È il caso di questo (terzo) disco di Far Caspian, che è uscito in piena estate ma - credo sia il destino perché è musica ben poco estiva - per me apre idealmente l'autunno.
Joel Johnston, il polistrumentista e produttore irlandese che sta dietro al nome Far Caspian, è ben noto nell'ambiente indie britannico e con i suoi primi dischi ha riscosso una notevole attenzione critica, anche e soprattutto per la brillante e cristallina densità del suono che sa creare.
Definire la musica di Far Caspian con delle etichette non è semplicissimo in effetti. C'è qualcosa del dream pop di Day Wave (un altro produttore tuttofare), ma più notturno, scabro e malinconico. C'è un'aura indubbiamente cantautorale che sposa uno spirito inquieto e sperimentale e nasconde la voce in un mare sonoro di chitarre e synth. C'è un coté quasi catchy nella deliberata dolcezza degli eterei e liquidi paesaggi che Joel disegna. Ed in definitiva un atteggiamento che mette insieme magicamente una essenzialità assoluta e senza fronzoli ed una cura sonora che sfiora la perfezione maniacale (e non è un caso che Johnston volesse mollare tutto anche a causa di questa sua esigenza formale così difficile da gestire).
In Autofiction è concentrata tutto lo sforzo produttivo di un artista che vuole da un lato tradurre in pezzi (semplici, ossessivi, squadrati nello schema, immediati) il proprio inquieto mondo emotivo, e dall'altro dare loro una superficie di luccicante bellezza, senza indulgere ad alcun orpello strumentale (le chitarre intrecciate e sovrapposte dominano) né a ritornelli realmente "facili", che infatti non arrivano (volutamente) mai.
L'intero album allora si gioca in sapiente alternanza fra momenti più atmosferici e apertamente "costruiti" (l'iniziale Ditch ad esempio, in uno stile che può ricordare i Notwist; l'avvolgente The Sound Of Changing Place) ed altri in cui il ritmo che vira verso l'uptempo e una raffinata linearità melodica in crescendo portano nel dna una traccia di jangle pop che potrebbe ricordare Castlebeat (First Day, Laugh, la potentissima Here Is Now, il torrenziale e trascinante binomio An Outstreched Hand / Rain From Here To Kerry, l'affascinante fantasticheria dream pop ad occhi aperti di Autofiction). Con in coda un piccolo capolavoro come l'ampia e quasi mesmerica End, dove il lavoro di sovrapposizione dei layers nella scrittura/produzione di Joel appare in tutta la sua magistrale evidenza.
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