Quando, cinque anni or sono, uscì l'album d'esordio degli svedesi Hater, You Tried, tutti si meravigliarono di quanta maturità ci fosse nella scrittura e nel suono di una band che in realtà non aveva pubblicato quasi nulla in precedenza. Il secondo disco Siesta, uscito esattamente un anno dopo, aveva reso evidente l'ambizione della band di Caroline Landahl di non farsi inquadrare tout court come dream pop, complicando la trama post punk dei propri riferimenti stilistici e producendo un album non immediato come al debutto, ma senz'altro impressionante.
Da allora il quartetto di Malmo ha rallentato in modo brusco, riaffiorando in sostanza solo nel '21 con lo splendido, liquido, denso, ipnotico, avvolgente singolo Bad Luck, che è sicuramente il pezzo forte di questo Sincere. A che punto sono gli Hater oggi? L'impressione, ascoltando con attenzione i nove episodi dell'album, è quello di una band che conserva intatto quel talento bruciante che avevamo amato fin da subito, e che al contempo lavora sempre di più sulle sfumature e sulla qualità di quella scrittura che, come dicevamo prima, è il grande plus degli svedesi, senza inseguire alcuna idea di immediatezza.
Non c'è infatti un pezzo realmente catchy in Sincere: l'atmosfera è notturna ovunque, a tratti capace di qualche timida e vagamente algida carezza (il ritornello inaspettato di I'm Yours Baby, l'invernale catartica malinconia di Proven Wrong), quasi sempre gentilmente ruvida (Something). Gli inserti strumentali più eclettici che costellavano il disco precedente, qui scompaiono in favore di chitarre spesso taglienti, acide e sature (Brave Blood), che sembrano davvero risalire alla fonte primaria dei Joy Division (Far From A Mind, per dire) e che finiscono per essere la vera intelaiatura, talvolta centrifuga, di ogni canzone (Summers Turn To Heartburns). La voce di Caroline, al centro, cuce il tutto con la consueta dose di personalità, in grado di essere accorata senza bisogno di alzare un solo tono. I tempi spesso si allungano. Stilemi dream / shoegaze affiorano di rado, giusto nella conclusiva Slowdiveiana Hopes High. E, pezzo dopo pezzo, emerge con forza la bravura degli Hater di tirare fuori da un rigore quasi geometrico degli squarci di luce e scintille (Renew, Reject), un po' come i Fear Of Men o, per restare in Svezia, i più impetuosi Makthaverskan.
Album davvero non facile, ma da non perdere.
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