30 maggio 2024

The Blue Herons - Go On ALBUM REVIEW


Se parliamo di jangle pop, pochi artisti al mondo come Andy Jossi tengono vivo il genere con la stessa quantità di amore totale e incondizionato, con la stessa commovente e maniacale cura dei dettagli e con risultati così luminosamente efficaci. 

Da almeno un decennio il musicista svizzero dedica il suo songwriting e la sua chitarra - ma in verità tutte le sue forze e il suo entusiasmo - a due progetti che procedono parallelamente senza toccarsi ma che hanno moltissimo in comune. Sia The Churchhill Garden che The Blue Herons contengono in fondo gli stessi ingredienti: l'impegno multistrumentistico e produttivo di Andy e una componente femminile in grado di prestare sia la propria voce che una valida collaborazione alla scrittura. Se nei Churchhill Garden - che rappresentano il lato più shoegazer di Jossi - di fianco a lui c'è Krissy Vanderwoude, nei Blue Herons - che sono puro e programmatico dream pop - la metà della band è Gretchen DeVault, una musicista che ha l'indie pop nel dna e che abbiamo tutti amato in ogni sua incarnazione artistica (The Icicles, The Francine Odysseys, Hero No Hero...). 

Il piccolo grande miracolo di Jossi infatti non sta soltanto nella sua talentuosa e prolifica caparbia, ma anche nel fatto di riuscire a imbastire dei progetti così riusciti e longevi insieme a delle musiciste che vivono e operano dall'altra parte dell'Atlantico, sfruttandone in modo equilibrato e intelligente la sensibilità e la personalità. 

Per quanto riguarda The Blue Herons, la pubblicazione dei singoli sotto questo nome è cominciata diversi anni fa, accumulando nel tempo una serie di canzoni che sembravano prodigiosamente una meglio dell'altra. Andy e Gretchen avevano promesso che prima o poi sarebbe uscito anche un album, ed eccolo qui, pubblicato dalla Subjangle, meritoria label sudafricana (Jossi ama davvero superare i confini!) che è legata a doppio filo all'ottimo blog janglepophub. Album che anche nella copertina riflette tutto il mondo estetico del progetto Blue Herons, con la sua aria elegante e bambinesca al contempo, rosa e sfavillante.

I pezzi raccolti nel disco in verità li conosciamo già, ma ci sono due ottime ragioni per non mancare l'album: la prima è che Andy, da buon perfezionista qual è, ha risuonato e riprodotto tutto, con quella cura sonora di corrusca rotondità tipica di tutte le sue cose; la seconda è che ascoltare tutto insieme, senza soluzione di continuità, l'intero catalogo di singoli dei Blue Herons è un'esperienza che vi può davvero svoltare ogni giornata. 

Le canzoni allora. In apertura la sognante leggerezza di In The Skies disegna immediatamente il paesaggio sonoro in cui ci muoveremo nei prossimi cinquanta minuti. E' la formula dream pop di Andy e Gretchen in purezza: le chitarre jangly che si sovrappongono, si intrecciano e si inseguono, la linea melodica di onesta semplicità, subito perfettamente cantabile, la voce così limpida della DeVault, i synth che riempiono ogni possibile vuoto, il crescendo finale che atterra in un fatato paese dei campanelli. 

Poi la dolcezza quasi estenuata di Echoes In The Dust, che è un caldo abbraccio elettrico di cinque minuti dentro il quale è bello farsi semplicemente cullare. Ma da un un punto di vista di scrittura - ascoltatela e riascoltatela - è una cattedrale di layers multipli che si integrano e sovrappongono e funzionano in definitiva come un incredibile marchingegno a orologeria. Se volete una prova delle formidabili capacità produttive di Jossi, eccone una incontestabile.

Go On è - lo diciamo da quando uscì il singolo - il capolavoro dei Blue Herons, e probabilmente lo rimarrà sempre. "Let's get out of here, run away from all our cares, leave it all behind" canta Gretchen, e in fondo l'intera canzone è un razzo dalla coda scintillante puntato verso "un altro mondo dove il passato è passato e noi possiamo stare". Un manifesto della musica di Jossi e DeVault riassunto nella inarrestabile linearità di una perfect pop song che spinge verso l'alto con il suo potente motore jangly. 

La fiduciosa positività orgogliosamente naïf dei Blue Herons fa brillare in piena luce ogni secondo dell'album, anche dove le liriche si fanno più pensose. Ed ecco allora il sogno ad occhi aperti di Electric ("do you believe in a world beyond": è il lato B ideale di Go On) che rende innocua persino la malinconia notturna di From Here, dove il lungo finale risplende della morbida suggestione dei Cure più delicati.

Endless Rain è un altro momento alto dell'album e ritrae bene la poetica di Andy e Gretchen: se i cieli fotografati dalla finestra sono grigi e piovosi, dentro una sorta di simbolico diluvio universale che ricopre tutto di apatia, la musica è per contrasto così gentile e dinamica (specialmente nell'ipnotica e trascinante parte conclusiva) da rivelare l'intento catartico di tutta la produzione dei Blue Herons. Tutti corrono alle scialuppe di salvataggio - canta Gretchen - ma in realtà è la musica che ti salva. Punto. 

Take Them Back è un pezzo che all'inizio gioca un po' a nascondino, celandosi dietro la sua patina di sorniona e imbronciata delicatezza (è una canzone su un amore finito), e poi esplode in uno dei chorus più catchy, scenografici e poderosi dell'intero disco. 

Clouds è l'unico episodio che non conoscevamo già: una lunga e apertamente romantica power pop ballad intrisa di miele e lacrime, quasi quasi sopra le righe, ma in definitiva così rotonda e orecchiabile che non puoi non amarla. 

Lo stesso discorso che possiamo fare davanti a Talking To Ghosts, singolo per altro recentissimo, che mostra come la struttura canonica del dream pop del due svizzero-statunitense sia replicabile quasi all'infinito con risultati sempre ottimi: la strofa appoggiata sulle trine jangly, l'acceleratore premuto sul bridge, il ritornello che si spalanca come una finestra in pieno sole, il finale che si chiude come un cerchio. 

Verso la conclusione del disco gli episodi più atmosferici: una Autumn Leaves che pare un pezzo dei Churchhill Gardens finito qui per un fortunato errore. E poi una inattesa quanto interessantissima cover di Disorder dei Joy Division, che perde (giustamente) l'inquietudine originaria ed è rivissuta nella chiave suggestiva ed eternamente scampanellante dei Blue Herons. 

Titoli di coda su una versione alternativa - definita "melancholia version" - di Echoes In The Dust, che esibisce attraverso un piacevole effetto rallenty la perizia compositiva e produttiva di Andy Jossi. 

Questi sono The Blue Herons e francamente per un appassionato di dream pop è difficile chiedere di più. Go On è davvero uno scrigno delle meraviglie che, una volta aperto, non vorresti richiudere più. Non è un album nel senso stretto della parola - insomma, contiene pezzi scritti in un arco temporale piuttosto lungo e già editi - ma un'antologia che funziona come meglio non potrebbe e che celebra la dedizione di due artisti che a queste canzoni hanno dedicato tutti sé stessi. 

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