03 settembre 2024

Sungaze - Sungaze ALBUM REVIEW

Le etichette di genere sono una delle operazioni più folli e divertenti per noi appassionati. Prendiamo una band come i Sungaze - di cui parliamo fra poco - che già nel nome contengono una chiara suggestione allo shoegaze. Che, come ben sappiamo, è un contenitore che può essere piccolissimo (solo le band originarie, non oltre il '92) o enorme (si aggiungono tutti i gruppi che traggono influenze rovistando nel contenitore piccolo). Nella loro pagina bandcamp, i Sungaze si appiccicano anche altri adesivi; tra gli altri: countrygaze, dreamgaze, groungegaze, dream pop, post shoegaze... E' davvero un gioco di scatole cinesi, ma in fondo tutto l'indie pop (ops, altra etichetta) che ascoltiamo è musica derivativa, quindi il gioco se condotto bene finisce per definire uno stile meglio di quanto possono fare tante recensioni.

Torniamo alla band di Cincinnati. Ian Hilvert e Ivory Snow, che sono marito e moglie, hanno fondato il gruppo qualche anno fa e, prima di questo album omonimo, ne hanno già pubblicati due. Che cosa suonano, beh, l'abbiamo già anticipato poco fa. Nell'ampio novero delle band che potremmo catalogare come dream pop, i Sungaze si sono ritagliati da anni un posto a parte: a un primo approccio potrebbero assomigliare un po' ai Bleach Lab o ai Wolf Alice (come loro sono levigati e scenografici), ma in definitiva fanno davvero qualcosa che nessun altro fa.  Innanzitutto il modo in cui prendono ispirazione dal canone del genere è decisamente fuori dagli schemi: le chitarre sono dense e sovrapposte come ci si aspetta, certo, ma più svettanti che liquide; i synth non sono mai preponderanti; e soprattutto la voce splendida e limpida di Ivory non funziona da strumento come shoegaze / dreampop vorrebbe, ma da motore ideale attorno a cui tutto gira (solo quando la traccia vocale è affidata a Ian torniamo in una dimensione più elettrica e onirica alla Ride). 

Se prendiamo un pezzo bellissimo e ipnotico come So Light, l'impressione è di essere più vicino ai Mazzy Star che agli Slowdive, ma l'insieme è comunque difficile da accostare veramente a qualcosa di già sentito.  E davanti (o meglio dentro) una canzone lunghissima e avvolgente come New Twang troviamo probabilmente l'impronta più perfetta dei Sungaze: l'anima profondamente folk e americana, l'eleganza quasi estenuata della produzione, l'ampiezza sconfinata dei paesaggi, la bellezza corrusca delle chitarre e la grazia infinita della voce. Stesso discorso che potremmo fare per una Freer That I Could Be, di morbida solennità o per la conclusiva World Won't Wait, intrisa di malinconico country, che ci riporta dalle parti dei Sun June.

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