Puntuale come una prima tiepida brezza di primavera, ecco che arriva il nuovo (quarto) album di Glenn Donaldson. Ormai il musicista californiano è come un vecchio amico di tutti noi appassionati di jangle pop: anche se è lontano migliaia di chilometri da noi, sappiamo che prima o dopo si farà vivo e sarà come se non ci fossimo mai allontanati. E, a dire il vero, le sue cartoline/singolo mensili hanno contribuito decisamente a farcelo sentire vicino.
Il Land's End menzionato nel titolo è l'angolo più occidentale del Richmond District a San Francisco, il quartiere con le row houses variopinte, i fiori nei giardini e le strade pendenti che troviamo su ogni copertina dei Reds Pinks & Purples da quando esistono. Donaldson vive, compone e registra lì, in una dimensione di bellezza urbana color pastello che è la sua primaria fonte di ispirazione e sembra riempire ogni sua canzone di una eterea, malinconica, confortevole, morbida leggerezza.
Non pare esserci una particolare evoluzione nelle produzioni del nostro Glenn (a parte forse la presenza qui di ampi momenti strumentali e di un languore crepuscolare più diffuso del solito). Tutto sta semplicemente dove dovrebbe stare, ricco di una onestà DIY di fondo serenamente prodigiosa: le chitarre che si intrecciano e scampanellano, le melodie che sono fatte per farsi abbracciare, la voce che canta e racconta, racconta e canta, così sincera e confidenziale, intrisa parimenti di ironia e romanticismo.
Dubito che nella vita avrò mai l'occasione di camminare per le strade di San Francisco, ma in fondo ogni volta che ascolto le canzoni di The Reds Pinks & Purples, come New Light o Pour The Light In (oh quanta insistenza sulla luce nelle liriche di Glenn, ma sono i pezzi stessi a farsi luce se li accendete) è come se lo facessi davvero. E tanto basta al mio istinto di viaggiatore da cameretta.
Grazie Glenn. Di cuore. E alla prossima.
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