01 maggio 2022

Crystal Eyes - The Sweetness Restored ALBUM REVIEW

Più un collettivo che una vera e propria band, i canadesi Crystal Eyes sono una delle nuove band della scena indie pop più strane e affascinanti del momento. 

The Sweetness Restored - il titolo viene da una canzone del connazionale Leonard Cohen - è il secondo album del gruppo guidato da Erin Jenkins ed è in verità un'eclettica antologia di cose piuttosto disparate che, da un lato, ha il merito di uscire con decisione dai canoni del genere (l'etichetta dream pop viene usata in verità dalla stampa con troppa nonchalance: non è dream pop questo) e dall'altro ha un effetto piacevolmente straniante e disorientante (i sei psichedelici minuti di I Still Believe In Love rappresentano bene il versante bizzarro dei Crystal Eyes). 

Nei nove episodi dell'album c'è un variopinto frullato multivitaminico e leggermente alcolico dove memorie diverse si alternano e sovrappongono con uno spirito leggero e disincantato che a me ricorda molto quello dei B52s: un po' di New Order, un po' di Jesus & Mary Chain, un po' di profumi sixties, un po' di Bangles, un po' di Liz Phair e un po' Lana del Rey, e poi profusioni di synth anni ottanta e organo Hammond, chitarre post punk e qualche brezza di riverberi, archi, salti di tempo e ritmi dispari. Cose difficilmente abbinabili in genere, ma che qui non so perchè funzionano sempre. 

L'impressione con i Crystal Eyes è spesso di avere davanti una creatura inafferrabile da cui non sai mai cosa aspettarti, e poi però c'è - quasi sempre e in alcuni pezzi in modo super efficace (Wishes e A Dream I Had i miei favoriti) - uno spirito che è più catchy e trascinante che freddo e sperimentale, come ci si potrebbe attendere da dei musicisti che scelgono programmaticamente di percorrere strade fuori dagli schemi. 

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