Quanto ci vuole per innamorarsi di una canzone? Nel caso di Terrified, il pezzo che apre l'album di debutto dei Penelope Isles, a me è bastato il tempo delle prime quattro pennate di chitarra - la chitarra fresca e croccante che è il sangue stesso nelle vene dell'indie pop - prima ancora dell'entrata della sezione ritmica e della voce rotonda e gentile di Lily Wolter.
Penelope Isles, band dell'Isola di Man ma basata a Brighton, ruota attorno ai fratelli Jack e Lily Wolter e già da anni si fa le ossa praticando un guitar pop dalle radici lunghissime e dagli orizzonti decisamente ampi, che guarda con un filo di sorridente nostalgia ai colori e ai profumi dei Sixties dei girl groups e della psichedelia più potabile, ma lo fa con uno spirito che poi non è per nulla nostalgico e che passa per la tradizione del dream pop degli albori (vedi i Cocteau Twins, prendete Sailing Still ad esempio).
Molte cose colpiscono negli undici episodi di Which Way To Happy. Innanzitutto la capacità di mettere insieme una evidente ambizione sperimentale (penso a un pezzo come Iced Gems) con una sincera ricerca di immediatezza melodica che sfugge con risolutezza ad ogni tentativo di etichettatura di genere ("alt pop" risolveranno i recensori, senza risolvere nulla). E poi - ed è l'elemento più forte - la scelta stilistica di riempire a livello sonoro ogni singola piega delle canzoni con una pioggia estiva di strumenti e voci che si alternano e sovrappongono: chitarre morbide e/o affilate, delicate e/o distorte; archi avvolgenti e campanelli di ogni genere; synth eterei e pattern elettronici; cori di scenografica preponderanza. Un horror vacui che rischierebbe di diventare maniera se non fosse che sempre, al punto giusto dentro i 4 o 5 minuti di ogni pezzo, la dimensione orchestrale si infila nell'imbuto pop di un ritornello di più facile lettura e dà un senso perfetto a tutto.
Un album bello. Non facile.
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