07 aprile 2022

Camp Cope - Running With The Hurricane ALBUM REVIEW

Dopo l'uscita di How To Socialize & Make Friends, che risale al 2018, sono successe parecchie cose nella vita di tutti. In quella di una band arrivata già all'apice del successo di critica e pubblico come le Camp Cope, la pandemia è arrivata a imporre uno iato poderoso e forse salutare. Georgia Maq è tornata per un paio d'anni a fare il suo mestiere "vero" oltre la musica, ovvero l'infermiera, e quando ha ripreso gli strumenti in mano insieme a Kelly e Sarah, ha scoperto che le Camp Cope erano più vive che mai, ma che al contempo dovevano evolvere.

Dagli esordi - giocati decisamente in un campo indie venato di emo-punk, essenziale, melodico e aggressivo al tempo stesso, incazzato contro la diffusa e ahimè troppo tollerata misoginia - fino ad oggi, la band non sembra la stessa, eppure lo è. E allora appare chiaro come il meraviglioso secondo album che dicevamo, fosse davvero uno snodo di passaggio per le tre ragazze australiane, un ponte verso un mondo che oggi ruota ancora attorno alla triade basso chitarra batteria ma lo fa allargando quasi sempre lo sguardo, rallentando i tempi, dilatando le canzoni, studiando strutture in crescendo, rivestendole di eleganza misurata e virando verso uno stile in cui si intravede, nel fondo, un solido retroterra folk rock "classico". E' la medesima strada percorsa da Waxahatchee, se ci pensate, e sicuramente - pur sacrificando in parte quella rabbia comunicativa di immediata forza - è una strada che potremmo anche chiamare semplicemente "maturazione". Ed è un po' l'area d'azione di un'altra band a trazione femminile che ha ormai schiere di adoratori ovunque come i Big Thief. 

Le canzoni ci sono, in Running With The Hurricane: potentemente rotonde, delicate e penetranti come sempre, oggi più lavorate che in passato, come è giusto che sia. E c'è, sempre più dirompente, trascinante, spettacolare, la voce di Georgia Maq, che delle Camp Cope è davvero il motore attorno a cui tutto gira come un ingranaggio perfetto. In pezzi come Blue, o The Mountain, o The Screaming Planet (giusto per citare tre numeri fra loro piuttosto diversi) è contenuta una tonnellata di storia di cantautorato presente e passato, che si mescola e scalpita ed esce dalla gola miracolosa di Georgia con una naturalezza ed un'onestà che pochi possono vantare. 

Un album che forse non piacerà a tutti quelli che si erano innamorati delle tre di Melbourne già al loro debutto, ma che è indubbiamente un'opera importante, formalmente ineccepibile, di grande fascino e scabra raffinatezza. 

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