Il secondo album di Bathe Alone arriva due anni dopo un esordio che aveva introdotto con entusiasmo la musicista di Atlanta ai piani alti della scena dream pop, forte anzi di un'adesione al genere che era programmaticamente dichiarata.
Crone ha speso gli ultimi due anni a lavorare con spirito libero e ambizioso alle sue nuove canzoni, senza abbandonare il tocco di delicata distesa morbidezza con cui l'abbiamo conosciuta, ma insistendo maggiormente su un cesello produttivo (insieme a Damon Moon, coautore di tutto) che va alla ricerca di una rotondità e pienezza di suono di raffinata precisione.
L'impasto sonoro di ogni pezzo è evidentemente ottenuto con una sapiente operazione di stratificazione, dove chitarre, synth, voce e manipolazione digitale convergono con una elegante naturalezza verso un risultato che deve smuovere emotivamente. Se agli esordi le canzoni di Bathe Alone ci avevano un po' ricordato Hazel English, oggi - se dovessimo fare un nome - citeremmo probabilmente le ultime cose di Hatchie.
L'architettura spiraliforme di pezzi come Missionary Ridge, che è la vetta del doppio ep, rivela in tutta la sua forza la capacità di Bathe Alone di creare soundscapes suggestive ed avvolgenti, apparentemente un po' algide ma in realtà intessute di una intima malinconia.
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