30 novembre 2024

Hamburger - Beat Back The Ghouls EP REVIEW


Gli Hamburger sono una band curiosa: vengono da Bristol (che è una piccola capitale indie da sempre, vedi Sarah Records) ma non assomigliano affatto all'indie bristoliano di cui parliamo da queste parti; hanno pubblicato un ep esattamente 4 anni fa (di cui all'epoca ci siamo follemente innamorati) e poi misteriosamente più nulla, scomparsi esattamente come erano apparsi, dentro una nebbiolina da prestigiatori; hanno scelto un nome talmente bizzarro per il loro gruppo che però alla fine ti si imprime in testa; non fanno uscire singoli né album, solo questi ep di cinque sei pezzi che escono all'improvviso calati da chissà dove...

All'epoca di Teenage Terrified, avevo descritto così i pezzi del loro esordio: divertenti e commoventi al tempo stesso, stralunati e indecifrabili, leggerissimi e tristissimi, splendenti di una clamorosa tenerezza, impastati di folk, indie e pop. 

Le stesse parole si possono spendere tranquillamente anche per i sei pezzi (che poi in sostanza sono 5) di questo Beat Back The Ghouls, che è tutto incentrato sull'idea del "mostro", dai ghoul del titolo a Frankenstein, ed inizia con il poderoso entusiasmante e fischiante muro di chitarre punk di Buffalo, davvero una cosa alla Hamburger, ibrida e irta di deliziosi contrasti, che potrebbe stare dalle parti di un "Belle & Sebastian incontrano The Smashing Punpkins". 

La forza degli Hamburger sta in effetti nella loro capacità di mischiare cose opposte: innanzitutto le voci (maschile, femminile, falsetto), ma soprattutto i mood sonori, dalla delicatezza di una trina jangly al tessuto grezzo e strappato di chitarre ispirate chiaramente all'indie dei '90, il tutto nell'arco della stessa canzone. 

E' il caso di Toothless, che apparentemente è l'episodio più morbidamente orecchiabile del lotto, ma al contempo ha - come sempre accade alle cose della band di Bristol - una tendenza centrifuga che riesce puntualmente a ricomporsi in un finale di scenografica bellezza, con un florilegio di armonie vocali e persino un assolo di elettrica. Applausi. 

Se poi prendiamo Uglie, il pezzo successivo, forse capiamo in modo definitivo che il vero modello stilistico degli Hamburger sono i mai abbastanza lodati Grandaddy. Una band che ha marchiato a fuoco l'indie di trent'anni fa mescolando - esattamente ciò che fanno i sei di Bristol - una estetica quasi twee, una mai celata tentazione psichedelica e soprattutto un'idea di guitar rock in grado di essere catchy e disturbante al tempo stesso, soffice e ruvidissimo e soprattutto suggestivo, obliquo ed emozionante. 

La tendenza ad allungare i pezzi, a dar loro delle architetture insieme complesse e squadrate, in effetti è esattamente quella. Così come la capacità innata di prendere il folk pop e di grattugiarlo facendo tutto il rumore possibile, che può ricordare da vicino la buon anima di Mark Linkous / Sparklehorse. Vedi la lunga, solenne, introspettiva Frankenstein, che si apre da copione un po' alla volta, prima timida e poi coloratissima, come un fiore nel deserto. O la brevissima e ficcante Rip, che chiude tutto come farebbero i punk gentili Me Rex o Fresh. 

Insomma, sono bravi gli Hamburger, terribilmente bravi. E a loro modo davvero unici. Tanto che viene veramente da domandarsi se le loro pubblicazioni così rare siano giustificate da una maniacale cura formale (che si percepisce, pure in un contesto lo-fi) o da chissà quale altra ragione personale. Fatto sta che, se Teenage Terrified ci aveva sorpresi e incantati, questo Beat Back The Ghouls ci conferma nell'impressione di trovarci davanti a dei fuoriclasse, che forse non sospettano nemmeno di esserlo. 

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