30 agosto 2022

Let's Whisper - The In-Between Times ALBUM REVIEW

Dovessi spiegare che cos'è il twee pop senza usare troppi giri di parole, consiglierei senza remore di ascoltare una qualsiasi delle uscite degli Smittens degli ultimi vent'anni. La band americana da sempre è sinonimo di delicatezza, ironia e spirito artigianale applicati al guitar pop, ed ha costruito uno stile così peculiare da essere riconoscibile da due note. 

Colin Clary e Dana Kaplan (due sesti degli Smittens), insieme al batterista Brad Searles, hanno iniziato il side-project Let's Whisper otto anni fa per dare uno sbocco al lato più folk e (ancor più) tenue del loro songwriting (il nome della band dice già tutto). Dall'uscita del loro primo album As Close As We Are ad oggi, il gruppo è entrato nel congelatore, per uscirne oggi trasformato in un quintetto che vanta come membri anche Jeff Baron degli Essex Green e soprattutto Emma Kupa (che non ha bisogno di presentazioni). 

Il risultato è un nuovo disco - questo The In-Between Times - in cui apparentemente tutti e cinque i musicisti hanno messo le mani nella scrittura, infondendo nei tredici pezzi del lotto un'anima indie-pop dagli orizzonti ampi che esibisce senz'altro il sorriso sbarazzino, teneramente rock 'n roll, degli Smittens (The Thing That Defines You ad esempio), ma ha soprattutto un respiro cantautorale di matrice acustica che, in effetti, assomiglia molto alle ultime cose solistiche di Emma Kupa (Long Run è roba sua, e si sente...). Quasi ogni episodio è intessuto di chitarre jangly, cembali tintinnanti e coretti - come ci si aspetta da due maestri del genere come Clary e Kaplan - però ciò che colpisce di più sono ballate soavemente oblique come Sing! o pezzi mossi e dinamici come This Not Be A Crush e I Don't Know What I Would Do Without You o ancora narrazioni di spontanea purezza come 40 Ways To Love You

26 agosto 2022

Why Bonnie - 90 In November ALBUM REVIEW

Blair Howerton definisce la musica dei suoi Way Bonnie "shoegazeicana", indicando nell'ironica crasi fra shoegaze e americana la natura ibrida del suo stile, a metà fra una tradizione cantautorale che deve avere per forza a che fare con la sua origine texana ed uno stile che ama le distorsioni scenografiche.

Dopo una serie di EP che da queste parti seguiamo con entusiasmo fin dagli esordi, Blair ha lasciato Austin per trasferirsi a Brooklyn. Le canzoni di questo suo primo album nascono quindi dalla nostalgia per il Texas e da una massa di ricordi che l'hanno travolta in pieno lockdown. Sarà anche e soprattutto per questo se l'intero 90 In November assomiglia così tanto, nell'anima ma anche nel corpo, a quell'Ivy Tripp che ha consacrato Waxahatchee come poetessa indie della grande provincia americana: un ritorno alle origini, in qualche modo. 

Fin dall'iniziale, elettrica e poderosa Sailor Mouth, i Why Bonnie imboccano la strada di un guitar pop che è insieme rude e morbido, inquieto e introspettivo, ben radicato in un fertile terreno folk-rock e capace di essere catchy ed elettrico, lirico ed emozionante in ogni singolo episodio. Il paesaggio non è in fondo diverso da quello disegnato da Soccer Mommy e da tanto cantautorato femminile dell'ultimo decennio (da Sharon Van Etten in giù): canzoni a loro modo canoniche, ampie, screziate di elettricità (molto più "americane" che shoegaze insomma), sempre perfettamente a fuoco, piacevolmente inclini ai crescendo, impreziosite da una scrittura - anche dei testi - che qui sembra davvero baciata da un'esigenza comunicativa fortissima. 

Le due vette, a mio parere, dell'album, ovvero 90 In November e Superhero, toccano le due polarità tematiche del disco (i ricordi, l'amore) e lo fanno con una risoluta delicatezza che si preoccupa più di creare l'atmosfera che di inseguire il ritornello ad effetto: il risultato è splendido, toccante. Ma lo è davvero tutto l'insieme dell'album.

Se vi piace il genere, difficilmente il 2022 vedrà qualcosa di più potente. 

22 agosto 2022

Northern Portrait - The Swiss Army ALBUM REVIEW

Proprio all'inizio dell'estate, per non ricordo quale motivo, ho tirato fuori dallo scaffale i primi due EP dei Northern Portrait, The Fallen Aristocracy e Napoleon Sweetheart, e li ho riascoltati con uno strano senso di meraviglia per quanto fossero a loro modo perfetti. Tanto che ho pensato subito con rimpianto a quanto ci mancasse oggi un gruppo come quello di Stafan Larsen, che non pubblica un album dal 2010...

Poi, dono del destino, la sempre meritoria Matinée Recordings annuncia l'imminente uscita del disco nuovo, ed in breve eccoci qui, con dieci nuove canzoni dei Northern Portrait da commentare.

Credo si possa tranquillamente dire che la band di Copenhagen sia stata uno dei più importanti e al contempo misconosciuti gruppi indie pop di tutti i tempi: una voce (quella di Stefan) formidabile, una scrittura sopraffina, uno degli impasti di chitarre jangly più dinamici e brillanti che si siano mai sentiti ed una generosa manciata di grandi pezzi dall'elegante orecchiabilità retrò sono comunque bastati per rendere i NP una band di culto.

I dieci pezzi di The Swiss Army riprendono ovviamente il filo interrotto una decade fa: lo stile è quello peculiare della band, che parte dagli Smiths come pietra angolare per costruire attorno a partire soprattutto da una solida base Brit Pop, soprattutto quella più laterale che non ha conosciuto folle oceaniche (Gene, Suede, Bluetones, Doves, Embrace, Housemartins... per intenderci). Ci sono senz'altro episodi di immediato impatto (Long Live Tonight, oppure la morbida e sorniona Once Upon A Bombshell, e soprattutto Pool Cue Vigilante, che forse è la cosa più vicina ai NP degli esordi), ma prevale quel romanticismo quasi quasi sopra le righe che è così nelle corde di Larsen e compagni da trasparire quasi in ogni momento, sia quelli più veloci, sia quelli di ampio passo cinematografico, sia quelli dove prevale un'acustica delicatezza cantautorale (Business Class Hero, notevole).

Certo, se rimettiamo i NP di quasi quindici anni fa, emerge ancora una volta la forza debordante che avevano le canzoni di allora e che ahimè quelle di oggi non hanno, tuttavia stiamo sempre parlando di una band che non ha mai registrato un secondo di materiale meno che bello, e The Swiss Army in definitiva è un album di grande livello, piacevolemente fuori dal tempo. 

18 agosto 2022

The Photocopies - Between You And Me + Departure EP REVIEW

Come abbiamo già avuto modo di dire, Sean Turner è uno di quegli artisti talmente prolifici che si fa fatica a stargli dietro: potere dell'autoproduzione, certo, ma anche evidentemente di una creatività entusiastica e straripante.

Esattamente come le fotocopie escono dalla macchina con rapida efficacia, così nel corso di mezza estate sono già usciti due EP firmati The Photocopies.

Il primo, Between You And Me, contiene quattro "canzoni su relazioni problematiche" che - come tutto quello che esce dalle mani del musicista di stanza in Michigan - scintilla di ironia e di quello spirito indie-pop-punk nutrito di buoni ascolti che è il marchio di fabbrica di Turner. Chitarre frizzanti, bassa fedeltà, idee luminose, il tutto (quasi) mai oltre i canonici due minuti e mezzo di durata e rigorosamente homemade. In pezzi come Might As Well Talk To Myself e Anywhere Without You nella mia memoria risuonano le melodie zuccherose e muscolari degli Ash. 

Il secondo, Departure (la tematica di fondo sembra la stessa del precedente), è probabilmente la collezione delle cose migliori di The Photocopies dalla loro comparsa, a partire dalla deliziosamente jangly Blindsided, passando per la sfrigolante circolarità melodica alla Jesus & Mary Chain di Westfield e Up There, fino a una Now You're Gone che mette insieme in modo inaspettato malinconia e romanticismo (e un giro armonico così classico che è impossibile non riconoscerlo).


15 agosto 2022

SINGOLI: FERRAGOSTO SPECIAL EDITION

 


 






 





 


 







12 agosto 2022

Atmos Bloom - Flora ALBUM REVIEW

Curtis Paterson e Tilda Gratton hanno cominciato a suonare insieme in pieno lockdown con l'intenzione evidente di crearsi con la loro musica una personale via di fuga. Da un paio d'anni pubblicano singoli a cadenza regolare che da queste parti abbiamo regolarmente adorato, e finalmente è uscito il loro mini-album di debutto: sette pezzi che disegnano un dream pop dai colori pastello, leggero ed etereo come la voce di Tilda, screziato dallo scampanellio cristallino delle chitarre, profumato di una estiva malinconia.

Il duo di Manchester sceglie con convinzione la filosofia twee della delicatezza sognante, della fragilità quasi esibita, della semplicità raffinata e le loro canzoni sembrano spesso una versione da cameretta di Hazel English, con il canto dei grilli in sottofondo (lo sentite in Morning Sun), solo in pochi casi più veloci ed elettriche (Daisy), quasi sempre intrise di una bellezza liquida ed ipnotica (Something Othe Than YouPicnic In The Rain). 

Non c'è dubbio che l'esordio degli Atmos Bloom sia un piccolo scrigno di meraviglie. 

09 agosto 2022

Castlebeat - Half Life ALBUM REVIEW

Mi metto nei panni del 90% del pubblico di Stranger Things, che gli anni '80 non li ha vissuti perché non era ancora nato, e mi immagino l'effetto che farebbe un pezzo come Moment piazzato nel bel mezzo della serie, dentro il walkman di uno degli adolescenti protagonisti. Probabilmente tutti penserebbero ad un altro geniale recupero dell'epoca di Running Up The Hill, e invece no, è lo strumentale che apre Half Life di Castlebeat.

Ad ogni modo purtroppo nessun pezzo di Josh Hwang è finito - mi risulta - in una serie Netflix, e comunque quando parliamo dei suoi Castlebeat sarebbe davvero limitante riferirsi solo agli anni '80 come modello dominante. In verità la band che gira intorno all'artista californiano da sempre è un portentoso frullatore indie pop che mette insieme tante cose diverse (ma non poi così tanto) in nome di un approccio super artigianale che bada al sodo e arriva sempre a fare centro con pochissimi mezzi e con quell'aria adorabile di essere lì per caso in cameretta a registrare. 

Nella musica di Josh ci sono sinth, certo, e drum machine a manetta, ma ci sono soprattutto tonnellate di chitarre jangly, che vanno a creare quell'ibrido surf indie post punk dream pop twee cantautorale lo fi (con una parentela di primo grado con i Cure più leggiadri) che Hwang ha cercato, creato e nutrito fin dagli esordi.

Ecco, Half Life contiene tutto il mondo Castlebeat distillato in 12 episodi, con in più alcune bombe terribilmente catchy come Into Home  Robert Smith ne sarebbe davvero un po' geloso). E poi un paio di momenti realmente emozionanti come la neworderiana Looking For Something e soprattutto la sognante Spill, lacrime di gioia sui titoli di coda del disco. 

Un disco di onesta ed entusiasmante bellezza. Nella Top 2022 subito! 

06 agosto 2022

Fresh - Raise Hell ALBUM REVIEW

Dicono di sé i Fresh di essere "punk che amano l'emo, stare in tour, il latte di avena, e usare l'amicizia per riempire quella grande incerta voragine che abbiamo tutti dentro". Latte d'avena a parte, è una definizione perfetta per la band londinese che abbiamo amato fin dal primo momento (Withdraw è del 2019) e che è strettamente imparentata con quei ME REX che su questo sito sono di casa (Kathryn Woods e Miles McCabe suonano anche nell'altro progetto e Rich Mandell qui è il produttore). 

Ecco, forse il vero fattore che rende tante giovani band di oggi (citerei anche i Martha, i Fight Milk e i Beths tra tante) così entusiasticamente propulsive è davvero l'amicizia: un affiatamento che si legge dietro ogni singola nota suonata e che è evidente anche nel fatto che non c'è, in questi gruppi, un leader che tolga lo spazio agli altri membri, ma una comunione di idee e di scrittura che si trasforma in divertimento ed energia positiva.

Certo, se nei ME REX è McCabe il regista, nei Fresh è da sempre Kathryn Woods il perno attorno a cui gira la band: la sua chitarra, la sua voce (splendida veramente, che miglioramento!), il suo tocco di sorridente dolcezza. A differenza di Withdraw, Raise Hell è senz'altro un album più pensato e prodotto (il lavoro che c'è dietro pezzi come Deer In The Headlights è evidente). L'animo è sicuramente punk, ma negli undici episodi prevale senz'altro uno spirito pop che illumina ogni momento di un risoluto ottimismo (che per altro fa ironicamente a pugni con la bella e inusuale copertina) e che suona sempre orecchiabile e perfettamente coinvolgente. 

Le chitarre sono sempre dinamiche e non si limitano certo a fare il minimo sindacale, piazzando riff di sorniona intelligenza (prendete quello di Fuck Up, d'altra parte sia Kathryn che Miles possiedono una notevole tecnica, lo sappiamo bene), le melodie esplodono ovunque di leggerezza, di hook che finiranno per essere una piacevole persecuzione, di cori e coretti che riempiono l'aria di stelle filanti. Difficile anche citare un pezzo che spicchi sugli altri, tanto l'intero lotto sembra funzionare come un unico blocco di travolgente energetico entusiasmo rock n roll. Cito giusto l'accoppiata Our LoveWay Do I, che apre e chiude il tutto come una sorta di manifesto ideale dei Fresh: super corale, programmaticamente self-empowering. Anche se il mio episodio preferito è I Know I'm Just A Phase To You, che brilla di una ironia impareggiabile ed ha un inaspettato e irresistibile duetto in fondo. 

Se state cercando un album che, semplicemente, vi faccia stare meglio: Raise Hell è la medicina perfetta. E' a questo che serve la musica pop, e i Fresh lo sanno molto bene! 

03 agosto 2022

Tallies - Patina ALBUM REVIEW

Arrivati al secondo album dopo l'interessante debutto del 2019, i canadesi Tallies portano avanti con immutata leggerezza la loro idea eterea e primaverile di dream pop. 

A differenza di molte altre band che percorrono sentieri simili, Sarah Cogan e compagni sembrano dichiarare sempre in modo evidente i loro modelli: i Sundays e i primi Cardigans nei pezzi più rotondi, jangly, catchy e immediatamente abbordabili; i Lush e un po' i Cocteau Twins negli episodi che mirano invece a creare impasti atmosferici dilatati, sfumati e riverberati. 

I nove pezzi che compongono Patina alternano queste due anime dei Tallies: due attitudini che procedono più o meno parallelamente e che il gruppo di Toronto maneggia con sicurezza e la solita grande retrospettiva e colta delicatezza. 

A mio gusto personale, le cose più riuscite sono quelle più apertamente melodiche, che mettono maggioremnte a fuoco lo stile peculiare della band e si staccano in parte dagli stilemi abilmente ricercati che riempiono l'album: la scampanellante Hearts Undeground, la magnifica Special con il suo morbido crescendo, la forza gentile della conclusiva When Your Life Is Not Over