28 marzo 2019

Tullycraft - The Railway Prince Hotel ALBUM

Poche band hanno fatto del twee una consapevole attitudine come i Tullycraft. Credo che molti di voi ricordino i versi di quel piccolo inno intitolato non a caso Twee, che recitavano well you can keep the punk rock, ska, rap, beats and house, fuck me i'm twee. Era il 2002, e il gruppo di Seattle era in giro da almeno 7 anni, cioè da quando iniziò l'intero movimento indie pop statunitense. 
Probabilmente i Tullycraft non sono mai stati una band eccezionale: sono stati distintivi e seminali, questo sì, e pure piuttosto longevi visti i due decenni abbondanti di attività. Da parecchio sembravano spariti - e probabilmente molti si erano serenamente dimenticati di loro - salvo poi riapparire con un album, il settimo in carriera, che non solo rinverdisce i fasti di Beats Surf Fun, ma potrebbe pure essere la cosa migliore che abbiano pubblicato negli ultimi, ehm... 23 anni. 
Lo stile di Sean Tollefson e compagni è lo stesso dagli esordi: un guitar pop di intellettuale spontaneità, allegramente confusionario, pieno di liriche spiritose e citazionismo, coretti e ritornelli contagiosi, giocoso e melodico esattamente come il genere richiede. Da sempre i Tullycraft sanno scrivere canzoni, ma le sanno anche un po' "buttare via" con una scrollata di spalle lo-fi. I dodici pezzi di The Railway Prince Hotel invece sembrano davvero brillare di luce propria dal primo all'ultimo, essenziali ma levigati il giusto, sgangherati quel tanto che basta, in alcuni momenti (l'uptempo di straordinaria leggerezza di Beginners At Best su tutti) davvero entusiasmanti. 

24 marzo 2019

The BV's - Cartography ALBUM

Un paio d'anni fa l'uscita del disco di debutto dei The BV's mi aveva entusiasticamente fatto pensare che si trattava di una delle poche band capaci di vivere una dimensione nostalgica (per i gruppi dell'era Sarah Records / Flying Nun) in modo tanto filologico quanto intelligente.
Dopo un EP, uscito l'anno passato, che non mi aveva convinto del tutto, Josh e Fred sono tornati con il loro secondo album e di nuovo riescono a farci immergere alla grande in un' ipnotica atmosfera C86, dove una programmatica idea di "non finito" dà al tutto un fascino da disco a-temporale.
Le chitarre sono jangly come ci si aspetta, le melodie a tratti così timide da scivolare a lato, ma capaci qua e là di lasciare davvero il segno (l'incipit Charlie I Don't Know Who You Are / Cartography è da applausi), la dimensione spesso si dilata - vibrante di echi eterei e quasi improvvisazioni - verso lo strumentale, in diversi episodi emerge un calibrato sperimentalismo, su tutto domina un umore piuttosto notturno che ogni tanto offre confortanti squarci di luce.



20 marzo 2019

Funeral Advantage - Nectarine ALBUM

Non ha bisogno di presentazioni, Tyler Kershaw: i suoi Funeral Advantage sono a tutti gli effetti una di quelle band a cui tutti pensano quando si parla di dream pop. Negli anni il musicista americano si è conquistato una fama da perfezionista, costruendo le sue canzoni come raffinate cattedrali sonore dove le chitarre sono usate in ogni modo possibile in una sorta di variopinto e magmatico cemento di chimes, echi ed elettricità che tiene su il tutto e spinge le melodie verso l'alto in ipnotiche spirali.
Lo stile di Funeral Advantage è pienamente riconoscibile anche in questo Nectarine, EP lungo o mezzo album, che al consueto corredo aggiunge un tocco decisivo di janglytronic, con synth molto evidenti ovunque a fare da cuscino per la voce garbata di Tyler. 
Personalmente non sono un fan sfegatato - ho sempre trovato i Funeral Advantage eccessivamente freddi - ma ci sono alcune cose (Stone Around Your Neck ad esempio) di classe innegabile ed una cura produttiva davvero impressionante.

17 marzo 2019

Earache - Last ALBUM

C'è senz'altro dell'ironia nel chiamare la propria band "mal d'orecchi", ma forse la scelta del duo australiano formato da Gemma Nourse e David Fenderson è ponderata e riflette in fondo la malinconica inquietudine della propria musica. 
Last, che è il primo album degli Earache, ha indubbiamente una sua dimensione molto personale: mette in campo un guitar pop in verità poco pop, dove  le chitarre sono il reale motore di tutto: intrecciate, jangly, riverberate, sempre in modo mirabilmente intelligente, si prendono sempre la scena, tanto che le voci tenui, a tratti persino incerte di Gemma e David accompagnano melodie già tracciate dalle sei corde e la batteria elettronica si limita a scandire pattern di geometrica essenzialità. 
L'effetto generale è in definitiva molto molto interessante, perché sembra di sentire dei Joy Division, reincarnati ora in uno dei tanti gruppi indie degli anni '90 (Sebadoh, Pavement...?), ora in una  band del primissimo shoegazing, obliquamente immediati, eterei e disturbanti al tempo stesso.



13 marzo 2019

Apartamentos Acapulco - El Resto Del Mundo ALBUM

Nella vivace scena indie pop spagnola, gli Apartamentos Acapulco sono da alcuni anni una certezza assoluta. El Resto Del Mundo, album numero due in una carriera che ha già dimostrato con chiarezza il valore della band nata a Granada attorno ad Angelina e Ismael, arriva a consolidare uno stile che ormai è davvero molto riconoscibile.
Fin dagli esordi gli spagnoli hanno portato avanti un'idea di dream pop atmosferico, pieno di scenografici crescendo e talvolta di dilatazioni a metà fra shoegaze e psichedelia. 
I nove pezzi dell'album nuovo non si allontanano dagli orizzonti emozionali a cui gli Apartamentos ci hanno piacevolmente abituati. Chitarre riverberate e synth mirano sempre verso il cielo e le voci di Ismael e Angelina si alternano e si mescolano con la consueta morbidezza, a tracciare paesaggi che idealmente si aprono oltre i confini di ogni pezzo e puntano ad abbracciare l'ascoltatore nelle proprie spire dolcemente drammatiche. 
Fanno eccezione un paio di momenti - Regional Proferente e La Mujer y El Monstruo, in definitiva le punte dell'album - di asciutta e brillante immediatezza indie pop. 

10 marzo 2019

Egoism - Enemies SINGLE

Mi capita - qualche volta, ma non troppo spesso - di restare a bocca aperta davanti a una canzone appena scoperta. Negli ultimi anni ricordo alla perfezione la prima volta che ho ascoltato Sleep dei Night Flowers, Sure di Hatchie, Archie Marry Me degli Alvvays, Fix di Hazel English, Lying In The Sun dei Beths, e potrei continuare a ritroso aggiungendo titoli su titoli. 
In genere non uso il tasto repeat quando metto un disco, tranne appunto in questi casi, che evidentemente - è un fatto assolutamente personale, certo - coincidono in pieno con l'idea che ho io di perfect pop song. Basta collegare i puntini per capirlo: melodia forte, voce femminile, chitarre, orizzonti ampi, elettricità e miele. 
Ecco, è arrivato il momento di allargare la lista a questo duo di Sydney chiamato Egoism, che - ormai l'avrete capito - suona proprio quel genere di dream pop che a me fa impazzire. 
Scout Eastment e Olive Rush fanno musica insieme dai tempi della scuola e nella loro breve carriera hanno pubblicato un pugno di singoli e un EP ispirati ad un pop psichedelico e para-shoegaze non del tutto a fuoco. Poi la svolta qualche mese fa con un singolo, Sorry, che mette al centro la voce di Olive, velocizza il ritmo e fa girare le sue chitarre scampanellanti e riverberate attorno a una melodia circolare che esplode subito.  
Enemies, il singolo nuovo, parte dagli stessi presupposti e in qualche modo li completa in modo ancora più brillante. 



06 marzo 2019

Westkust - Westkust ALBUM

Quattro lunghi anni sono passati tra Last Forever, il disco di debutto dei Westkust, e questo secondo lavoro che porta il loro nome. Lunghi perché in realtà ci sono mancati moltissimo. L'attesa tuttavia è ripagata da un album che non ho paura di definire spettacolare. 
Parlando del loro debutto, avevo descritto così lo stile dei Westkust: melodie zuccherine disegnate con mano ferma su un muro di chitarre distorte da shoegazer. Mi sembra tuttora una fotografia efficace della musica di Julia Bjernelind e compagni: le canzoni degli svedesi possiedono indiscutibilmente un'anima di morbido romanticismo, ma tutto attorno si muove in maniera febbrile e fragorosa un'elettricità poderosa e sfrigolante che rende il tutto a suo modo antemico e fortemente emozionale. La forza è in fondo la stessa esibita dai concittadini Makthaverskan (di cui hanno condiviso addirittura dei membri in passato), ma meno rabbiosa e più volta a dinamiche e sfondi di marca dream pop. 
Ascoltando i nove episodi dell'album si ha l'impressione che i Westkust l'abbiano concepito quasi come un unico granitico blocco da ascoltare senza prendere fiato, una sequenza killer che ti investe e ti trascina con sè in un'unica spumeggiante ondata di riverberi e melodie di immediata circolarità. Un'esperienza da vivere con il volume abbastanza alto da creare un piacevole stordimento. 

03 marzo 2019

Greetings and Goodbyes - Greetings and Goodbyes ALBUM

Jeff Miller deve essere un artista davvero innamorato della musica che fa. Lo si percepisce chiaramente dal modo in cui tratta le sue canzoni, come se fossero piccoli oggetti di fragile perfezione, da accarezzare e lucidare con la cura artigianale che si deve a ciò che è importante e prezioso.
Avevamo lasciato il musicista di Nashville un paio d'anni fa alla guida di un progetto che si chiamava Of Good Cheer e che oggi non c'è più. Lo ritroviamo oggi con un progetto nuovo, che ha voluto chiamare Greetings and Goodbyes e che prosegue sulla strada già tracciata con il consueto garbo e con rinnovata sicurezza. 
Jeff ha voluto usare il claim "the new sound of dream pop" per presentare la sua nuova musica. Nella sua idea, dream pop non ha nulla a che fare con i soffici muri di chitarre di tante altre band, ma è soprattutto un'attitudine gentile e sorridente, la stessa che avevamo apprezzato nel suo album precedente. Greetings and Goodbyes, sotto la sua copertina veramente splendida, ha radici da singer/songwriter di matrice folk e un cuore pop delicato e intimista, che vive di melodie morbide e rotonde, del sovrapporsi armonioso delle voci maschile e femminile, di un'idea di timida bellezza che anima ogni picco dettaglio sonoro. Dreaming, il pezzo di apertura e "manifesto" di tutto il disco, è di per sè un piccolo capolavoro.