08 ottobre 2021

Semihelix - Recoil ALBUM REVIEW

Recoil, l'album di debutto dei texani Semihelix, ha una genesi lenta e ormai abbastanza lontana nel tempo: molte delle dieci canzoni erano in effetti già state pubblicate come singoli due anni fa ( e scritte senz'altro ancora prima), e tutta la produzione risale all'era pre-covid. Come a suggerire che la bontà di un prodotto musicale non sta necessariamente nella sua urgenza, ma nel modo in cui decanta e si deposita nel tempo, con tutta la calma che si concederebbe ad un vino di classe.

A giudicare dal risultato, il trio guidato dalla cantante e chitarrista Geannie Friedman ha fatto la scelta più saggia e ponderata: non c'è alcuno degli episodi dell'album che non possieda da una parte una sua meditata profondità narrativa, e dall'altra uno scabro nitore formale che testimonia un lavoro di cesello  paziente e intelligente.

Il guitar pop dei Semihelix fa scaturire un'immediatezza melodica di crepuscolare delicatezza ed essenziale programmaticità (non sentirete nulla più di chitarra, basso, batteria e voce) da un retroterra che sembra venire poco dal mondo dream pop - per quanto l'etichetta assegnata sembra essere questa - e molto di più da una dimensione cantautorale e garage pop (mi sembra che un pezzo rotondo come Only Bluff lo dica con onesta chiarezza). 

Al di là delle disquisizioni di genere, resta il fatto prepotente che le canzoni del trio di Austin possiedono quasi ovunque un tiro di micidiale efficacia, sia quando accelerano (TranslucentWill It Take ad esempio) che quando rallentano (la morbida scenografia di New Destination). E, in alcuni momenti, possiedono il tagliente e ipnotico rigore umanistico di una band come i Fear Of Men (Only To Go On) e si perdono volentieri lungo strade vagamente psichedeliche che non dispiacerebbero agli ultimi Alvvays (Recoil). 

Senza dubbio uno degli album indispensabili di questo 2021!

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