C'è una canzone, nascosta proprio al centro del primo album dei Little Oso, che si intitola The Frogs Sing For No Reason ed è, nel suo genere, un piccolo delizioso capolavoro. Nascosta, perchè in tutta la prima parte del disco la band di Portland, Maine - che ha già in passato dimostrato di avere talento, misura ed un tocco di obliqua e intelligentissima delicatezza - suona sempre quasi in punta di piedi, con una morbidezza jangly apparentemente un po' svagata che difficilmente risulta davvero immediata.
I primi quattro pezzi dell'album servono allora soprattutto a familiarizzare con la voce di miele di Jeannette Berman, che possiede una risoluta tenerezza e si deposita sempre alla perfezione sulla trina di chitarre che le fluttua attorno.
Poi qualcosa nel disco cambia: la già citata canzone sulle rane - che in realtà è una bizzarra, geniale e onirica canzone d'amore - esplode con la spontanea naturalezza di cui sono capaci di solito soltanto i grandi dell'indie pop, centrando un ritornello che ti si appiccica addosso e ti rinfresca come una brezza primaverile.
E di seguito, che nemmeno te lo aspetti, arriva un altro gioiellino come Tendril Thougths, che ha questo pazzesco mix fra un'anima twee che sembra uscita dal catalogo della Sarah Records e un'ossatura elettrica, (quasi) vigorosa e decisamente catartica ("i won't disappear, ill be free, ill be free" grida Jeannette con una forza gentile che è commovente).
E non è finita, perchè con la successiva Other People's Lives i Little Oso puntano ancora più in alto, abbandonano ogni timidezza e sfoderano uno dei pezzi dream pop più emozionanti che si sentivano dai tempi dei Night Flowers, con un testo che costruisce ottimismo a partire dalla vita reale ("we could build a good life") e i pedali delle chitarre che aprono finalmente alle distorsioni. Con una pulizia di suono ed un dinamismo complessivo tra le parti che ha del miracoloso.
La cosa interessante è che dentro How Lucky To Be Somebody sembra davvero di leggere una sorta di climax emozionale, che a partire da una dimensione "da cameretta" esce a poco a poco all'aperto e si mette a correre respirando a pieni polmoni. E' senz'altro questa la via al dream pop dei quattro di Portland: una esperienza che esibisce chiaramente un lato intimistico e cantautorale (le liriche sono davvero sempre argute) e lo sublima a poco a poco verso un'elettricità libera e luminosa che guarda sempre in alto (con Stardust siamo dalle parti dei The Bue Herons) e allude pure senza paura ai Jesus & Mary Chain (la conclusiva Ruski's, dove sentiamo anche la voce di Ricky Lorenzo, è una piccola Just Like Honey).
Che dire di più? Difficile chiedere di più per chi è appassionato del genere. Siamo davanti ad un album di grandissima maturità, che cresce ascolto dopo ascolto proprio perchè si fa scoprire un poco alla volta. Un album che, un po' a sorpresa, proietta i Little Oso nell'Olimpo dell'indie pop di oggi.
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