05 settembre 2023

Slowdive - Everything Is Alive ALBUM REVIEW


Everything Is Alive è il secondo album della seconda vita degli Slowdive. Sappiamo bene come il terzetto di dischi che in un breve torno di anni aveva consegnato alla storia la band di Reading non aveva fatto presagire un ritorno "stabile", considerando il ventennio di iato fra scioglimento e reunion. L'album omonimo, uscito nel '17, era stato poi interpretato da molti come una questione tanto nostalgica quanto momentanea, nonostante il gruppo apparisse in grandissima forma.
Nel periodo successivo Neil Halstead ha continuato a comporre, sperimentando con i synth modulari e progettando un prossimo album che adottasse uno stile sostanzialmente elettronico. I pezzi nuovi però, approdati nelle mani dei suoi vecchi e fedeli compagni di viaggio - Rachel Goswell, Nick Chaplin, Christian Savill, Simon Scott - hanno preso vita in una forma che è quella a cui gli Slowdive ci hanno abituati da sempre, dimostrando che il risultato finale è sicuramente più della somma delle singole personalità.
Shanty, la canzone che apre l'album, è sorretta in effetti da pattern elettronici algidi e ipnotici, ma si costruisce poi attraverso la marea riverberante delle chitarre e l'immersione delle voci nel paesaggio sonoro, soluzioni che sono pienamente proprie del genere che il gruppo inglese ha contribuito a fondare. Lo stesso schema che ritroveremo più avanti nella lunghissima Chained To A Cloud, dove pure è evidente il lavoro preliminare di Halstead con i suoni sintetici, ma l'insieme è puro Slowdive-sound. 
Prayer Remembered - strumentale dai contorni ampi - possiede un'atmosfera di sfumata suggestione che può ricordare un po' i Sigur Ros (altra band che agli Slowdive deve una percentuale di ispirazione). 
Alife è il primo pezzo veramente forte del lotto e ci riporta con i piedi ben piantati dentro la peculiare declinazione sognante e aerea che ha sempre contraddistinto lo shoegaze della band: le chitarre scampanellano tenui intrecciandosi ai synth, le voci di Neil e Rachel si alternano e si mescolano con una grazia soprannaturale, tutto è dinamica armonia e scorre verso un gentile crescendo finale. 
Andalucia Plays rallenta in modo netto i ritmi e ci avvolge in un cinematografico abbraccio di luce diafana: suoni elettronici emergono tra le onde e giocano tra i riflessi delle chitarre, Neil quasi sussurra anziché cantare versi legati a ricordi che illuminano la memoria. E' una ninna nanna per le nostre parure, per le nostre frustrazioni. Meraviglia, anche grazie al missaggio di un asso come Shawn Everett, che qui ha fatto un lavoro di fino pazzesco. 
Kisses è senza dubbio la testa di ponte melodica dell'intero album: la melodia è immediata e la sezione ritmica di Chaplin e Scott la porta sulle spalle con ballabile leggerezza. Le parole riecheggiano ancora l'idea, diffusa nel disco, di una fuga ideale, e dipingono paesaggi che ricordano l'incarnazione folk della band, quei Mojave 3 che degli Slowdive erano un ispiratissimo distillato di narrazioni acustiche.
Skin In The Game riapre la porta sulla storia antica del gruppo: oscurità e bagliori, strati di chitarre e parole che si ripetono come una ossessiva cantilena. 
The Slab, l'episodio scelto per i titoli di coda, ha nel dna i The Cure più dilatati, morbidi e scenografici, a ricordarci che giustamente anche lo shoegaze ha avuto padri nobili. Tutto - ritmica, chitarre, il bordone di synth - è solenne e incalzante, liquido e baluginante, sottilmente mesmerico. Un'altra perla di scrittura, talento, misura e produzione nella carriera dei Nostri.
Cosa dire in definitiva di questo Everything Is Alive? Che è un disco di equilibrata densità, che sfugge ad ogni tentazione di magniloquenza e si concentra sui propri otto pezzi alternando con saggezza momenti più pop ed altri più sperimentali, canzoni brevi e lunghe, qualche suggestione di idee "nuove" e una solida base di consuetudine stilistica. Sono gli Slowdive e sono riconoscibili dalla prima all'ultima nota, piacciano o meno. Il fatto che l'estate scorsa Halstead e compagni abbiano suonato con successo nei festival davanti ad un pubblico che in gran parte non era nemmeno nato quando il gruppo era già in auge è forse la più concreta attestazione di quanto la band inglese abbia un valore ed un fascino che trascendono ormai i decenni. 

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