Il difficile secondo album. È un cliché della critica musicale da sempre, e come tutti i clichés ha un fondo di verità sotto una patina di puro chiacchiericcio.
Per i Beths il secondo disco arriva dopo un debutto che era letteralmente una bomba atomica deflagrata nella scena indie mondiale: Future Me Hates Me era una antologia di pezzi talmente intelligenti, orecchiabili, coinvolgenti, gioiosi e potenti da sembrare quasi impossibile che questi quattro sorridenti ventenni neozelandesi riuscissero a suonare così perfetti.
Beth Stokes e i suoi compagni hanno giustamente lasciato decantare l'effetto sororesa del debutto per un po', ma si vede lontano un miglio che amano troppo quello che fanno per temporeggiare oltre.
L'attesa da fuori era forse quella di un Future Me Hates Me 2, ma i Beths hanno provato a percorrere strade leggermente diverse dal passato. Va bene, I'm Not Getting Excited ha il tiro garage pop che conosciamo, e quando ci esaltiamo per le dinamiche di Dying To Believe ecco che ci viene da imcollare subito il bollino di qualità "100% The Beths".
Poi però c'è questa ballata quasi dream pop, Jump Rope Gazers, che è una canzone d'amore di spontanea sincerità (ed evidente autobiografismo) che vira verso uno stile che è decisamente più consono agli Alvvays. E si capisce che i nostri ci tengono a farci capire che vogliono procedere in questa direzione, limando un po' l'elettricità e il profluvio di coretti che li ha da subito contraddistinti, per lavorare su suoni più levigati e vari. Resta ovviamente l'approccio power e catchy di sempre, ci mancherebbe, ma pezzi come Acrid, Out Of Sight, You Are A Beam Of Light (una sognante carezza acustica da brividi) ci mostrano una maturazione evidente della band, in grado oggi di sfruttare il proprio portentoso talento con un ventaglio di soluzioni ancora più ricco, anche se forse meno esplosivo.
In ogni caso, un album di straordinaria bellezza da uno di quei rari gruppi che, se non ci fossero, bisognerebbe inventarli.
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