28 dicembre 2022

(Just Another) Pop Song ALBUM OF THE YEAR 2022



12

Jeanines - Don't Wait For A Sign 

I tredici pezzi del secondo album di Alicia Jeanine e Jed Smith sono altrettante miniature,  perfettamente compiute nei loro due minuti di durata (o meno!), depositarie dello spirito artigianale dell'indie pop delle origini, twee nell'anima e deliberatamente retrò, adorabili in ogni scampanellio di chitarra e in ogni armonia vocale. 


11

Snow Coats - If It Wasn't Me I Would've Called It Funny

Tra tante band di "punk gentile" di oggi, gli Snow Coats sono quella che spinge di più sul pedale pop. Gli olandesi sanno come scrivere una canzone orecchiabile e sono sempre terribilmente efficaci. Il loro secondo disco è un notevole passo in avanti: una infilata di pezzi di energetica piacevolezza, dolci e frizzanti come una bibita ghiacciata nel caldo estivo. 


10

Roller Derby - Singles Collection

Con al centro dei riflettori una cantante, Philine Meyer, che sembra una Nico rinata in veste indie pop, i tedeschi Roller Derby ambiscono ad essere la band più raffinata dell'anno e ci riescono in pieno: grazie ad un afflato pop che parte dall'epoca dorata dei Sixties, attraversa paesaggi post punk ed arriva idealmente alla modernità degli Alvvays, la band piazza - come da titolo - una serie micidiale di singoli di irresistibile piacevolezza. 


9

No Suits In Miami - Nothing Ever Happens

Non può mancare la quota svedese nella lista dei dischi dell'anno. Quest'anno tocca alla band di Michelle Dzegoeva che, giunta al secondo album, conferma il fascino crepuscolare di un guitar pop che ama le ombre di inquietudine post punk, ma alla fine dà il meglio di sé nelle aperture di sognante gentilezza e di sfrigolante energia catchy. 


8

The Reds Pinks & Purples - Summer At Land's End + They Only Wanted Your Soul

Le colorate row houses di San Francisco, un profluvio di chitarre jangly e una fresca brezza di malinconia. La musica di Glenn Donaldson da sempre si muove su queste strade consuete, e lo fa con il tocco unico, tenero, a tratti disarmante, di un musicista che racconta la vita nelle proprie canzoni. Fra le tante uscite di quest'anno (è nota la inarrestabile prolificità di Glenn), due album che un po' si completano e che meritano di essere ascoltati insieme. 



7

Kindsight - Swedish Punk

L'esordio del quartetto danese è un mix esplosivo di leggerezza e raffinatezza, in nome di un guitar pop che ama tanto i ritmi uptempo quanto la morbidezza melodica e le tessiture jangly. Un po' primi Cardigans, un po' The Sundays, la band di Nina Hyldgaard Rasmussen non disdegna qualche soluzione inusuale nella scrittura dei pezzi e sovrappone delicatezza ed elettricità per ottenere una formula personale di suggestiva immediatezza. 


6

Ex-Vöid - Bigger Than Before 

Rinati come l'araba fenice dalle ceneri dei Joanna Gruesome, i londinesi giocano nello stesso campionato di band come Fresh, Martha ed Happy Accidents, che quest'anno pure hanno pubblicato album validissimi (menzione d'onore per tutte, anche se non sono nella top 12!). Cosa possiedono allora in più le canzoni di Bigger Than Before? Innanzitutto un'urgenza comunicativa fuori dall'ordinario, e poi una capacità di utilizzare stilemi punk con eclettica libertà, una intelligente rilettura della lezione dei Big Star e dei primi Teenage Fanclub e, in definitiva, dieci canzoni di bruciante potenza. 


5

Castlebeat - Half Life

Josh Hwang conosce la formula della perfect pop song: una fresca pioggia di chitarre jangly e synth anni '80, melodie di sognante tenerezza, diffuse memorie dei New Order e dei Cure più melodici, il tutto con un cuore palpitante di essenzialità lo-fi. Le canzoni di Half Life sono il perfetto riassunto di quello che sono da sempre i suoi Castlebeat, talvolta quasi algide e geometriche, ma più spesso illuminate da una sfolgorante leggerezza. 


4

The Beths - Expert In A Dying Field

I Beths, non c'è dubbio, sono una band che si diverte da matti a suonare insieme. E così Elizabeth Stokes e i suoi tre compagni, arrivati al terzo album con la sicurezza nei propri mezzi tipica dei veterani, fanno alla grande (con quel misto di spontaneità e cura dei dettagli che da sempre li contraddistingue) ciò che sanno fare meglio: sfornare canzoni power pop intessute di chitarre energetiche, armonie vocali e una coinvolgente luminosa ironia. Se non ci fossero, bisognerebbe inventarli! 


3

Basement Revolver - Embody


E' sempre notte negli album del gruppo canadese: una notte che è metafora di un profondo disagio in cerca di riscatto, satura dell'elettricità statica di chitarre quasi shoegaze, illuminata dal bagliore caldo della strepitosa voce di Chrisy Hurn e trascinata con forza inarrestabile verso la luce del giorno dai quei poderosi crescendo immersivi che da sempre sono il vero marchio di fabbrica della band. Un disco emotivo ed emozionante, di intensa, vissuta e liberatoria introspezione, etereo e rumoroso insieme, sostenuto dall'ambizione di costruire prima di tutto un'esperienza totalizzante e catartica. 


2

Say Sue Me - The Last Thing Left


Nella loro ormai consolidata carriera, i coreani Say Sue Me hanno dimostrato di poter essere tante cose insieme: ruvidi e raffinati, essenziali ed eclettici, intimi ed elettrici, delicati e concreti, facendo della gentilezza - in tutti i sensi - il tratto distintivo della loro personalità musicale. Sumi Choi e compagni con i dieci pezzi di The Last Thing Left hanno confezionato il loro album più meditato e completo, mescolando con la consueta sorridente intelligenza pezzi di cristallina orecchiabilità, momenti di luminosa leggerezza dream pop e squarci di fragilità acustica. 


1

Alvvays - Blue Rev



L'album forse più atteso degli ultimi anni - anche per il poderoso iato temporale intercorso rispetto al precedente -  ha mostrato in modo impressionante quanto la band di Molly Rankin sia all'apice di un arco creativo iniziato agli esordi e destinato senz'altro a dare frutti ancora a lungo. Al terzo disco di una carriera già consacrata da critica e pubblico fin dai primi singoli, il quintetto di Toronto ha ormai acquisito una maturità tale da rielaborare modelli e suggestioni provenienti da decenni e contesti diversi (con una predilezione per gli '80, vissuti come un'età dell'oro in cui chitarre e synth convivevano in armonia perfetta) in uno stile che sta ripensando l'indie pop stesso, innovandolo dalle radici e lasciando la propria firma riconoscibilissima e indelebile nella storia del rock. 
I 14 episodi di Blue Rev, pescando la propria ispirazione nella memoria condivisa delle due fondatrici della band, Molly Rankin e Kerri MacLellan, sono costruiti con un lavoro di cesello (scrittura-esecuzione-produzione) che lascia senza fiato e fa scoprire ad ogni nuovo ascolto particolari nuovi che non si erano notati prima: una citazione inattesa, un cambio della dinamica, un'intuizione lirica e narrativa. Uno dopo l'altro, senza soluzione di continuità, si succedono capolavori come "Pharmacist", "Easy On Your On", "After The Eartquake", "Tom Verlaine", "Many Mirrors", "Velveteen", "Very Online Guy","Belinda Says", "Lottery Noises", così potenti, travolgenti e immediati nella loro sintesi che risolve tutto in due minuti o poco più, così complicati nella loro anodina e a tratti vertiginosa stratificazione sonora. Un album epocale per il genere che rappresenta, talmente ricco che è  facile (e terribilmente piacevole) perdersi tra le sue spire, ma in cui in definitiva ci si ritrova sempre, aggrappati alle sfavillanti scie melodiche di ogni pezzo. 

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