Da sempre Turner interpreta in modo originale l'eredità indie pop di stampo C86 (chitarre jangly e sfrigolanti, totale economia di mezzi, ritmiche dritte e sovente uptempo, melodia intrisa di ironia, liriche torrenziali e ricche di jokes e citazioni, filosofia twee) e in verità i suoi pezzi hanno spesso assunto l'aspetto di sketches di un minuto o poco più, giusto il tempo di una strofa ed un ritornello killer e sotto con un altro.
Nelle ultime uscite però The Photocopies hanno però aggiunto ingrediente dopo ingrediente alla già funzionale formula del loro guitar pop, parallelamente ai colori sgargianti che hanno invaso le loro copertine. Se nel precedente album Top Of The Pops l'idea della one minute pop song aveva toccato una perfezione programmatica non ripetibile, in questo Unprofessional Conduct quasi tutte le canzoni assumono una dimensione che è, diciamo, maggiormente canonica, compiuta e distesa, facendo pensare non più ad un variopinto giocattolo piacevole e pure un po' troppo intellettuale, ma a un'idea di indie pop che saccheggia un'intera tradizione e si avvicina in molti episodi ai primi Teenage Fanclub o persino alle cose più rock e ritmate dei Belle & Sebastian (sentite There Is No Us Anymore e ditemi se non ho ragione).
Canzoni contagiose e super catchy come Doing It For The Kids, Divine Intervention, Think About It All The Time, We're Not Photocopies (lo dichiaro: è il mio pezzo preferito di tutto il suo catalogo) potrebbero sembrare un punto di arrivo nel prolifico e per certi versi miracoloso songwriting di Sean Turner, visto che ne conservano lo spirito di ruvida immediatezza distendendolo su una tavolozza più ampia e tridimensionale, con un utilizzo del synth oltre alle chitarre. Ma poi da un artista inarrestabile e originale come lui ci aspettiamo che nel prossimo album (che sarà come minimo un quadruplo concept ed uscirà fra due settimane) cambierà tutto un'altra volta. E comunque vada sarà un successo.
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