29 aprile 2016

Sheer - Uneasy [ALBUM Review]

Sono arrivato a scoprire i losangelini Sheer per vie traverse, ascoltando l'omonimo e piacevolissimo EP dei Grave School, la band parallela della cantante e chitarrista Gina Amalguer. In verità i Grave School, che hanno un versante marcatamente power pop, sono senz'altro più vicini alle corde che tocchiamo solitamente in questo blog, tuttavia Uneasy, l'album degli Sheer uscito qualche mese fa, è obiettivamente una spanna sopra per costruzione ed ambizione.
I 5 densi minuti dell'iniziale Monochrome accolgono l'ascoltatore investendolo subito con i poderosi muri di chitarre di taglio shoegaze che sembrano essere la caratteristica distintiva del suono della band, immergendolo in una ipnotica tempesta elettrica dove la voce della Amalguer guida con delicatezza la melodia in un paesaggio notturno e a tratti inquietante.
Il resto del lavoro sembra spartirsi in due: pezzi più aperti, ad un tempo muscolari ed immediati, debitori senz'altro della lezione di Jesus & Mary Chain e che potremmo catalogare come dream pop, come Ojaj, Bored To Death, Mask, Cursed Again e Uneasy (sono la cosa migliore del lotto), ed altri che abbassano le luci e spingono verso le linee geometriche del post rock (Orion). Siamo, se volete,  dalle parti dei compagni di etichetta Funeral Advantage, ma con un mood decisamente più oscuro.



Se invece vi interessano di più i Grave School (Disconnect è un pezzo formidabile):



26 aprile 2016

Free Cake For Every Creature - Talking Quietly Of Anything With You [ALBUM Review]

Free Cake For Every Creature è il nome scelto dalla 24enne di Philadelphia Katie Bennett per un progetto musicale che va avanti da alcuni anni ed ha già collezionato una serie di album che, data la dimensione sostanzialmente artigianale, sembrano più collezioni di sketches che dischi strutturati. Non si sottrae a questa impressione anche questo Talking Quietly Of Anything With You, che già dal titolo si presenta come un manifesto di colloquiale (e un po' verbosa) spontaneità. Al di là dell'assoluta coerenza lo-fi, le dieci sintetiche canzoni del lotto (2 minuti la durata media) possiedono quella purezza indie-pop che abbiamo apprezzato di recente nei lavori di altre singer songwriter come Frankie Cosmos, Eskimeaux e Florist: liriche intelligenti e immaginifiche (la mia preferita è Chubby Cows), cambi di ritmo, una chitarra essenziale che richiede pochissimi altri apporti strumentali e su tutto una innata delicatezza melodica piacevolemente catchy (All You Gotta Be When You're 23 Is Yourself ad esempio, con la sua sorridente ironia, oppure l'indie sornione di For You). 





22 aprile 2016

Eskimeaux - Year Of The Rabbit [ALBUM Review]

A un anno di distanza dal notevole O.K., Gabrielle Smith torna con un EP di sei pezzi che sembra fotografare uno stile ormai definito. L'album del 2015 ci aveva colpito per la fortunata commistione di artigianato essenziale e capacità di costruire crescendo melodici contagiosi. 
Nelle canzoni di Year Of The Rabbit ritroviamo le coordinate musicali leggermente oblique a cui ci aveva abituato la musicista newyorkese, con però una maggiore consapevolezza ed un lavoro di produzione che da un lato lima ogni possibile spigolo e dall'altro riduce le sfumature di elettronica presenti in passato in nome di un suono chitarristico più franco e diretto. 
Il risultato sono sei episodi decisamente sintetici ma egualmente piacevoli e dotati di una spiccata indole pop, che si nutrono della loquace introversione folk tipica della Smith ma spingono sempre su ritmi mediamente veloci e melodie di spontanea immediatezza e ormai facilmente riconoscibili per chi ha già familiarità con la produzione di Eskimeaux.


19 aprile 2016

Bent Shapes - Wolves Of Want [ALBUM Review]

In giro da anni nella scena di Boston, i Bent Shapes sono il prototipo della indie band con un QI superiore alla media. Ben Potrykus e i suoi tre compagni devono essere esattamente i tipi che, seduti al pub, hanno sempre qualcosa di originale da dire su qualsiasi argomento e sembrano sempre divertirsi un mondo. O almeno questa è l'impressione offerta da Wolves Of Want, che è il loro secondo album: una collezione di canzoni veloci e immediate, innervate da una trama guitar-pop brillante, colorata, ruvida ma mai tagliente, impreziosite dagli onnipresenti cori di Jenny Mudarri e da liriche allegramente verbose e citazioniste. 
Dall'iniziale ritornello killer di New Starts In Old Dominion fino agli inaspettati e malinconici titoli di coda di Intransitive Verbs, i bostoniani infilano una potenziale hit alternativa dopo l'altra, con la leggerezza di chi sa perfettamente su quali pedali spingere e quando è il momento di cambiare ritmo. Ne escono episodi piacevolmente uptempo come 86'd in '03 e What We Do Is Public, numeri più ampi e strutturati come Realization Hits e momenti di graffiante dolcezza à la Pavement come Béton Brut

Bandcamp

   

15 aprile 2016

Major Leagues - Dream States [EP Review]

Originari di Brisbane, i Major Leagues fanno oggi il loro vero esordio con questo EP lungo, Dream States, che colpisce immediatamente per qualità e freschezza. L'iniziale movimentata Raymond Carver, jangly e leggermente obliqua, fa pensare immediatamente ad altri gruppi australiani, dai Go-Betweens agli Allo Darlin'. Ma è con il singolo Someone Sometime che le cose cominciano a farsi davvero interessanti, con una squadrata linea di basso ed una chitarra mesmerica che ci accompagnano lungo 4 minuti di noise-pop in crescendo davvero esaltanti, un po' alla Eternal Summers. Gli altri quattro pezzi del lotto volano sempre alto, dall'altro singolo Better Off, ruvido e orecchiabile, alle splendide dinamiche di Leave, l'altro gioiellino dell'EP, che echeggia lo stile dei Fear Of Men, fino alle leggere pennellate chitarristiche alla My Bloody Valentine di Get Lost e agli ampi scenari di Bumbury




11 aprile 2016

Japanese Breakfast - Psychopomp [ALBUM Review]

Nella religione degli antichi greci, lo "psicopompo" era una divinità che accompagnava le anime dei morti nell'oltretomba. Michelle Zauner, la musicista che sta dietro il progetto Japanese Breakfast (ed anche alla band Little Big League), ha in effetti costruito il suo Psychopomp come una sorta di concept album dedicato alla recente perdita di sua madre. Al di là delle premesse (e delle liriche, frutto di una inquieta introversione), la musica della Zauner possiede un'energia melodica decisamente straniante visto il soggetto, viaggiando negli stessi territori cantautorali, obliqui ed immediati al tempo stesso, di una Waxahatchee o della Cat Power migliore.  
Le 9 canzoni dell'album tracciano un percorso dall'evidente funzione catartica, dall'iniziale complessa In Heaven, con la sua atmosferica e spiraliforme stratificazione strumentale quasi shoegaze tenuta insieme da una melodia insolitamente catchy, fino alle dilatazioni emotive di Triple 7. In mezzo si alternano episodi di ruvida dolcezza come Rugged Country e dichiaratamente pop come Everybody Wants To Love You, elegie disturbate come l'inafferrabile Jane Cum e preziosi florilegi indie-rock come Heft, con la spontaneità vocale della Zauner come onnipresente marchio distintivo. 
Si tratta in fondo solo di un piccolo disco (25 minuti in tutto), ma la critica americana lo sta già incensando. A ragione. 



09 aprile 2016

Marlovers - Waves [ALBUM REVIEW]

Devota ad ogni forma di indie-pop e basata in quel di Seattle, la Jigsaw Records è una di quelle piccole etichette americane che sembra divertirsi un mondo nel crearsi un roster di artisti provenienti dai luoghi più disparati del mondo. E così non c'è da meravigliarsi che i Marlovers, che sono di Mallorca, facciano uscire il loro nuovo album Waves con una label situata praticamente dall'altra parte del globo. 
Il quartetto spagnolo, in giro da almeno un decennio e figlio di una scena pop alternativa che è seconda forse solo a quelle anglo-sassoni, suona un guitar-pop totalmente solare e melodico, sorridente e upbeat, nostalgico dei sixties come potevano essere una volta i primi Cardigans e oggi i Seapony, molto scandinavo (tra Alpaca Sports e The Sun Days) nell'amore incondizionato per la leggerezza dei suoni e dei ritornelli, sfacciatamente orecchiabile nella sua entusiastica ricerca della perfetta three minute song, con in più quell'aria esotica offerta dall'evidente accento di Marina Mullor. 
Le dodici canzoni di Waves (I Hate su tutte, per il delizioso contrasto fra l'effervescenza catchy e le liriche) sorprendono in definitiva per la loro coinvolgente carica vitale e sembrano stare lì a ricordarci che la musica pop serve (anche e soprattutto) a mettere di buon umore chi la ascolta. 



06 aprile 2016

Burglary Years - 100 Roses [ALBUM REVIEW]

Chiamare la propria band con il titolo di un album di Morrissey, come hanno fatto i bostoniani Burglary Years, sembra una chiara dichiarazione di intenti dal punto di vista musicale. In effetti il gruppo americano - che circola nella scena alternativa della propria città da anni - non sarebbe il primo a impostare il proprio stile sull'esempio dei maestri Smiths, che bene o male per tutta la scena indie-pop di qua e di là dall'Atlantico sono dei padri venerabili. 
In verità ascoltando 100 Roses, che è il loro disco di debutto (uscito nel 2015 ma ristampato in cassetta di recente - sì, va di moda - da Disposable America), la profonda impronta del gruppo mancuniano è evidente, dal modo di cantare del frontman Greg Cook alle onnipresenti trine chitarristiche, senza contare l'aura di colto romanticismo che pervade l'intero album. 
Considerando l'indubbia bravura dei Burglary Years nel confezionare canzoni di limpido equilibrio indie-pop, potrebbe anche bastare per un giudizio più che lusinghiero. Ma c'è di più, perchè i Nostri sembrano innestare felicemente sulle radici smithsiane della loro proposta i germi inquieti di altri modelli coevi, dai Cure ai Jesus & Mary Chain, tanto che il poderoso singolo Ghostwriter (e non solo) sviluppa passaggio dopo passaggio un potenziale elettrico che potrebbe sembrare familiare ai fans dei Pains Of Beeing Pure At Heart.

Bandcamp: https://burglaryyears.bandcamp.com/



04 aprile 2016

Fear Of Men - Island [SINGLE]

Fall Forever, opera seconda (terza se contiamo la raccolta Early Fragments) dei Fear Of Men, è per molti appassionati di indie pop - me compreso - l'album più atteso dell'anno. Purtroppo bisognerà aspettare fino al 29 maggio per scoprire se le nuove canzoni (delle quali si vocifera che siano il frutto di un lavoro maniacale in studio nella natia Brighton durato per quasi due anni) saranno all'altezza di quelle del formidabile Loom.
Nel frattempo possiamo fare qualche ipotesi ascoltando il nuovo singolo Island, che ci fa immergere nel suono liquido, ipnotico, levigatissimo e apparentemente algido che è il segno distintivo della band di Jessica Weiss. In definitiva il pezzo sembra mettersi con rinnovata classe sulla scia delle cose migliori del vecchio disco.

Bandcamp: https://fearofmen.bandcamp.com/


02 aprile 2016

Sunflower Bean - Human Ceremony [ALBUM REVIEW]



Ho scoperto dell’esistenza dei Sunflower Bean guardando per la prima volta il bizzarro e inquietante video di Easier Said, dove la diafana Julia Cumming viaggia in moto in un paesaggio invernale, poi si fa abbracciare da una specie di angelo della morte e infine balla con un abitino improbabile davanti ad un falò con gli altri due Sunflower che le fanno corona (il chitarrista sembra uscito dalla copertina di Blonde On Blonde!) . Al di là dell’aspetto visivo – che è straniante e funziona – è l’enorme fascino della canzone che mi ha subito colpito, con il suo torrenziale jingle jangle di chitarra e la sua atmosfera mesmerica e cantabile allo stesso tempo.
Human Ceremony, che è il disco di debutto di questi ventenni di Brooklyn, è senz’altro di più della sola Easier Said, o forse di meno, per chi si aspettava un album interamente votato alle leggerezze atmosferiche del guitar pop (in questo blog in genere si parla di questo). In verità i Nostri sembrano pescare a piene mani soprattutto nello psich rock anni ’70, dividendosi tra momenti più veloci e aggressivi (il nuovo singolo Wall Watcher ad esempio, o la potente 2013) ed altri più dilatati (l'elegantissima e sensuale Human Ceremony che apre il disco), mantenendo come costanti caratterizzanti la morbidezza delle voci (di Julia e Nick Kivlen), la ripetizione ipnotica delle liriche ed una cura davvero apprezzabile dei particolari, il che mi fa pensare che i ragazzi abbiano non solo doti tecniche e compositive notevoli, ma anche una cultura musicale retro vasta e diversificata.  
Non tutto mi convince a pieno, ma sono veramente bravi.

Bandcamp: https://sunflowerbean.bandcamp.com/


01 aprile 2016

Mitski - Your Best American Girl [SINGLE]

Mitski Miyawaki non è una novellina nella scena alternativa newyorkese (qualcuno forse - ma non credo molti - si era accorto di Bury Me At Makeout Creek, album decisamente irrisolto datato 2014) e più o meno dagli esordi ha impostato il suo stile su un songwriting essenziale con radici folk e vigorosi muri di chitarra elettrica, in un territorio obliquo tra lo sperimentalismo di Waxahatchee e l'esuberanza indie di Laura Stevenson (giusto per citare due ex compagne di etichetta). 
Con un contratto nuovo nuovo con la potente Dead Oceans e un album in rampa di lancio (Puberty 2 esce in giugno), Mitski non ha resistito a far uscire il suo nuovo singolo con ampio anticipo. E Your Best American Girl  in effetti potrebbe essere per la musicista di New York un punto di svolta trattandosi - a mio parere - della canzone più potente dell'anno in corso, per l'immediatezza emotiva e per la forza poetica delle liriche. 

If I could, I'd be a little spoon 
And kiss your fingers forever more 
But big spoon, you have so much to do 
And I have nothing ahead of me 
You're the sun, you've never seen the night 
But you hear its song from the morning birds 
But I'm not the moon, I'm not even a star 
But awake at night I'll be singing to the birds 
Don't wait for me, I can't go 

Your mother wouldn’t approve
Of how my mother raised me
But I do, I think I do
And you’re an all-American boy
I guess I couldn’t help trying to be your best American girl