Ciascuna a suo modo, tutte le band che suonano shoegaze sono un po' ( o tanto) ambiziose. È in fondo un correlato normale per un genere che ha l'obiettivo primario di descrivere attraverso il suono, oltre a quello di "intrattenere" (che è il fine del pop, se mi passate la semplificazione).
Gli Stomp Talk Modstone, che fin dagli esordi suonano shoegaze, non si sono mai sottratti a questa idea di ambizione. Non a caso il loro album precedente, Mew, uscito un paio d'anni fa, aveva già una dimensione a dir poco ingombrante e mescolava momenti d'intensa suggestione ed altri di sperimentazione più o meno rumoristica. Insomma, alcune cose magnifiche e tangenti al dream pop ed altre forse meno riuscite.
Negli ultimi tempi i cinque giapponesi hanno evidentemente lavorato sul coté più melodico della loro palette espressiva e sono arrivati oggi ad un secondo album, questo Pure Purple Pool, che non sottrae un'oncia alla magniloquenza di Mew ma, molto semplicemente, mette finalmente tutto a fuoco e impila una sopra l'altra venti canzoni (lunghe, come richiede il canone) a formare una impressionante architettura power dream pop di debordante forza comunicativa.
In fondo basta l'eccezionale infilata dei primi tre pezzi - Baby Sky, Hello New World e Drive: 12 minuti di dolce stordimento super catchy - per rendersi conto di quanto siano diventati bravi gli Stomp Talk Modstone a muoversi nel loro consueto orizzonte di chitarre sfrigolanti, synth zuccherosi e voci femminili di fatata morbidezza.
Ovvio che la lezione di Loveless è la base di tutto (in Sunflower, What We Want o One Way Ticket si sente eccome, e non solo qui), ma Takamitsu Kawashima e compagni hanno davvero costruito una loro strada personale che riesce a rendere "kawaii" anche i layers più distorti delle chitarre. È il loro trademark stilistico e infatti dentro le centrifughe e il rumore bianco in cui fluttuano molti pezzi c'è davvero sempre un cuore melodico di soffice delicatezza. Con in più qualche incursione in un electro pop quasi ballabile (Sup?/WYD) dove le chitarre si fanno sfondo a un interessante taglia e cuci di campionamenti (succede spesso, e a sorpresa, nella coda di molti episodi).
Resta, rispetto al passato, una sostanziale bipartizione nella proposta dei STM: da una parte l'anima più catchy ed ariosa, tra Flyying Colours e Churchhill Garden (è quella più riuscita: citiamo anche la piacevolezza floreale di Summer Bell, il power pop di sfrontata immediatezza di Ghost, l'aria twee pop di SPF/NeS, il brit pop oasisiano di Dislike Noise) e dall'altra quella più rigorosamente shoegaze, dove anche la dimensione si fa decisamente più ampia con pezzi che si dipanano verso durate "importanti".
In verità in questa Piscina di Puro Viola si può nuotare così a lungo che possiamo farci trascinare da correnti diverse, stare beatamente a galla a goderci la luce meridiana del sole o immergerci in profondità dense di mistero (Kill For Me sembra uscita dai Motorpsycho). Può rappresentare e anche un limite, se consideriamo che in due ore di musica si può anche rischiare di annegare, ma ritornando al discorso con cui abbiamo cominciato, è evidente come la band sia totalmente consapevole della propria ambizione da ritenere necessario ogni pilastro di questo castello di miele e distorsioni che ha pazientemente costruito. Come dar loro torto?
Nessun commento:
Posta un commento