezza stilistica ma anche ricco di di sfumature diverse, che tracciano alla perfezione la notevole maturità della band spagnola. 

26 ottobre 2025

The Telephone Numbers - Scarecrow II ALBUM REVIEW

In un piccolo mondo musicale come la scena indie pop di San Francisco è probabile che ci si conosca più o meno tutti, e non è un caso allora se i membri dei Telephone Numbers li ritrovi a suonare anche in altre band della baia che da queste parti amiamo incondizionatamente, dai The Reds Pinks & Purples ai Chime School, dai Seablite ai The Umbrellas. 

E' evidente che c'è un terreno comune in cui fioriscono tutti questi artisti - un terreno che ha radici negli anni '60 delle dodici corde e della psichedelia - ma poi ogni gruppo ha una sua particolare attitudine che lo rende particolare e riconoscibile.

Per quanto riguarda The Telephone Numbers, il tratto distintivo è senz'altro il songwriting colorato, leggero e intelligente di Thomas Rubenstein, che in passato ha guidato i Love Birds, ha lavorato spesso e volentieri con Glenn Donaldson e ha pubblicato l'album di debutto dei TN nel 2021. 

Scarecrow II è quindi il secondo disco del quartetto californiano e conferma alla grande il tocco pop di Rubenstein e compagni. Le chitarre jangly ovviamente non mancano, ma i Telephone Numbers allargano volentieri i loro orizzonti ad una dimensione cantautorale che utilizza spesso e volentieri violino, tromba e organo e ama alternare tempi più mossi (Goodbye Rock n Roll, Ebb Tide...) e momenti di serena introspezione acustica di matrice folk (Falling Dream, This Job Is Killing Me...), senza mai abbandonare nemmeno per un secondo quel senso di piacevolezza catchy che è uno dei marker della band (e Telephone Numbers Theme, con la sua allegra e scanzonata aria alla Heavenly, vale da solo il biglietto!).