14 maggio 2022

Say Sue Me - The Last Thing Left ALBUM REVIEW

Nel 2018 Where We Were Together (che era il loro secondo album) aveva messo i razzi alla carriera dei Say Sue Me, sparandoli dritti nella stratosfera delle "grandi band indie" e lanciandoli in un tour mondiale che ha consolidato senz'altro la loro fama.

Tutto più che meritato, specialmente per una band che non viene certo da Brooklyn o Glasgow, ma da quella bizzarra, vivace e lontana periferia orientale innamorata di tutto quello che è occidentale che è la Corea del Sud. 

All'epoca quello che ci colpì del gruppo di Busan era la sua attitudine al contempo onnivora, formalmente elegante e pure terribilmente concreta nello sfornare gemme indie pop che all'indie pop, quello originario, sembravano essersi abbeverate fino all'ultima goccia. 

Nei quattro anni successivi i Say Sue Me non si sono certo fermati, nonostante il dolore per la morte del primo batterista Kang Semin e la lunga interruzione pandemica: hanno anzi preparato con la consueta cura autarchica il loro ritorno, che ovviamente è uno dei più attesi del 2022. 

Che cosa c'è di nuovo allora nella musica della band coreana? Iniziamo prima da ciò che rimane immutato più o meno dagli esordi, cioè quella capacità di creare leggerezza a partire da trame di chitarre jangly, luminosi riverberi elettrici e melodie che sono freschissime e retro al tempo stesso: Around You e No Real Place sono in questo senso l'esempio perfetto dello stile Say Sue Me, che per molti versi ricorda l'intelligenza catchy degli Alvvays e la forza gentile dei The Pains Of Beeing Pure At Heart, e spiega bene quanto si possa essere efficaci restando essenziali. E c'è, come sempre, molto altro: soprattutto quell'"essere pop" che in pezzi come We Look Alike davvero esprime un'eleganza atemporale e trova nel lavoro alle chitarre e nella scrittura di Byungkyu Kim un moltiplicatore formidabile. 

La vera differenza rispetto al passato sta in pezzi come l'iniziale The Memory Of The Time (strumentale e cinematografico, intriso di una morbida malinconia) e la straordinaria To Dream, cuore pulsante dell'intero album, un caldo abbraccio di chitarre dream pop che si stratificano l'una sull'altra e si sfaldano a poco a poco, dove la voce di Sumi Choi si abbandona ad una fragile delicatezza e le liriche sono - caso unico per i Say Sue Me - in coreano. 

Ma qualcosa di nuovo c'è anche nella placida e sinuosa Photo Of You, sfavillante nel ritornello di un'aura sixties da girl group che non ti aspettavi, elettricità e lustrini, e una Sumi Choi mai così determinata. 

In definitiva sembra che i vari episodi del disco siano stati disposti in una sorta di climax a tracciare  un'evoluzione stilistica della band, e The Last Thing Left, con la sua dinamica e sognante rotondità in grado di attraversare con una falcata d'entusiasmo Jesus & Mary Chain, lo shoegaze e il dream pop più immediato, appare sia come il vertice dell'album, che come una possibile strada da percorrere nel futuro (strada in fondo già aperta cinque anni fa da quel capolavoro che è Good For Some Reason).

Si può parlare, credo, di perfezione. La stessa che ritroviamo nei due numeri conclusivi: il quadretto acustico strappacuore Now I Say (ehi, un'altra cosa nuova!) - romanticismo puro, ma con l'equilibrio che solo una semplicità twee può dare, e infine la marcetta George & Janice, scritta apposta per celebrare il matrimonio di un amico, gioia pura e ottimismo a manate, che è esattamente quello di cui abbiamo tutti bisogno di questi tempi e che chiude il disco mettendo in chiaro che l'umore generale dei Say Sue Me di oggi è questo. Una scelta che pare promanare anche e soprattutto da una chimica di gruppo che i quattro di Busan, nel loro quasi decennio di unione artistica, hanno reso così solida e naturale da offrire costantemente a chi li ascolta l'idea della felicità che viene dal fare canzoni indie pop insieme, come antidoto alle mille routine di ogni giorno (guardate il video di No Real Place qui sotto per capire meglio cosa intendo). Un'idea che Sumi Choi e compagni trasmettono davvero da ogni singola nota che suonano, pur con la loro educata e sorridente timidezza.

Un grandissimo album da - ora lo possiamo dire con certezza assoluta - una delle migliori band indie pop che ci siano mondo oggi. 

 

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