L'anno scorso abbiamo scoperto la voce di Federica Tassano nel disco di debutto del progetto Phantom Handshakes condiviso con Matt Sklar. Oggi la ritroviamo al centro di una band, i Sooner, nata a New York nel 2016, ma giunta soltanto adesso al proprio album d'esordio.
Stilisticamente siamo ancora dalle parti di un dream pop fatto di sole chitarre, scabro, essenziale e diretto (non ci sono synth e la produzione è davvero leggerissima) e al contempo molto raffinato nella scrittura e nella strutturazione di ogni pezzo.
Se lo statuto stesso del genere consiste nel creare un effetto emotivo utilizzando le atmosfere create dagli strumenti e dal loro impasto con la voce e le liriche, i Sooner lo fanno alla perfezione, sia quando spingono i propri passi su strade più crepuscolari, apertamente malinconiche e sottilmente inquiete (Persona, Kingdoms), sia quando la medesima malinconia si spalanca su paesaggi più catchy e alla fine luminosi e liberatori (Thursday e Pretend), sia quando la delicata sensibilità vocale di Federica emerge come protagonista assoluta (Blue, nella sua narrativa complessità forse il momento più "forte" del disco). I quattro di Brooklyn sono bravissimi a creare una sorta di percorso circolare dentro ogni pezzo, ama anche tra un episodio e l'altro, offrendo all'ascoltatore una suggestiva sensazione di immersione totale (l'eco, lontana, è quella del dream pop seminale dei Cocteau Twins o delle Lush). E non deve essere un caso se in Portrait troviamo addirittura le parole di una delle più celebri e toccanti poesie di Eugenio Montale - Federica Tassano è in fondo ligure come il grande poeta - a sottolineare che i confini artistici disegnati dai Sooner sono senz'altro ampi e ambiziosi.
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