22 settembre 2016

Aüva - Aüva [ALBUM Review]

Non so perchè, ma mi piacciono molto le band che tentano di dare una definizione del proprio stile, magari in modo fantasioso (beh, sarà perchè così mi risparmiano il lavoro di etichettatura). Gli Aüva si auto-intestano come band di surfy psychedelic dream-pop. Traduciamo prima ancora di avere ascoltato la loro proposta musicale: chitarre scampanellanti, canzoni che amano qualche dilatazione, ricerca di atmosfericità sonora.
Ci siamo? Sì, decisamente. La band di Boston, Massachussets nel suo album di debutto non nasconde le proprie ambizioni e ha lavorato alla costruzione di un suono e di un mood generale che attualizzano in modo intelligente l'onda lunga del pop sixtie californiano (e non solo), reinventandolo in dieci raffinatissimi pezzi di brillante immediatezza.
Gli intrecci delle chitarre jangly sono onnipresenti, eleganti e tintinnanti come si deve. Ma il vero tratto distintivo degli Aüva è la complessa e levigatissima dimensione vocale del gruppo: le voci di Miette Hope, Jack Markwordt e Jake Levine si alternano, si mescolano, si fondono armonicamente in ogni canzone con una fluidità sorprendente, conferendo al tutto quel lato dreamy, sottilmente obliquo e sicuramente colto di cui si diceva sopra. Ne emergono canzoni di fascino potente: Ruby, Better, Impending Disaster (la mia preferita), Nothing Else, dove un denso dinamismo e una psichedelia notturna costruiscono trame complesse e sempre suggestive


 

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