20 gennaio 2024

PIETRE MILIARI: Night Flowers - Eleven Songs [2017]

In questa pagina mi occupo di indie pop nelle sue diverse declinazioni. Da oggi comincia una rubrica (mensile, più o meno), in cui tiro giù dallo scaffale e riascolto insieme a voi gli album che ritengo abbiano svolto un ruolo fondamentale nel genere che amo. 

Eleven Songs, diciamolo subito, non è nemmeno un album. E' - o meglio era - una cassetta che i Night Flowers avevano deciso di vendere al pubblico dei loro concerti e che è stata digitalizzata e resa disponibile su Bandcamp nel 2017. Insomma, è sostanzialmente una raccolta di canzoni uscite come singoli, lati A e B, a partire dal 2013.

Nel 2017 i Night Flowers erano davvero quello che si dice una band di belle speranze: il gruppo basato a Londra aveva finalmente trovato la quadratura con l'ingresso della cantante Sophia Pettit e Wild Notion, il vero album d'esordio, era in rampa di lancio (uscirà nell'aprile 2018). Nell'anno precedente i nostri avevano attirato l'attenzione degli appassionati sfornando una canzone dietro l'altra, mostrando un talento ed una forza espressiva davvero fuori dall'ordinario che stava fra dream e power pop: un mix di miele ed elettricità che raramente in altre band si erano fusi insieme con una tale perfezione. 

Le undici canzoni della raccolta sono esattamente la fotografia dei Night Flowers in quel momento magico. Un momento - e quindi una generosa manciata di pezzi - in cui Chris Hardy, Greg Ullyart, Zebedee Butworth, Paul Beal e Sophia Pettit (appena subentrata a Hester Ullyart, come abbiamo detto) sembravano avere toccato un ideale Zenith del genere a cui erano devoti, mettendo insieme con un solo sguardo lo shoegaze e i Pains Of Boeing Pure At Heart, le Lush e gli Alvvays, i Ride e i Teenage Fanclub, con un tocco di ingenua e sorridente dolcezza che li rendeva subito riconoscibili. 

Glow In The Dark, il pezzo che apre la collezione, è la cartina di tornasole stilistica dei Night Flowers: le due chitarre che dialogano, avvolgono e poi salgono in un crescendo di terea morbidezza; la voce di Sophia così soffice e gentile; la melodia di delicata immediatezza. E' la via dei Night Flowers al dream pop - deliberata catchyness, romanticismo post adolescenziale nelle liriche, chitarre vibranti ma mai aggressive, synth usati con discrezione, ritmi midtempo, enfasi sulla vocalità non certo prorompente ma perfettamente adeguata al contesto della Pettit, sottolineata dai cori di Greg Ullyart (che ogni tanto - da autore dei pezzi - si prende pure il centro della scena, come farà in Chaser, per esempio). Pezzi come Amy o Sitting Pretty testimoniano il fatto che la ricerca della perfect pop song da parte dei Night Flowers era già in fase molto avanzata: funzionano, tutti, sempre. 

L'entusiasmo della band appare in trasparenza quasi in ogni episodio del disco, con un apice evidente in una canzone come Sleep che è, detto semplicemente, il capolavoro dei Night Flowers ed uno dei pezzi dream pop più memorabili di sempre. Un'architettura aerea in costante crescendo che esalta al grado massimo tutti i meccanismi che dicevamo poco fa, con le due chitarre che al contempo accarezzano scampenellando (quella di Hardy)  e sferzano di elettricità (quella di Ullyart) attorno a una linea melodica così luminosa e rotonda da sembrare quasi irreale, che si libera e si libra sempre di più verso la scintillante coda di cometa finale. 

Ovvio, bisogna ammetterlo, che una band che agli esordi appariva già così straordinariamente inquadrata e definita, sarebbe andata incontro ad un futuro non facile, visto che chi se n'era innamorato al primo ascolto avrebbe confrontato per forza di cose il materiale nuovo con quello irripetibile dei primi singoli. 

I due album che sono seguiti hanno senz'altro confermato la bontà e la qualità del progetto Night Flowers (specialmente il primo, il più ambizioso), ma non potevano contare su una Sleep al loro interno, e nella marea di dischi nuovi che escono ogni anno si sono un po' persi. 

E si sono persi anche i Night Flowers: con l'eccezione di Ullyart, che abbiamo ritorvato ospite di altri progetti, gli altri membri del gruppo sono apparentemente tornati alle loro faccende personali. Una piccola storia indie - nemmeno particolarmente originale - tra tante storie indie, in cui i protagonisti un po' alla volta spariscono dalla scena e lasciano il raccolto di ciò che hanno seminato ad altri. 

Resta il fatto bizzarro che il miglior album della band è - ma è giusto così - un non album, a raccontarci forse anche simbolicamente come la musica che amiamo sia soprattutto fatta di canzoni. 


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