Però certe scoperte, specialmente se tardive, sono in realtà sempre un grande regalo, perchè poi danno l'opportunità di ricostruire cosa c'era prima. Nel nostro caso, il gruppo guidato da Bridget Collins ha cominciato a suonare (a Brooklyn) almeno da dieci anni e, come dicevamo, ha diversi dischi all'attivo.
Walked In Te Garden, il pezzo che apre Mirror Maze, è l'esca a cui sono rimasto immediatamente invischiato: un incrocio formidabile fra il dream pop etereo alla Hazel English / Day Wave, l'algida dolcezza retrò dei Club 8 e l'avvolgente rigore jangly dei Fear Of Men. Un'intera tiepida marea di chitarre scampanellanti con al centro la voce di Bridget che è come una carezza.
Se Field Of Nothing ha l'aria leggerissima di tanto indie pop svedese (Acid House Kings, ...), con un delizioso contrasto fra la ritmica torrenziale e la morbidezza totale dell'intorno, I Didn't è l'altro pezzo davvero memorabile del lotto, più notturno nell'umore e con una chitarra languida che fa da contrappunto.
The Comet e Sweet Surprise poi ricordano le cose più delicate e dinamicamente mesmeriche dei Luxembourg Signal: l'eleganza ipnotica e la ricchezza dell'impasto sonoro indicano in effetti che la band di Beth Arzy è forse in definitiva quella che stilisticamente si avvicina di più al mondo degli Absolutely Yours.
L'intima ed eterea Fault Line e la soffusa purezza acustica sospesa nel tempo e nello spazio di The Graden chiudono un disco dalla bellezza sorprendente, fragile e complessa al tempo stesso.
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