22 marzo 2024

bedbug - pack your bags the sun is growing ALBUM REVIEW

La storia di Dylan Gamez Citron è molto "americana": di origini messicane, cresce nella periferia di New York, poi va a studiare a Boston alla Northwestern University - qui fonda il suo progetto bedbug (minuscola di rigore) - inizia quindi a lavorare come supplente a scuola, poi si trasferisce a Los Angeles dove ritrova la famiglia e vive facendo counselling. Tra un'attività e l'altra, l'attività musicale di Dylan è sempre stata più che altro una passione, tanto che i tre album precedenti a questo e marchiati bedbug erano sostanzialmente delle autoproduzioni casalinghe lo-fi, con una spruzzata di antifolk, una base di cantautorato indie di obliqua canonicità e una sferzata elettrica di garage pop. 
Pack your bags - titolo che sembra alludere al trasloco fra la Boston in cui a lungo ha vissuto e suonato e la nuova avventura californiana - è in verità il primo album di Dylan completamente registrato in uno studio e prodotto con una estesa cura dei particolari. Ed è un disco talmente bello, coinvolgente e poetico che, pur non essendo in realtà particolarmente tangente all'indie pop di cui ci occupiamo qui, sarebbe un delitto non parlarne.
Ascoltando le canzoni dei bedbug (c'è un band attorno a Gamez) la prima riflessione che viene in mente è quanto i Neutral Milk Hotel abbiano lasciato una scia lunga dietro il loro "Aeroplane over the Sea", visto che a quasi trent'anni di distanza quel mix di folk della tradizione, indie rock sghembo e torrenziale esigenza di racconto si ritrova in tanti artisti di oggi (ne citiamo uno: Kid Chamaleon, giusto per restare a Boston, anche nella sua seconda incarnazione chiamata fine.). Dylan Gamez Citron in fondo è l'ultimo di una lista lunga, ma ciò che colpisce, al di là di una originalità di ingredienti che non può né vuole esserci, è la sua capacità di scrittura così lirica e potente, che deve molto senz'altro al citato Jeff Mangum ma anche a Conor Oberst, a Waxahatchee, ai Death Cab For Cutie, ai Lemonheads, ai Sebadoh, a Sufjian Stevens, agli Sparklehorse e in definitiva all'universo indie dei '90. 
Le canzoni di bedbug sono insomma eredi di una tradizione, ma poi in definitiva possiedono una purezza originaria che vive e risplende di luce propria senza bisogno dei propri modelli. I dodici pezzi dell'album brillano di una delicatezza adorabilmente descrittiva, hanno un'anima acustica e programmaticamente stonata, ma nel loro parlare di stelle, autostrade, boschi in fiamme, trovano sempre un dinamismo incredibilmente a fuoco, perfettamente speculare al mood che comunicano, sempre suggestivo e cinematico nella loro (apparente) improvvisazione. Ma la successione stessa degli episodi, da The City Lights in giù, non ha in fondo così importanza: Pack your bags è nel suo complesso un album che va ascoltato come un unico ciondolante e vagamente ipnotico flusso di coscienza, un viaggio sia interiore che esteriore. 
Se vi piacciono gli artisti citati sopra, i bedbug sono il vostro nuovo gruppo preferito! 

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