Senza
dubbio fare musica deve essere una faccenda seria per l'australiana Nat
Vazer, se è vero che un paio d'anni fa ha abbandonato il suo
praticantato come avvocato nella natia Melbourne per scrivere e suonare.
Trasferitasi per un po' in Canada e poi ritornata a casa, esordisce
oggi con un album a dir poco convincente.
Nat
appartiene, direi, alla ormai vasta categoria di cantautrici indie con
la chitarra elettrica a tracolla. Categoria ormai talmente nutrita che
emergere sulla massa non è per nulla facile. Quali sono allora le frecce
all'arco dell'australiana? Innanzitutto la voce - chiara, morbida,
educata - e poi una limpidezza di scrittura che forse non possiede
ancora una personalità travolgente ma sicuramente ha dalla sua un
naturale equilibrio e, passatemi il termine ma mi sembra adatto, "buon
gusto", frutto evidentemente di ascolti che sono passati per forza dai
primi Radioehead (Grateful lo denuncia con spontaneità).
Le
nove canzoni del disco scorrono con ricercata leggerezza, trovano
sempre il loro dinamismo ma si fermano sempre poco prima di diventare
troppo ruvide ed elettriche e puntano sempre ad una rotonda piacevolezza
catchy che tante colleghe rifuggono perchè "poco indie". In una
parola, per quanto abusata, sono belle. Nell'estetica quanto nella
sostanza e nell'intenzione.
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