Personalmente seguo Hatchie fin dal suo primo singolo, Try, che usciva esattamente due anni fa. L'amore di Harriette Pilbeam per i suoni degli anni '80 era evidente sin da allora, ed è indiscutibilmente il suo marchio di fabbrica.
L'EP uscito l'anno scorso, Sugar And Spice, non mi aveva convinto fino in fondo, pur avendo in apertura una gemma assoluta come Sure: le idee c'erano già tutte, così come la grande facilità di scrittura, ma la realizzazione mancava di spessore produttivo e si fermava a metà del guado, finendo per assomigliare agli Alvvays senza esserlo.
Ho aspettato il vero album di debutto Keepsake con l'entusiasmo del fan della primissima ora, e pure con un pizzico di scetticismo, ed oggi bisogna oggettivamente ammettere che la musicista di Brisbane ha fatto un salto in avanti pazzesco, sotto tutti i punti di vista.
I dieci episodi del disco hanno la dimensione ampia, la scintillante brillantezza, la colorata estetica del dream pop più luminoso e raffinato, ma hanno anche qualcosa di più movimentato ed ambizioso. Ci sono essenziali chitarre jangly, ma anche una ricca glassa di suoni elettronici vintage e overdubbing, ci sono soffici riverberi e melodie che partono timide e si liberano in ritornelli di ammiccante immediatezza, ci sono scie oniriche ma anche momenti ballabili (Kylie Minogue?) . E c'è la voce di Harriette che - tra tanti elementi di crescita - è quello che ha fatto il miglioramento più netto ed evidente.
Molti recensori finiranno per catalogare il tutto come '80s nostalgia, o qualcosa di simile, ma sarebbe davvero riduttivo, perchè se è vero che Keepsake è pieno zeppo di citazioni colte e/o spontanee a quegli stilemi pop, è altrettanto vero che Hatchie sembra avere trovato la sua cifra stilistica con una lucidità impressionante, muovendosi nel suo mondo sonoro con una sensualità tanto seducente quanto inattesa.
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