27 febbraio 2022

Salt Lake Alley - It Takes Two ALBUM REVIEW

Gli svedesi Salt Lake Alley definiscono il loro "othodox indie pop" come i (primi, dico io) Teenage Fanclub che scambiano i singoli della Sarah Records con i Popsicle (che sono una delle glorie dell'indie scandinavo, e se non li conoscete recuperateli assolutamente). 
Insomma è un bel mazzolino di suggestioni, che in sostanza va a centrare cronologicamente un magnifico torno di anni (ultimi Ottanta, primissimi Novanta) in cui Mikael Carlsson e Gustav Tranback sembrano essersi catapultati con una macchina del tempo musicale. Aggiungiamo alla fotografia anche i Jesus & Mary Chain come padrini di battesimo, e siamo davvero a posto.

It Takes Two è l'album di debutto per i due musicisti svedesi, che hanno già ampia esperienza con altre band e hanno messo insieme la loro fede indie pop in undici pezzi di luminosa nostalgia jangly, pieni di dodici corde, synth, drum machines e melodie retrò-catchy che inseguono con costanza nei tre canonici minuti un'idea di piacevolezza e leggerezza perfettamente applicata all'intero disco. Idea che è veramente la spina dorsale dell'indie svedese da sempre e che vede i Salt Lake Alley come ennesimi epigoni, forse non dotati di una personalità travolgente ma senz'altro di quell'innato buon gusto e quella misura che sembrano possedere naturalmente i loro connazionali. 

Su tutto, a mio parere personale, svettano i numeri conclusivi Better Lost Than Found, sincera delizia "Byrds via Teenage Fanclub" e That's A Promise, che echeggia in modo impressionate i citati e mai abbastanza compianti Popsicle ed è vocalmente una chicca. Ma ci sono episodi altamente convincenti, la rotonda e cantabile Now I've Realized in primis. 

22 febbraio 2022

Basement Revolver - Embody ALBUM REVIEW

Embody è il secondo album per la band di Hamilton, Ontario: un nuovo poderoso passo in avanti per un gruppo che seguiamo davvero dalle sue primissime mosse e che da allora non ci ha mai deluso.

Chrisy Hurn e i suoi compagni hanno ritagliato con forza e personalità la forma ormai molto definita e riconoscibile del proprio dream pop, mettendo insieme infinita dolcezza e profonda oscurità in architetture di scenografica emozionalità. 

Al centro, sempre di più, la voce angelica di Chrisy, catalizzatore non solo dell'elettrica eleganza di ogni paesaggio sonoro, ma anche e soprattutto di liriche che esprimono una notturna antologia di disagio ed inquietudine ("vorrei essere a mio agio dentro la mia pelle" dichiara il ritornello di Skin; "sono sempre in guerra con la mia mente" quello di Circles; "ho perso il controllo, sono diventata un buco nero" quello di Black Hole...) che però anziché sprofondare va costantemente in cerca della luce. 

Ecco allora che i momenti in cui l'intimismo dolente delle parole si scioglie nei muri sfrigolanti delle chitarre (lo shoegaze quasi canonico di Tunnel Vision)  si alternano a quelli in cui ombre e bagliori si muovono in un'oscurità liquida di apparente serenità, il tutto tra un pezzo e l'altro o dentro la stessa canzone (Storm ad esempio, o l'ancora più complessa Dissolve). Fino ad esplodere in quella dimensione vasta e melodicamente scenica che è il vero marchio di fabbrica del gruppo canadese: Transatlantic in questo senso sono i Basement Revolver in purezza. 

Tra tante band di genere, quella di Chrisy Hurn non ha puntato né sull'immediatezza catchy, né sulla potenza muscolare, né sull'espressionismo emotivo: tutto il percorso dei Basement Revolver è davvero un equilibrismo fra questi tre poli, che li mescola e li sovrappone continuamente e che muove da una sincera esigenza di trasformare in bellezza ciò che sanguina dentro. E un pezzo magnifico come la conclusiva lunga e ambiziosa Long Way, con le sue chitarre country che si fanno distorsione, il suo crescendo da pelle d'oca, la sua coralità liberatoria e la voce della Hurn che sale tra le stelle, sembra allora la fotografia perfetta di cosa i quattro di Hamilton vogliono essere. 

Un album fondamentale da una delle band fondamentali di oggi. 

17 febbraio 2022

Lizzy - Deux Soleils EP REVIEW

Mi è capitato, nelle ultime settimane, di sentire almeno una dozzina di album o ep appena usciti: diverse cose carine, ma niente che mi abbia spinto a ritornare indietro e riascoltare. Poi mi sono imbattuto per caso nell'EP di questa ragazza di Montreal che canta in francese, e una sua canzone intitolata East Angus 1998 mi ha letteralmente svoltato la giornata. 

Lizzy Picard dichiara che la sua musica è "dream pop in pieno sole" (provo a tradurre così l'aggettivo ensoleillée), e non c'è definizione più calzante di questa: in tutti i quattro pezzi dell'EP (cinque, se contiamo che in coda c'è anche una emozionante versione alternativa di Deux Soleils) ci sono cieli azzurri, soli che sembrano arance e orizzonti di ricordi illuminati da un riverbero dorato e brillante. 

Le calde spirali di chitarre jangly e synth collocano senza dubbio i modelli sonori di Lizzy dalle parti dei Cocteau Twins e delle Lush, in quello stesso mondo così retrò e così di moda oggi a cui si abbeverano in tanti nella scena indie pop odierna, da Hatchie ai Blue Herons. 

Il tutto confezionato con una produzione che fa modernariato ma in modo intelligente ed equilibrato e soprattutto con una pura, semplice, sincera, un po' adolescenziale dolcezza di fondo che rende ogni canzone splendidamente atemporale e la fa librare a mezz'aria in una dimensione di crepuscolare bellezza.

11 febbraio 2022

The Reds Pinks & Purples - Summer At Land's End ALBUM REVIEW

Puntuale come una prima tiepida brezza di primavera, ecco che arriva il nuovo (quarto) album di Glenn Donaldson. Ormai il musicista californiano è come un vecchio amico di tutti noi appassionati di jangle pop: anche se è lontano migliaia di chilometri da noi, sappiamo che prima o dopo si farà vivo e sarà come se non ci fossimo mai allontanati. E, a dire il vero, le sue cartoline/singolo mensili hanno contribuito decisamente a farcelo sentire vicino.

Il Land's End menzionato nel titolo è l'angolo più occidentale del Richmond District a San Francisco, il quartiere con le row houses variopinte, i fiori nei giardini e le strade pendenti che troviamo su ogni copertina dei Reds Pinks & Purples da quando esistono. Donaldson vive, compone e registra lì, in una dimensione di bellezza urbana color pastello che è la sua primaria fonte di ispirazione e sembra riempire ogni sua canzone di una eterea, malinconica, confortevole, morbida leggerezza. 

Non pare esserci una particolare evoluzione nelle produzioni del nostro Glenn (a parte forse la presenza qui di ampi momenti strumentali e di un languore crepuscolare più diffuso del solito). Tutto sta semplicemente dove dovrebbe stare, ricco di una onestà DIY di fondo serenamente prodigiosa: le chitarre che si intrecciano e scampanellano, le melodie che sono fatte per farsi abbracciare, la voce che canta e racconta, racconta e canta, così sincera e confidenziale, intrisa parimenti di ironia e romanticismo.

Dubito che nella vita avrò mai l'occasione di camminare per le strade di San Francisco, ma in fondo ogni volta che ascolto le canzoni di The Reds Pinks & Purples, come New Light o Pour The Light In (oh quanta insistenza sulla luce nelle liriche di Glenn, ma sono i pezzi stessi a farsi luce se li accendete) è come se lo facessi davvero. E tanto basta al mio istinto di viaggiatore da cameretta. 

Grazie Glenn. Di cuore. E alla prossima.

05 febbraio 2022

ME REX - Pterodactyl EP REVIEW

Comincio subito dichiarando che Pterodactyl è, fino a questo momento e di gran lunga, la cosa più entusiasmante che mi sia capitato di ascoltare nel 2022. E aggiungo che ho ascoltato Skin It Itches a nastro così tante volte nelle ultime due settimane che per me è già assunta al rango di "grande classico indie". 

I ME REX hanno indiscutibilmente al centro Myles McCabe, ma è altrettanto evidente che non si tratta di un progetto puramente solistico, ma di una band formata da musicisti straordinariamente affiatati (non a caso Myles e Kathryn Woods suonano insieme nei nostri amati Fresh, ma anche Phoebe Cross e Rich Mandell - che vengono dagli Happy Accidents - sono in fondo dello stesso giro londinese).

L'anno scorso McCabe ha pubblicato sotto il nome ME REX un album, Megabear (tutti i suoi titoli alludono ad animali preistorici), composto da 52 frammenti da ascoltare in qualsiasi ordine come tessere di un mosaico. Una cosa un po' pazza, ma a suo modo affascinante e piacevolissima , che consiglio se siete curiosi di sentire che cosa abbia combinato. 

Le quattro canzoni di Pterodactyl tornano alla formula più "normale" e innamorata pazza dell'indie dei Novanta che animava i primi singoli di ME REX, e lo fanno con una carica vitale, una prepotenza comunicativa ed un'esuberanza pop che a me ricorda le cose migliori dei Death Cab For Cutie, i Neutral Milk Hotel o, per avvicinarci temporalmente, Los Campesinos. 

Myles canta un fiume di cose in ogni pezzo, appoggia spesso la sua narrazione sul pianoforte, la infila in uno schema apparentemente cantautorale e poi regolarmente la fa esplodere in tutte le direzioni possibili affidandosi al dinamismo delle chitarre punkeggianti, ai cori di Phoebe e Kathryn, a una sezione ritmica che bada al sodo, ai fiati e ai synth. Se Skin It Itches è già di per sé un capolavoro, gli altri episodi non sono da meno e possiedono una gioiosa cantabilità catchy che spande energia a piene mani da ogni singola nota. 

Una meraviglia da non lasciarsi sfuggire!